Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

mercoledì 11 maggio 2011

"Misprinting", di Abraxas


Questa storia è di Abraxas, che è un amico. Ma non c'entra niente con il fatto che io la consigli. Anche il fatto che si sia classificata al primo posto in un Contest indetto su EFP dalla sottoscritta e da un'amica non c'entra col fatto che io la adori. Ha dovuto vincere.
E' una storia che spiazza, destabilizza, rinfresca e fa male, tutto insieme. E' una storia che, invece di intorpidire il cervello, lo costringe a reagire portandosi dietro anche il cuore. E' un modo di stare male con intelligenza. E' qualcosa di originale in un mondo pieno di banalità, di fronte al quale le mie sono solo storielle d'amore. E' il modo giusto per odiare questo autore e non riuscire poi più a farne a meno. Dovete, dovete andare a leggere tutte le storie di Abraxas  su EFP, nessuna esclusa. E magari rompetegli un pochino le scatole perché riprenda in mano Aeon!

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La maglietta è troppo corta.
David sbuffa e la tira verso il basso il più possibile, nel tentativo di farla arrivare almeno almeno alla cintura, ma niente. Il cotone sembra prendersi gioco di lui, rifiutando di coprire quelle due dita di pelle che si ostinano a restare scoperte.
Andiamo, stupida cosa! Allungati!
Dà un deciso strattone al bordo, e con un secco snap! le cuciture intorno al collo saltano. Terza maglietta in due giorni.
“Fantastico. Davvero fantastico”, ringhia indispettito mentre si toglie di dosso la magl… l’ex-maglia. L’ondata di calore che accompagna sempre i suoi momenti di nervosismo si fa strada dentro di lui. Risale rapidamente dallo stomaco alla testa, ovatta i rumori, cancella gli odori, cerca di imporsi sulla sua mente. La bestia preme per uscire.
Calma. Inspira-espira.
Trasformarsi in camera non è il massimo…
Calma. Inspira-espira.
E’ solo una t-shirt. Una sciocchezza. Non vale la pena…
Calma. Inspira-espira.
Non adesso.
Non. Adesso.
Il tremore passa rapido come è arrivato. Con un colossale sospiro David si lascia cadere sul letto, e cerca di non fare troppo caso al cigolio di protesta delle molle. Chissà se reggeranno ancora il suo nuovo peso…
Che vita di merda.
Insomma, all’inizio gli era sembrata tutta una gran figata. Trasformarsi in un lupo gigante e far scappare con la coda fra le gambe i Vulturi o quel che erano? Proprio una gran figata.
Poi sono cominciati i problemi, problemi che al momento si concentrano tutti nel non avere una sola maglietta adatta alla sua nuova taglia. Oh, ed anche nell’essere costretto a dover continuamente controllare le sue emozioni. E nel ritrovarsi appioppati turni di guardia nell’orario in cui qualunque persona con un minimo di vita sociale sarebbe fuori casa a spassarsela. E nel non poter nemmeno protestare. E nel…
Ok, non si concentrano per niente da nessuna parte. Restano solo un enorme, schifoso mucchio di problemi.

sabato 7 maggio 2011

Due parole


Attenzione: storia ad alto contenuto glicemico. Astenersi diabetici, cinici ed afflitti da carie dentaria.



-Ti amo, Jake.

Sono entrambi in cucina e non è certo uno di quei momenti da film nei quali uno -Jacob Black, licantropo innamorato e ragazzo padre- si aspetterebbe che la sua compagna -Isabella Swan, umana impedita e ragazza madre- gli facesse una dichiarazione del genere.
Sono varie le ragioni per cui Jacob non è certo di avere capito bene, tra le quali la principale non è che suo figlio stia strillando come un'ossesso rivelando una capacità polmonare degna di un essere leggendario, né che quelle parole siano state a malapena bisbigliate. Ci sente molto bene, Jacob Black, non solo perché ha i sensi ipertrofici di una creatura sovrannaturale ma anche perché, nel tempo, ha sviluppato una sensibilità tutta particolare per il suono della voce di Isabella. Si può dire che abbia vissuto con le orecchie tese da quando lei è entrata nella sua vita.
In quel momento giurerebbe di aver sentito un "Ti amo". Giurerebbe. Resta con il dubbio perché esiste la possibilità, per quanto remota, che abbia capito male: dopotutto è solo da quando la conosce, cioè da sempre, che desidera sentirsi dire da lei proprio quelle parole, ma Bella è molto più brava ad arrossire che a parlare chiaro. Quindi il fatto che abbia detto "Ti amo" resta un evento da catalogare tra quelli improbabili ed è meglio concedersi un margine di errore, tenere in conto la possibilità di un'interferenza, un disturbo nella ricezione.
Ma mettiamo pure che Bella abbia davvero detto "Ti amo", riflette il ragazzo-lupo. Se lui desse segno di avere realmente sentito e capito, lei fuggirebbe come quegli uccellini ai quali dai da mangiare sul balcone: tendi la mano carica di briciole e resti perfettamente immobile, loro si avvicinano terrorizzati ma troppo desiderosi ed affamati per resistere. Se solo muovi un muscolo è finita: esplodono in un frullo d'ali che percuote l'aria e ti fa sussultare e tu resti lì con niente se non le tue briciole in mano.
Così Jake resta immobile, anzi, fa di meglio: fa finta di niente ed aspetta. C'entra anche la paura, in parte.
Fortunatamente Bella il super-udito non ce l'ha, quindi non può sentire il suo enorme cuore di licantropo battere come una grancassa impazzita.

