Copertina creata da Lea- |
-Invece ti porterà una sfiga tremenda, se non tieni le mani a posto.
Jacob mi mollò a Seth e prese per mano la sua ballerina, Leah, che storse la bocca in una smorfia seccata.
-Non fare quella faccia, tu. Devi ballare con lo sposo, fa parte della tradizione.
-Mpf. Se è un ordine alfa…
Il mio nuovo cavaliere mi fece volteggiare e ci allontanammo accompagnati dalla risata di Jake che tentava di fare lo stesso con la sua compagna, rigida come una scopa. La faccia di Leah era tutta un programma.
-Speriamo che non si ammazzino... Stai bene con la cravatta, sai? Sembri più grande.
-E tu stai bene vestita di bianco, ma non è necessario che ti sposi ogni volta.
La risata di Seth non si interruppe neanche quando gli assestai un calcio sullo stinco destro con tutte le mie forze. Con i sandali filiformi che indossavo era più probabile che fossi io a rompermi un dito che lui a farsi male, ma speravo che mi avrebbe dato almeno la soddisfazione di un “Ahia!”. Invece la sua battutaccia sulla mia carriera matrimoniale rimase impunita.
-Jacob è un uomo fortunato e io parlo solo per invidia, signora Black. Non badi a me.
-Fortunata è la ragazza che vincerà Seth Clearwater, penso.
-Grazie. Mi stai dando il contentino, Bella?
-Non ne hai alcun bisogno. Piuttosto… Che si stanno dicendo quei due? Io non sento niente, ma tu potresti provare a…
-…Origliare? Gelosa di mia sorella? Bah! Sei matta. Credo che anche Jacob la consideri una sorella. Anzi, un fratello.
Ridemmo insieme, poi ricordai a Seth che stavo aspettando di sapere di che stavano chiacchierando, così intenti, mio marito e l’unica donna del branco.
-Mpf, se è un ordine alfa…
-E’ il desiderio di un amico. Che poi sembri quasi una bella gnocca, oggi.
-Fai il cascamorto? Ti sei appena sposato!
-Eccheppalle, Lee. Volevo solo farti un complimento.
-Ma sì, lo so. Lasciami perdere.
-Quando ti deciderai a smetterla?
-Smettere cosa? Non cominciare anche tu con la predica del cazzo, Jake. Sono sempre le solite due stronzate messe insieme da chi non ha nemmeno idea. Da gente a cui va tutto liscio da quando è nata.
-…Tipo me, vuoi dire?
-…Oh…Oh. Mi… mi dispiace. Sono una cretina. Davvero, scusami, Jacob.
-Lascia stare, lo so cosa significa parlare prima di avere acceso il cervello. Dicevo, quando la smetterai di aspettare che le cose cambino da sole?
-Potrei stupirti presto, caro il mio Alfa.
-Stai pensando quello che penso io? Sarebbe la cosa migliore. Anche se…anche se ci mancheresti.
-E’ il desiderio di un amico. Che poi sembri quasi una bella gnocca, oggi.
-Fai il cascamorto? Ti sei appena sposato!
-Eccheppalle, Lee. Volevo solo farti un complimento.
-Ma sì, lo so. Lasciami perdere.
-Quando ti deciderai a smetterla?
-Smettere cosa? Non cominciare anche tu con la predica del cazzo, Jake. Sono sempre le solite due stronzate messe insieme da chi non ha nemmeno idea. Da gente a cui va tutto liscio da quando è nata.
-…Tipo me, vuoi dire?
-…Oh…Oh. Mi… mi dispiace. Sono una cretina. Davvero, scusami, Jacob.
-Lascia stare, lo so cosa significa parlare prima di avere acceso il cervello. Dicevo, quando la smetterai di aspettare che le cose cambino da sole?
-Potrei stupirti presto, caro il mio Alfa.
-Stai pensando quello che penso io? Sarebbe la cosa migliore. Anche se…anche se ci mancheresti.
-Allora hai capito giusto. Sì, hai capito giusto. E mi lasceresti andare? Perché, cazzo, oltre a tutto il resto mi toccherebbe anche chiederti il permesso. E non far finta che ti dispiacerebbe, non è necessario.
-Mi dispiacerebbe ma ti lascerei andare, a me andare via è servito. A volte andare via cambia tutto.
-Ma noi apparteniamo a questo posto, Jake, non dirmi che non te ne sei accorto anche tu. Ecco, vedi che non sai cosa dirmi? Ma tanto io non ho niente da perdere, giusto?
