La strada scorreva liscia come il velluto sotto le ruote della Mercedes Guardian, che mi portava verso l'ospedale di Forks con andatura tranquilla. La musica soffusa e l'arredo dell'abitacolo mi ricordavano la hall di un Grand Hotel a 5 stelle. Nel quale,per inciso, io non avrei mai potuto sentirmi a mio agio per più di un quarto d'ora. Anche se ora ero Bella Cullen, e anche se questo mostro nero era la mia auto già da alcuni mesi, l'imbarazzatissima Isabella Marie Swan che ancora viveva in me avrebbe dato la mano destra per riavere il suo vecchio Chevy.
Di sicuro quel povero rottame, nonostante la venerabile età, non era deceduto per cause naturali. Prima di diventare il mio regalo di benvenuto a Forks, il suo motore era stato rimesso a nuovo, da qualcuno che di motori ne capiva per davvero.
Quindi l'ipotesi più probabile era che il mio allora protettivo fidanzato Edward Cullen, diventato nel frattempo il mio ancora più protettivo marito, gli avesse praticato l'eutanasia col favore delle tenebre per potermi così affibbiare la Guardian. Antiproiettile, antimissile, antimeteorite e corazzata: perfettamente adatta ad una che nella sua vita collezionava traumi assortiti come gli altri collezionano DVD, farfalle e cartoline.
Questa era l'auto del “prima”, ed esisteva un' “auto del dopo", una Ferrari nonsocosa che giaceva dimenticata -soprattutto da me- in un angolo del fornitissimo garage di famiglia, ancora in attesa che io diventassi meno fragile e la potessi utilizzare senza ammazzare me stessa o qualche malcapitato. Era scritto che sarei diventata molto meno fragile, presto o tardi, perché mio marito e tutta la sua famiglia erano vampiri: immortali, bellissimi, e indistruttibili. Quindi, presto o tardi, Edward mi avrebbe resa immortale, per rispettare il patto che prevedeva la mia trasformazione in vampiro in cambio del nostro matrimonio.
La pianificazione degli eventi, però, non era stata affatto rispettata.
Il “dopo” non c'era mai stato, o quantomeno doveva ancora venire.
Già sull’isola Esme, dove io ed Edward avevamo trascorso la luna di miele, era maturata l’idea di aspettare ancora un po' a trasformarmi. Poi c'era stato quell'altro fatto; ma anche se quel fatto straordinario non si fosse verificato, probabilmente avrei trovato un modo per rimandare comunque la mia trasformazione.
Non osavo dirlo nemmeno a me stessa, e mi guardavo bene dal parlarne con Edward, che avrebbe preso la palla al balzo e si sarebbe rifiutato di rispettare il nostro patto. Sensibile, generoso ed ancora ferito dalla rinuncia alla propria umanità, mio marito non riusciva a non vedere come una tremenda condanna la sorte che invece io desideravo con tutta me stessa, nonostante gli ripetessi continuamente che per me si trattava di un premio. Il bonus-fibracarbonio, il superudito, e tutto il resto. La superbellezza che doveva farmi sentire finalmente adeguata alla mia nuova famiglia di fotomodelli di pietra.
Non vedevo i contro, vedevo solo i pro della mia nuova possibile condizione. E volevo l'eternità, per passarla con Edward.
Solo che alcune circostanze avevano suscitato in me un rinnovato attaccamento per il mio tenero corpo, fragile ma così passionale, capace di amare come non avevo mai creduto possibile; ne avevo avuto prova sull’isola Esme. Io ed Edward avevamo fatto l’amore per la prima volta, sebbene fosse estremamente pericoloso per me, ed era stato, lividi a parte, quasi come l'avevo sognato. Cosa sapevo di com'era farlo “dopo”?
Ma non era neanche questo.
C'era dell'altro.
C’era qualcosa, un pensiero fastidioso e indefinito, cui impedivo l’accesso nella zona cosciente e razionale del mio cervello –ammesso che si possa chiamare razionale un cervello che trova spazio per la vampirizzazione della sua proprietaria.
C’erano dei sogni che mi sorprendevano, lasciandomi al risveglio in una sorta di beatitudine piena di stupore.
C’era, purtroppo, anche la sensazione di una porta, una soglia da oltrepassare, ma non mi permettevo mai di fare il passo che mi avrebbe portata oltre, a vedere cosa c’era di là. Mi svegliavo sempre troppo presto per capirci qualcosa; ma mi rimaneva addosso per ore la sensazione di qualcosa di sospeso, di una mancanza, una domanda che esigeva una risposta.
Stavo vivendo una favola: mi trovavo in luna di miele su un'isola tropicale con mio marito, che mi amava più della sua vita e per di più era bellissimo, ricchissimo e devoto per l'eternità. Ma nella visione del panorama indistinto che la mia mente mi mostrava di notte, qualcosa doveva avermi colpita davvero, tanto da farmi smettere di insistere con Edward affinché mi trasformasse il più presto possibile.
Ufficialmente perché volevo amarlo ancora e ancora nel mio corpo mortale; in verità, perché quelle sensazioni sospese e indefinite mi turbavano incrinando la mia determinazione.
Me ne vergognavo profondamente, perché la nostra storia era sempre appartenuta al regno dell'assoluto. I dubbi, i ripensamenti, gli “Oddio, ho sbagliato tutto” non facevano parte della nostra vita insieme. Io ero Giulietta, Edward era Romeo. Punto. Almeno fino a una manciata di mesi fa.