"Ti amo, Jake". Oh, cavolo.
Isabella Swan sembra non sentire per niente le proteste di suo figlio Elias, sempre più arrabbiato. Si lascia cadere contro il lavello e tormenta il grembiule rosa che la fa morire dal ridere quando lo vede addosso a Jake. Si asciuga e poi si riasciuga le mani e poi, già che c'è, si occupa di una pellicina sul dito indice della mano destra che è diventata il problema più grave di tutto l'universo conosciuto.

Non ci crede, non può averlo detto davvero.
Mentre si domanda ansiosamente se Jacob l'abbia sentita oppure no -speriamo di no- si morsica il labbro inferiore in un gesto tanto abituale quanto nervoso che però, questa volta, non vuole significare nessun dubbio: Bella sa perfettamente cosa ha appena detto e che è la cosa più certa della sua vita. Punto.
Se proprio dovesse farsi delle domande, si chiederebbe piuttosto perché l'ha detto proprio in quel momento. Dopotutto, hanno goduto di scenari anche più romantici, lei e Jacob, di momenti più "giusti", anzi quasi perfetti... che lei è riuscita a rovinare, ovviamente.
E poi che fa? Le scappano così, quelle due parole, in un momento assurdo, lasciandola lì a controllare se è sopravvissuta. Mentre lei cerca metaforicamente di capire se è ancora intera e se lui l'ha sentita o no e dove scapperà se per caso lui l'ha sentita, 
Jacob si alza, prende dalla sdraietta il piccolo urlatore e se lo posa su un avambraccio, col pancino sulla grande mano calda. In questo modo i doloretti passano quasi subito. Bella contempla il faccino di suo figlio: è ancora paonazzo per il nervoso ma si sta calmando. Tira il collo e cerca di alzare la testa, curioso, mentre suo padre cammina avanti e indietro, come fa sempre quando vuole calmarlo.

-Caffè, Bells?
-Eh?

Fortunatamente Jacob si è già preso cura del piccolo, perché Bella proprio non ci sta con la testa. Litiga con un perché e nel frattempo viaggia. E' lontana anni luce; solo il suo corpo è rimasto lì mentre la mente si fa un giro inaspettato quanto nitido e reale in un'altra decina di mondi possibili, esattamente nel tempo che le è servito per dire "Eh?".
La cosa interessante è che non riesce a rimanere nemmeno per pochi decimi di secondo e nemmeno per finta in un qualsiasi altro mondo dove non ci siano Jacob, Elias e perfino il lavello pieno di piatti da lavare dove sta appoggiata.
Perché è perfetto così, ecco perché.
Perché, viaggiando su e giù per i mondi ed i futuri possibili, è quella straziante, subitanea, improvvisa voglia di ritornare che le ha fatto sentire che lì c'è tutto quello che le serve. Tutto in un attimo, in un secondo, nella sua cucina. Appoggiata al lavello.
Non importa che il suo uomo sia così bello con quelle braccia forti e nude e un bimbo appollaiato addosso. Non importa se il sorriso di Jake ha preso quella piega particolare e solo sua che le fa venire voglia tanto di saltargli addosso quanto di prenderlo a sberle. Il punto non è quello, le sfugge ancora, ma sa che ha a che fare con il qui e l'ora.
Completa, ecco la parola giusta.
Si sente completa.
Sente che c'è tutto. Che il tempo è solo un'unità di misura e serve solo se devi andare da qualche altra parte a fare qualche altra cosa; se hai già tutto, il presente è più che sufficiente. Se sei già nel posto dove vuoi tornare sempre, non serve neanche misurare le distanze, dire domani andrò, domani farò. No, è tutto qui ed ora. E' questo il luogo giusto nel momento giusto, e Bella una volta tanto è proprio .
Ecco perché proprio ora.
Non sa se accadrà di nuovo, Isabella Swan. O meglio, accadrà senz'altro che riuscirà a dire di nuovo quelle due parole, ma non sa né come né quando. Vorrebbe dirglielo guardandolo negli occhi, come fa lui con lei; Jake lo fa sembrare facile quasi come respirare, Bella invece inciampa con lo sguardo e coi ricordi nelle altre mille parole che ancora non sono riusciti a dirsi, nei segreti da spezzare, nelle paure da sciogliere al sole.
Isabella ricorda che un attimo prima Jacob le ha chiesto qualcosa e si attacca all'unica parola che ha captato mentre viaggiava lontana.
-Mi berrei volentieri un caffè, Jake.
Lui le solleva il mento con la mano libera. Pare che le voglia dare un bacetto dei suoi, quelli veloci che -da quando hanno fatto pace- le schiocca ogni volta che può , così ad ispirazione, solo per dirle "Sono qui". Perciò Bella si stupisce quando Jacob quasi le mangia la bocca e la assaggia con quelle sue meravigliose labbra calde e con la lingua, lasciandole il suo sapore fino in fondo alla gola.
-Anch'io, Bells. Anch'io.