-No, infatti, proprio niente da perdere. Solo una madre, un fratello e un sacco di gente che ti vuole bene. Ma finiscila, su, prima che mi venga voglia di mutare e azzannarti…
-E’ colpa tua se me ne vado, comunque. Tua e di quella lagna assurda di tua moglie.
-E che ti abbiamo fatto di male, noi? Io…
-Non capisci niente, come al solito. E’ che… Dio mi perdoni ma siete bellissimi. Fate luce. Siete uno sputo in faccia all’imprinting e questa cosa… Voglio dire, magari…
-Non magari, Lee, non magari. Io sono sicuro che da qualche parte c’è qualcuno che ti aspetta. Deve essere così, cazzo.
-Allora dammi il permesso di andare via. Perché se Mr. Qualcuno esiste, sono strasicura che non si trova a La Push, fidati.
-Dopo, quando tutto sarà finito. Adesso ho bisogno di te. Quando tutto sarà finito, sarai libera di andare dove vuoi.
-...ti senti bene?
-Uhu?
-...hai detto che hai bisogno di me.
-Era solo per farti felice. Sai, sono il capo, devo tenervi il morale alto. Lavoro di spogliatoio, insomma.
-Fottiti, Jake.
-Oh, no! Cazzo, no! Jacob non deve farlo!
-Che cosa? Mi sembra che si sia comportato be…
-Non deve farla andare via.
-Seth! Io penso… Io ho sempre pensato che sarebbe stata la cosa migliore per lei, andarsene. Voglio dire, se io mi fossi trovata nella sua situazione e in più avessi continuamente sotto il naso il mio ex… e poi adesso loro hanno anche una figlia, te ne rendi conto? E’ atroce.
-Già. Certo, deve rifarsi una vita, lei- rispose a denti stretti Seth.
La musica sfumò fino a cessare, le coppie si fermarono al centro della sala del piccolo pub in riva al mare –quello della nostra prima cena insieme- dove Jacob ed io eravamo riusciti ad organizzare anche un piccolo rinfresco per i nostri amici.
Seth mise la mia mano in quella di Jacob, che aveva lasciato Leah al tavolo delle bibite ed era venuto a riprendermi. Rimasi pensierosa e triste per un po’, anche se la musica era ripartita e Jake mi teneva stretta, mentre non facevamo nemmeno finta di ballare sulle note di un lento assassino.
Riflettendoci su, potevo capire Seth e la sua reazione all’idea che la sorella li lasciasse, lui e sua madre. Poco più di un anno prima esisteva una famiglia Clearwater formata da quattro persone che si volevano un gran bene; se anche Leah se ne fosse andata, ne sarebbe rimasta la metà e forse qualcosa meno.
Sue passava un sacco di tempo con Charlie. Nessuno era sicuro di cosa ci fosse tra loro due, nessuno li aveva mai visti baciarsi o tenersi per mano, per esempio, ma era evidente che si stava creando un legame; forse Seth non gradiva che il padre venisse sostituito tanto in fretta. Non potevo dubitare della delicatezza e del tatto di Charlie, ma c’era poco da essere delicati: lui e Sue passavano insieme quasi ogni momento libero, con Billy e altri amici ma spesso anche da soli.
Cosa sarebbe rimasto a Seth se anche Leah se ne fosse andata?
Riflettevo su questo... e su Angela che ballava con Embry sbirciando David. Mi scappò un sorriso.
-Mi piacerebbe che succedesse a tutti, Jake.
-Cosa?
-Quello che è successo a noi.
Jake scoppiò a ridere.
-Un attimo. Specifica bene a cosa ti riferisci e ricordati che gli dei ascoltano i nostri desideri.
-Intendo dire… Vai a quel paese, non te lo dico più.
-Dai, lo sai che ho capito, piccola- mormorò lui, serio. Portò la mia mano alla bocca e posò un bacio sul mio anello nuovo di zecca, che splendeva illuminato dalle luci della pista da ballo. Mi stava davvero bene, come se fosse sempre stato lì.
-Lo so che siamo stati fortunati. Come pochi al mondo.
Fortunati, sì, e stravolti dalla stanchezza. Eravamo letteralmente due zombie, Jacob ed io, quando arrivammo a quella che era stata casa mia e che da adesso sarebbe stata casa nostra, fino al giorno in cui non avessimo potuto permettercene una più grande. Non riuscimmo nemmeno ad apprezzare i fiori che qualcuno aveva sparso sui tre scalini, le ghirlande sulla porta e le piccole lanterne accese che circondavano il patio.