Edward aveva assecondato la mia nuova inclinazione senza porsi alcun problema; così avevamo deciso che saremmo andati a Dartmouth per frequentare l’Università, vivendo la nostra vita di ricchissimi neosposi-studenti in una delle residenze che i Cullen possedevano a queso scopo, vicino ai college più prestigiosi d'America. I ragazzi Cullen, infatti, si laureavano molto, così come si diplomavano molto: un modo come un altro per trascorrere il tempo che si ha davanti quando si diventa eterni. Certo, Edward non mi aveva più toccata.
Il nostro patto includeva che avrebbe fatto l'amore con me mentre io ero ancora in forma umana; lo aveva rispettato, ma non aveva intenzione di farmi ancora del male. Entrambe le volte che eravamo stati insieme mi ero svegliata piena di lividi, quindi ci avremmo riprovato solo dopo che io fossi diventata un vampiro, e a me stava bene così.
Poi anche Dartmouth era diventata una decisione superata.
-Bella? Dormi?-
Edward guidava la Guardian, seduto al mio fianco, con la cautela di chi trasporta un carico di bicchieri di cristallo senza imballo protettivo.
Avevo gli occhi chiusi e mi ero lasciata scivolare sul sedile leggermente reclinato. Dietro le pupille cercavo di individuare qualcosa di definito attraverso la solita nebbia luminosa nella quale mi svegliavo da qualche mese a questa parte.
-Amore, va tutto bene? Sei stanca?
-Un po'. Stavo facendo un sonnellino.-
Non era esattamente così. Stavo ancora una volta cercando di capire. Un giorno ne avrei parlato con uno psichiatra, uno psicologo, un professionista insomma. Perché non ricordassi mai i miei sogni, non era un problema, succede a tanti; quel che non andava, era il tormento che mi lasciavano tutte quelle domande irrisolte.
Poi, per dirla proprio tutta, non avevo voglia di parlare con Edward.
Non aveva ancora superato lo shock di non riuscire a leggere nella mia mente, come faceva con tutto il resto del mondo; quindi cercava di capirmi facendomi parlare.
Un uomo che ti fa parlare di te all'infinito e starebbe ad ascoltarti per ore qualunque cosa tu dica, senza perdere l'espressione da pesce bollito, è il sogno di tutte le donne. Non il mio però: io ero la figlia di Charlie Swan, che amava chiacchierare più o meno come indossare lo smoking e andare dal dentista, eventi che gli procuravano più o meno lo stesso tipo di piacere. Charlie eravamo stati una coppia perfetta, perché i nostri silenzi ci bastavano. Mio padre mi mancava tantissimo, e passavo a trovarlo ogni volta che mi era possibile.
Comunque ero ingiusta con Edward: a volte mi capiva come se mi avesse letto nel pensiero. A volte. Ma nelle giornate peggiori mi subissava di domande, e io dopo le prime tre non lo reggevo più. Nei primi tempi in cui stavamo insieme, mi sentivo profondamente lusingata da tutta questa attenzione; ma col passare del tempo avrei voluto, non so, più intuizione. Che sapesse un po' meglio chi ero forse? Cavolo, come facevano tutti gli altri? C'erano coppie che si capivano, coppie felici, che si comprendevano benissimo anche senza superpoteri. Perlomeno si capivano quanto bastava. Possibile che per noi dovesse essere solo lettura del pensiero oppure terzo grado? Non potevo avere una sana via di mezzo?! Nemmeno Charlie quando interrogava un sospetto era così, così... tenace, come un mastino con il suo osso, come lo era Edward certe volte nei miei confronti.
Ecco, adesso ero veramente molto ingiusta. Nervosa, inquieta, e ingiusta. Sbuffai abbastanza rumorosamente da allarmare Edward.
-Non era necessario mettersi in macchina se eri tanto stanca, tesoro. Sai benissimo che Carlisle avrebbe potuto...-
Certo che lo sapevo che Carlisle avrebbe potuto. Ma oggi volevo farmi un tuffo nella normalità.
-Edward, va tutto benissimo. Sono contenta di uscire a fare un giro, davvero. Smettila di preoccuparti, non lo vedi anche tu che sto bene?-
...Carlisle avrebbe potuto farmi lui stesso i controlli di routine, senza alcun problema. Aveva decine di specializzazioni in medicina, accumulate nei suoi cinquecento -forse seicento?- e passa anni di vita, tra le quali anche quella che serviva a me in quel momento. Inoltre la famiglia avrebbe tranquillamente potuto comprare tutte le attrezzature che servivano, incluso un ecografo 3D di ultima generazione. Magari uno per piano, per non farmi fare le scale.
-Davvero, state bene?-
-Certo. Ho appena avuto la conferma in diretta. Ahia.-
-Che c'è, devo rallentare?
-Edward, no! E' tutto perfetto così! Piantala!-sbottai esasperata.
Aveva posato le mani sul mio ventre rotondo, per cercare di percepire quello che avevo appena sentito io.
Erano tutti come impazziti: niente sarebbe stato troppo per me, in quel momento.
Né per l'esserino che cresceva nel mio ventre e mi aveva appena ricordato la sua presenza con un calcio, neanche troppo delicato.
Il primo bambino della famiglia Cullen.
Nessun commento:
Posta un commento
Potete scrivere qualunque cosa, se usate un linguaggio civile. Il contenuto per adulti non si porta dietro la volgarità nel mio blog. Sono graditi soprattutto commenti di tipo letterario e stilistico.