*   *   *




Dedicata a Ysis Donahue che se l'è sorbita alle due di notte convincendomi a pubblicarla
e a Kukiness che me l'ha suggerita (non prendetevela con lei, non ne sapeva niente...)

mercoledì 4 maggio 2011

26. O corpo abbandonato alla musica

Mi svegliai di umore leggero, colma della sensazione di una stagione nuova ricca di germogli e cieli sereni. Accade, talvolta, di aprire gli occhi con l'impressione che sia primavera e questo non ha niente a che vedere con il calendario. Era come nel mese di aprile con le prime fioriture, quando il sonno è dolce e la speranza sembra ignorare che prima o poi tornerà l'inverno.
Da quanto tempo non dormivo così bene?
Elias mi aveva regalato quasi due ore di sonno, poi lo avevo allattato silenziosamente al buio e mi ero riaddormentata. Quando reclamò la colazione, più o meno tre ore dopo, il sole cominciava a filtrare dalle tapparelle e un delizioso profumo di pancetta rosolata mi solleticava le narici.
-Buongiorno, piccola.
-Buongiorno? Fai paura. Mi sono spaventata!
Ridevo, ridevo come non facevo da mesi. Jacob indossava ancora i pantaloni della mia tuta e, sopra, il solito grembiule rosa. Brandiva un cucchiaio di legno e una padella dove sfrigolavano delle fette sottili di bacon, già belle e rosolate. Mi stese col sorriso più abbagliante dell' universo.
-Non sono di tuo gusto?
-Chi, tu o le uova con il bacon?
Ci provai.
Mi avvicinai, mi sollevai in punta di piedi.
Non scappò, non si ritrasse, non mi respinse. Anzi, avvicinò il viso al mio senza posare la padella né il cucchiaio di legno.
Non posso dire che si lasciò baciare, perché mi baciò anche lui. Un bacio dolce, a fior di labbra, di una tenerezza che, da lui, non ricordavo di avere mai ricevuto. Non ne avevamo avuto il tempo.
Sorrideva con la bocca, gli occhi socchiusi, le ciglia folte a intenerire lo sguardo. Sorrideva col corpo, rilassato e flessuoso e forte come un giovane albero.
Io non riuscii a rispondere al suo sorriso; come non avessi saputo che il pudore era inutile -come se Jake non mi conoscesse quanto le sue tasche- serrai le labbra a trattenere l'euforia che si trasformava in voglia di piangere.
Un paio d'ore dopo, Emily ed io passeggiavamo a First Beach con i nostri figli addosso.
Emily aveva già saputo da Sam che Jacob era tornato; mi raccontò che Jake si trovava a La Push già da un paio di giorni. Doveva avere trascorso almeno una notte intera nascosto tra gli alberi di fronte a casa mia senza che io mi accorgessi di nulla; probabilmente se non gli fossi corsa incontro, la notte prima, avrebbe aspettato ancora prima di mostrarsi. Seppi che Sam lo aveva intercettato a nord, quasi al confine col Canada, mentre correva verso casa. Si erano incontrati ed avevano parlato a lungo ma nemmeno Emily sapeva cosa si erano detti. Ne era curiosa ed ignara quanto me.
Non sapevo niente dell'assenza di Jacob; rientrava in quella parte delle nostre vite che, se le cose fra noi avessero cominciato a funzionare, prima o poi avremmo dovuto condividere. Ma mi costava un'enorme fatica pormi domande in un momento così sereno e pieno di speranza; la mia mente, come una falena attirata dalla luce, non riusciva a staccarsi dal ricordo della sua apparizione e di quei baci sotto la pioggia, dal risveglio del mattino quando l'avevo trovato ancora lì, dal bacio col quale mi aveva promesso che sarebbe tornato presto. Certo, sarebbe stato necessario parlare ed ascoltare e chiarire ogni cosa rimasta oscura tra di noi. Prima o poi me ne sarei occupata, quando mi fossi sentita pronta.
Prima o poi.
-Dimmi la verità, Bella. Avete...?
-Abbiamo cosa? Ehi, ma che domande mi fai?