Elias mangiò e si addormentò subito, immediatamente seguito da noi due che quasi svenimmo sul letto con indosso ancora i vestiti da cerimonia. Jacob non fece nemmeno in tempo a togliersi le scarpe.
Io aprii gli occhi un paio d’ore dopo, forse colpita dalla quiete irreale della nostra casa.
Nel buio, il silenzio era rotto solo dal respiro tranquillo di mio marito. Mio marito? Oh, accidenti... Mio. Marito.
Sorrisi tra me e me e in realtà sorrisi al mondo, ma durò poco.
Quella pace liberò i pensieri; purtroppo, anche quelli che ero riuscita a tenere lontani fino a quel momento. Tornarono ad assediarmi la mente, il solito attacco di vespe rabbiose, un violenza cruda e repentina alla gioia luminosa che mi aveva avvolta tutto il giorno.
Non c’è tempo.
Mi spogliai senza far rumore e senza sciogliere i capelli. Gli sarebbe piaciuto infilarci le mani e scioglierli lui stesso, come faceva sempre. Cominciai ad accarezzarlo piano.
Un paio di giorni dopo, mentre cercavo di far entrare in un armadio già pieno lo scarno guardaroba di Jacob, una voce d’angelo mi fece voltare verso la porta con un tuffo al cuore.
-Scusa, Bella, la porta era aperta e io…
-Alice! Oh, tesoro! Alice!
Vederla mi faceva sempre lo stesso effetto: l’impulso irrefrenabile di abbracciarla e fare il pieno di lei, prima che scomparisse di nuovo. Non l’avevo più vista dopo quel giorno a casa di Charlie e mi mancava da morire, anche perché già in quell’occasione mi era parsa diversa: sembrava avere abbandonato una volta per tutte l’atteggiamento iperprotettivo e condiscendente che un tempo aveva avuto nei miei confronti. Avevo come l’impressione che fosse rimasto solo il lato positivo del nostro rapporto: una "sorellanza" tra donne legate da un affetto inattaccabile e da intense esperienze passate. Poco importava, ormai, che fossimo diverse come il giorno e la notte.
Evidentemente aveva approfittato del permesso di muoversi liberamente nella riserva che i Cullen avevano avuto da Jake, fino a quando non fosse cessato l’allarme Volturi, ed io non avrei potuto esserne più felice. Mentre mi appendevo al collo della mia amica, lei sventolava un pacchetto lungo e piatto avvolto in una lucida carta dorata.
-Va bene che non è la stessa cosa, va bene che teoricamente non sono affari miei, però avresti potuto almeno dirmelo. Magari un modo di farvi un regalo senza fare una gaffe l’avrei trovato, no? In fondo, ho un’ottantina d’anni di esperienza di bon ton... E poi, non lo sai che va molto di moda sposarsi almeno un paio di volte?
-Lui… lui come sta?
-Lui va in giro per il mondo. E’ passato da Denali, ha parlato di andare a trovare certi amici di Jasper in Europa… così. Un po’ alla volta, Bella. Dagli tempo.
-Ma tu pensi che…
-Che sia disperato? Sì, lo è. Ma contemporaneamente è sollevato, credimi. Non è mai stato davvero convinto di fare la cosa giusta, a trasformarti, e ha sempre voluto soprattutto che tu fossi felice.
Mi guardò intensamente con i suoi occhi fatati.
-Perciò, cara la mia licantropa, se vuoi davvero aiutare Edward datti da fare per essere felice, OK? E adesso… fammi vedere il cucciolo. Come sta? Ah, questa è una sciocchezza da parte di tutti noi. Non disturbarti a ringraziare, tanto per un bel po’ non te ne farai un bel niente.
Elias sedeva nella sua sdraietta con una stella di pelouche in mano. Mio figlio cominciava ad interessarsi a ciò che succedeva attorno a lui e la voce squillante di Alice attirò la sua attenzione; voltò i grandi occhi scuri verso la mia amica.
Mentre io aprivo il pacchetto dorato che mi aveva messo in mano, Alice pescò a caso dalla cesta dove avevo sistemato provvisoriamente tutti i regali che lei, Esme e Rose avevano comprato per il loro eventuale nipote. Avevo dovuto portarli via da casa Cullen, col cuore a pezzi, l’ultima volta che ci ero stata. Ruppe la carta –un tripudio di orsetti colorati- davanti agli occhi di Elias e tentò di mettergli nelle manine le grosse chiavi di plastica colorata che ne aveva estratto.
Non feci in tempo a sgridarla per il regalo folle che aveva fatto a me e Jacob, un buono senza scadenza per una settimana da sogno a Maui. Fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno viso. La chiamai e non mi rispose, tentai di riscuoterla ma non si mosse e non reagì per una ventina di secondi almeno, che mi sembrarono lunghi come la mia stessa vita e durante i quali compresi che era arrivato il momento.
-Non c’è tempo. Non c’è tempo, Bella, sono qui… sono quasi qui!
-Lo so che non c’è tempo, lo sapevo già. Dimmi che cosa ha visto, Alice!
-Co... Come, lo sapevi già? Stanno arrivando e non sono né settimane né giorni, Bella, sono ore e io non capisco… non capisco perché li vedo solo ora, non so… Oddio, mi dispiace così tanto!
Per la prima e l’ultima volta nella mia vita vidi un vampiro tremare. Alice continuava a guardare nel vuoto, come scossa da brividi e visibilmente sconvolta. Io non sapevo cosa fare, perché un bicchiere d’acqua non sarebbe servito a niente, nient’altro sarebbe servito a niente; Elias aveva iniziato a strillare e come al solito questo mi mise in movimento.
Elias.
Tirai fuori dallo sgabuzzino la solita borsa e cominciai a riempirla. I cambi, il carillon, il ciuccio e… un biberon. Sì, stavolta forse sarebbe servito anche quello. Non sapevo quando avrei nutrito di nuovo mio figlio né fino a quando Emily ce l’avrebbe fatta, con due piccoli.
Salviettine, la sua copertina. Il suo orsetto di pezza, quello che tenevo nel letto grande perché avesse sempre il nostro odore. Elias si calmava subito quando glielo mettevo vicino. Jacob lo sapeva dell’orsetto, sì, ma forse avrei dovuto scriverlo su un foglio. Jacob spesso era al lavoro e…
Vacillai.
Mi appoggiai al piano del tavolo per non cadere, colpita per un attimo dalla percezione lucida che forse avevo già visto mio marito per l’ultima volta. Cosa aveva addosso quella mattina? Com’era il suo odore?
Glielo avevo detto, che lo amavo, prima che uscisse di casa?
Decisi che non avrei sentito più niente.
Era una contraddizione solo apparente: se volevo muovermi e respirare e fare quello che dovevo fare, era necessario che diventassi una pietra e rifiutassi di sentire qualsiasi cosa. Il pianto di Elias diventò più intenso e disperato, quasi avesse avvertito che mi ero allontanata, e questo mi costrinse ad indurire lo strato freddo che avevo messo a protezione del cuore.
Ero tutto tranne che un’eroina, io.
Non avevo né il coraggio incosciente che serve a compiere senza paura atti grandiosi, né il coraggio consapevole che serve a rischiare la vita per libera scelta. Ero solo un’egoista che sceglieva il male minore, aiutata da una certa stupidità corporea che mi impediva di preoccuparmi troppo della sofferenza fisica. Ero solamente una che era incappata in una circostanza e avrebbe fatto ciò che le faceva meno male.
Ci sono brave persone che diventano assassini perché si trovano in mano un fucile nel momento sbagliato. Ci sono delinquenti potenziali che non hanno mai ucciso solo perché non gli si è mai presentata l’occasione per farlo. Spesso sono solo le circostanze a creare eroi o criminali o costringerti a qualcosa che non avresti mai creduto di poter fare, e per me fu semplicemente così. Costretta a deciderein fretta come comportarmi, scoprii per pura combinazione cosa sarei riuscita a sopportare e cosa no, e il caso volle che Alice fosse della mia stessa idea. Il caso volle che anche Alice non chiedesse altro che di proteggere le persone che amava e che fosse disposta a qualsiasi cosa per riuscirci.
Sempre per caso, c’erano al momento ben poche alternative, anzi non ce n’era nessuna: sia io che Alice avremmo potuto sfuggire eternamente a Demetri, io grazie alla mia mente muta e lei grazie al suo dono di prevederne le mosse, ma i Volturi si stavano avvicinando a Forks e alla Riserva e non c’era niente al mondo che avrebbe potuto fermarli.
Niente tranne una cosa. Forse. Non ero nemmeno sicura di quello.
Cercavo di non guardare mio figlio e di resistere alla tentazione di toccarlo e prenderlo in braccio, o avrei infranto del tutto la mia già fragile determinazione.
Alice vide disegnarsi confusamente qualcosa mentre le spiegavo cosa volevo fare e nello stesso tempo riempivo la borsa di Elias; questo mi confortò, perché significava che per qualcuno ci sarebbe stato un futuro.
-Vengono per incontrare Carlisle. Aro gli contesterà che tu non sia stata trasformata… vuole anche sapere di tuo figlio, crede ancora che sia figlio di Edward… Non vedo bene. Stanno venendo da noi, Bella. Aro non vuole andarsene a mani vuote!
-Dobbiamo fermarli prima. Devo farmi trovare e parlare con lui.
-Tu sei pazza! E poi, cosa ti fa pensare che ad Aro… Oh. Ho capito.
Discutemmo i dettagli, li ripetemmo più volte per un tempo che mi sembrò infinito mentre cercavo di imprimere nella mia mente le informazioni che Aro non avrebbe potuto mai leggere; quando ci abbracciammo non fu solo per prepararci alla separazione, ma anche e soprattutto per darci coraggio.
Mentre stringevo convulsamente il corpo fresco di Alice, in cerca di conforto, già ero andata via, già non ero più lì.
Guardai l’orologio: sembrava un'eternità ma erano passati solo pochi minuti. Ora che sapevamo cosa fare, ogni secondo perso bruciava come un ferro rovente nella carne; tuttavia quando ci precipitammo fuori, io con Elias stretto tra le braccia ed Alice con le nostre borse, non potei fare a meno di fermarmi un istante sulla soglia.
Mi voltai verso le stanze dove avevo ricominciato a vivere, ancora impregnate dei nostri odori e della felicità che avevo condiviso con Jacob. Mi fermai prima di chiudere la porta per sempre e cercai di imprimere i dettagli nella memoria, pervasa dalla stessa urgenza, dalla stessa tensione febbrile con la quale un assetato vuota fino all’ultima goccia il suo ultimo bicchiere d’acqua.
Era così morbida la luce del sole smorzata dalle tende, così sereni i piatti sulle mensole, i fiori appesi a seccare a testa in giù, una maglietta di Jake sullo schienale di una sedia e la cesta di Elias sotto alla finestra. E’ così banale dire quanto tutto mi sembrasse prezioso, quasi l’universo si fosse concentrato nella mia cucina alle dieci del mattino di quel giorno di fine estate.
Sentii di dover fare ancora una cosa.
Non sarebbero caduti nelle mani di nessuno, non sarebbero andati persi; forse sarebbero di nuovo stati indossati da una persona molto amata.
Tolsi il mio anello da sposa e il bracciale con il lupetto di legno e li lasciai bene in vista al centro del tavolo, vicino al vaso traboccante dei fiori freschi arrivati il giorno del mio matrimonio.
Mi congedai da tutto con l'impressione che avrei potuto reggere ancora un poco.
Il calendario sulla parete segnava esattamente sette giorni dalla notte in cui avevo sognato Harry Clearwater.
Abbracciai di nuovo Alice come un automa e mi strappai da lei senza troppa fatica, perché avevo esaurito la mia capacità di soffrire.
Jacob aveva recuperato e sistemato per me un altro Chevy, rosso come l’originale e non altrettanto vecchio; era stato il regalo di nozze di Billy Black. Con quello guidai fino al punto della strada dove loro avrebbero dovuto passare per forza per dirigersi dai Cullen. Alice aveva visto una lussuosa auto nera e io speravo con tutte le mie forze che non si fosse sbagliata, che non avessero deciso di muoversi come sapevano fare, attraverso i boschi, vanificando completamente il nostro piano. Che peraltro era costruito su nient'altro che un fragile castello di carte, un delicato intreccio di supposizioni mescolate alle visioni confuse di Alice e ai miei sogni; sarebbe bastato un microscopico cambiamento o che io avessi sbagliato una sola mossa e tutto sarebbe stato vano.
La tensione mi impietrì a sufficienza per reggermi in piedi fino alla fine; quando arrivarono mi trovarono con gli occhi asciutti e ancora abbastanza lucida da riconoscerli tutti.
Erano in otto.
Le auto erano due, grosse, scure e lussuose e viaggiavano in fila. Il primo ad apparire vicino a quella che stava davanti fu il piccolo Alec; aprì la portiera nera a sua sorella, che scese dall’auto leggera ed elegante come un soffio di vento su una piuma.
Era bellissima, anche più di come la ricordavo.
Le sue labbra rosse e piene si mossero sinuose; spiccavano come un richiamo di sangue sul suo viso, tanto incantevoli da apparire irreali e catturarono il mio sguardo molto più degli occhi color rubino che mi fissavano.
-Bene, bene. E’ un piacere rivederti, cara. Che fortunata combinazione, stavamo venendo giusto da voi.
-Devo parlare con Aro, subito. E’ estremamente urgente.
-Tu… tu, piccola, miserabile umana pretendi di parlare con Aro? E perché mai? E come sai della sua presenza? Ah, capisco... la vostra strega personale.
-Aro mi ascolterebbe. Devo riferire un messaggio di Alice Cullen e ho dato la mia parola di riferirlo solo ed esclusivamente a lui. E lo farò solo se mi portate immediatamente da lui, ovunque si trovi.
-Sei pazza o è uno scherzo? Cosa ci sta dietro? Parla!
-Solo con Aro.
-Parla. Te lo consiglio caldamente.
Scoprì i denti in un sorriso innocente e le zanne bianche sembrarono allungarsi e scintillare. Percepii il tremito del mio corpo come se appartenesse a qualcun altro.
Dietro a Jane, altre due sagome si materializzarono; una alta e robusta. Felix, quello che aveva lottato con Edward a Volterra e lo aveva quasi ucciso. Di fianco a lui, solo di poco più basso, la sagoma imponente e le spalle squadrate di un austero vampiro dall'aria marziale. Caius, uno dei Tre: quello che mi voleva morta.
Tremai più forte.
-Solo con Aro e solo se ce ne andiamo subito di qua.
-Non ti uccido solo perché il mio Signore potrebbe seccarsi… E non posso danneggiarti per lo stesso motivo. Che peccato. Ma sei fortunata... non dovrai aspettare molto per vederlo.
-Le tue parole hanno stuzzicato la mia curiosità. Cosa mi devi dire di così importante, Isabella cara?
La voce maschile era incredibilmente soave e mi sembrò per un istante incorporea e lontana da tutto; una voce del genere non poteva stare in un mondo così orribile, dove stavo per perdere tutto ciò che esisteva di prezioso.
Non avevo in alcun modo percepito la presenza di Aro dietro di me; lo sentii soffiare le parole quasi nei miei capelli. Mi girai e lo vidi sorridere tanto dolcemente quanto la sua voce era soave. Era come lo ricordavo dall’ultima volta che lo avevo visto: di una bellezza ultraterrena, resa polverosa dai millenni.
Tanta dolcezza ipnotica mi fece per un attimo dimenticare la morte che sedeva tranquilla, come in attesa, dietro il suo sguardo. Come mi era già successo a Palazzo dei Priori, non riuscivo a togliere gli occhi da lui.
-Io.. io credo di sapere cosa vuoi. Edward lo ha visto nei tuoi pensieri, ricordi? –riuscii a dire, dopo avere raccolto tutto il coraggio che mi restava. Mi sentivo avvampare sotto lo sguardo divertito di Aro.
- Io sono qui e sono pronta a seguirti. E lo farà anche Alice se... se ce ne andiamo immediatamente, senza andare dai Cullen. Se cercherete di farmi parlare contro la mia volontà, Alice non verrà. Se mi torturerete o mi farete del male in qualsiasi modo, Alice non verrà. Ma se ce ne andiamo subito e mi portate viva in Italia, io ti giuro che entro un mese dal nostro arrivo a Volterra Alice si unirà alla Guardia. Se non rispetterà il patto, Aro, io sarò nelle vostre mani e potrete fare di me quello che crederete meglio- avevo concluso, mentre la voce mi moriva in gola.
Pensavo che Aro si sarebbe infastidito per la mia sfacciataggine; invece, scoppiò a ridere. Pareva decisamente divertito; mi chiesi con un brivido di paura quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno gli aveva dettato della condizioni.
-Mia piccola Isabella. Io dovrei privarmi della gioia di visitare il mio amico Carlisle e la sua famiglia, per quanto nella triste circostanza di trovarlo mancante nei confronti della Legge… E tu mi offri in cambio qualcosa che probabilmente otterrei comunque? Non ti sembra leggermente, come dire, iniquo?
-Me mi avresti comunque, sì… Ma forse mio... marito. Edward. Tenterebbe di difendermi con tutta la famiglia, prima di soccombere. Forse perderesti qualcosa o qualcuno in ogni caso. E Alice… Alice non l’avresti mai. Lei ci terrà d’occhio e verrà da te solo alle condizioni che ti ho spiegato. Io non ti posso impedire niente, lo so. Io ti sto solo dicendo cosa… cosa avresti in cambio.
Sperai ardentemente che Aro ricordasse il racconto della battaglia dell'anno prima. Quelli dei suoi che avevano visto i roghi con i corpi dei neonati uccisi ardere dopo la battaglia ne erano rimasti fortemente impressionati.
I suoi occhi millenari mi scrutavano, immobili e profondi. Cominciai a sperare quando mi sembrò –forse era solo un’illusione- che la sua espressione cambiasse allo stesso modo di quella di chi riceve l’invito ad unirsi ad un bel gioco; incredibilmente, su quel volto perfetto si dipinse un sorriso divertito.
-Non devi temere nulla, Isabella- bisbigliò Aro con inquietante tenerezza. -Ora andiamo, piccina. Abbiamo molta strada da fare e tu non sei immune alla fatica.
Ero una pietra.
Non riuscii a muovermi, venni aiutata a salire in macchina da mani gelide e delicate.
Non potevo sentire dolore mentre la strada scorreva sotto di noi e, alle mie spalle, si allontanavano i pini della riserva e le ragioni che avevo di restare viva.
-Mi dispiacerebbe ma ti lascerei andare, a me andare via è servito. A volte andare via cambia tutto.
-Ma noi apparteniamo a questo posto, Jake, non dirmi che non te ne sei accorto anche tu. Ecco, vedi che non sai cosa dirmi? Ma tanto io non ho niente da perdere, giusto?
-No, infatti, proprio niente da perdere. Solo una madre, un fratello e un sacco di gente che ti vuole bene. Ma finiscila, su, prima che mi venga voglia di mutare e azzannarti…
-E’ colpa tua se me ne vado, comunque. Tua e di quella lagna assurda di tua moglie.
-E che ti abbiamo fatto di male, noi? Io…
-Non capisci niente, come al solito. E’ che… Dio mi perdoni ma siete bellissimi. Fate luce. Siete uno sputo in faccia all’imprinting e questa cosa… Voglio dire, magari…
-Non magari, Lee, non magari. Io sono sicuro che da qualche parte c’è qualcuno che ti aspetta. Deve essere così, cazzo.
-Allora dammi il permesso di andare via. Perché se Mr. Qualcuno esiste, sono strasicura che non si trova a La Push, fidati.
-Dopo, quando tutto sarà finito. Adesso ho bisogno di te. Quando tutto sarà finito, sarai libera di andare dove vuoi.
-...ti senti bene?
-Uhu?
-...hai detto che hai bisogno di me.
-Era solo per farti felice. Sai, sono il capo, devo tenervi il morale alto. Lavoro di spogliatoio, insomma.
-Fottiti, Jake.
-Oh, no! Cazzo, no! Jacob non deve farlo!
-Che cosa? Mi sembra che si sia comportato be…
-Non deve farla andare via.
-Seth! Io penso… Io ho sempre pensato che sarebbe stata la cosa migliore per lei, andarsene. Voglio dire, se io mi fossi trovata nella sua situazione e in più avessi continuamente sotto il naso il mio ex… e poi adesso loro hanno anche una figlia, te ne rendi conto? E’ atroce.
-Già. Certo, deve rifarsi una vita, lei- rispose a denti stretti Seth.
La musica sfumò fino a cessare, le coppie si fermarono al centro della sala del piccolo pub in riva al mare –quello della nostra prima cena insieme- dove Jacob ed io eravamo riusciti ad organizzare anche un piccolo rinfresco per i nostri amici.
Seth mise la mia mano in quella di Jacob, che aveva lasciato Leah al tavolo delle bibite ed era venuto a riprendermi. Rimasi pensierosa e triste per un po’, anche se la musica era ripartita e Jake mi teneva stretta, mentre non facevamo nemmeno finta di ballare sulle note di un lento assassino.
Riflettendoci su, potevo capire Seth e la sua reazione all’idea che la sorella li lasciasse, lui e sua madre. Poco più di un anno prima esisteva una famiglia Clearwater formata da quattro persone che si volevano un gran bene; se anche Leah se ne fosse andata, ne sarebbe rimasta la metà e forse qualcosa meno.
Sue passava un sacco di tempo con Charlie. Nessuno era sicuro di cosa ci fosse tra loro due, nessuno li aveva mai visti baciarsi o tenersi per mano, per esempio, ma era evidente che si stava creando un legame; forse Seth non gradiva che il padre venisse sostituito tanto in fretta. Non potevo dubitare della delicatezza e del tatto di Charlie, ma c’era poco da essere delicati: lui e Sue passavano insieme quasi ogni momento libero, con Billy e altri amici ma spesso anche da soli.
Cosa sarebbe rimasto a Seth se anche Leah se ne fosse andata?
Riflettevo su questo... e su Angela che ballava con Embry sbirciando David. Mi scappò un sorriso.
-Mi piacerebbe che succedesse a tutti, Jake.
-Cosa?
-Quello che è successo a noi.
Jake scoppiò a ridere.
-Un attimo. Specifica bene a cosa ti riferisci e ricordati che gli dei ascoltano i nostri desideri.
-Intendo dire… Vai a quel paese, non te lo dico più.
-Dai, lo sai che ho capito, piccola- mormorò lui, serio. Portò la mia mano alla bocca e posò un bacio sul mio anello nuovo di zecca, che splendeva illuminato dalle luci della pista da ballo. Mi stava davvero bene, come se fosse sempre stato lì.
-Lo so che siamo stati fortunati. Come pochi al mondo.
Fortunati, sì, e stravolti dalla stanchezza. Eravamo letteralmente due zombie, Jacob ed io, quando arrivammo a quella che era stata casa mia e che da adesso sarebbe stata casa nostra, fino al giorno in cui non avessimo potuto permettercene una più grande. Non riuscimmo nemmeno ad apprezzare i fiori che qualcuno aveva sparso sui tre scalini, le ghirlande sulla porta e le piccole lanterne accese che circondavano il patio.
Elias mangiò e si addormentò subito, immediatamente seguito da noi due che quasi svenimmo sul letto con indosso ancora i vestiti da cerimonia. Jacob non fece nemmeno in tempo a togliersi le scarpe.
Io aprii gli occhi un paio d’ore dopo, forse colpita dalla quiete irreale della nostra casa.
Nel buio, il silenzio era rotto solo dal respiro tranquillo di mio marito. Mio marito? Oh, accidenti... Mio. Marito.
Sorrisi tra me e me e in realtà sorrisi al mondo, ma durò poco.
Quella pace liberò i pensieri; purtroppo, anche quelli che ero riuscita a tenere lontani fino a quel momento. Tornarono ad assediarmi la mente, il solito attacco di vespe rabbiose, un violenza cruda e repentina alla gioia luminosa che mi aveva avvolta tutto il giorno.
Non c’è tempo.
Mi spogliai senza far rumore e senza sciogliere i capelli. Gli sarebbe piaciuto infilarci le mani e scioglierli lui stesso, come faceva sempre. Cominciai ad accarezzarlo piano.
* * *
Un paio di giorni dopo, mentre cercavo di far entrare in un armadio già pieno lo scarno guardaroba di Jacob, una voce d’angelo mi fece voltare verso la porta con un tuffo al cuore.
-Scusa, Bella, la porta era aperta e io…
-Alice! Oh, tesoro! Alice!
Vederla mi faceva sempre lo stesso effetto: l’impulso irrefrenabile di abbracciarla e fare il pieno di lei, prima che scomparisse di nuovo. Non l’avevo più vista dopo quel giorno a casa di Charlie e mi mancava da morire, anche perché già in quell’occasione mi era parsa diversa: sembrava avere abbandonato una volta per tutte l’atteggiamento iperprotettivo e condiscendente che un tempo aveva avuto nei miei confronti. Avevo come l’impressione che fosse rimasto solo il lato positivo del nostro rapporto: una "sorellanza" tra donne legate da un affetto inattaccabile e da intense esperienze passate. Poco importava, ormai, che fossimo diverse come il giorno e la notte.
Evidentemente aveva approfittato del permesso di muoversi liberamente nella riserva che i Cullen avevano avuto da Jake, fino a quando non fosse cessato l’allarme Volturi, ed io non avrei potuto esserne più felice. Mentre mi appendevo al collo della mia amica, lei sventolava un pacchetto lungo e piatto avvolto in una lucida carta dorata.
-Va bene che non è la stessa cosa, va bene che teoricamente non sono affari miei, però avresti potuto almeno dirmelo. Magari un modo di farvi un regalo senza fare una gaffe l’avrei trovato, no? In fondo, ho un’ottantina d’anni di esperienza di bon ton... E poi, non lo sai che va molto di moda sposarsi almeno un paio di volte?
-Lui… lui come sta?
-Lui va in giro per il mondo. E’ passato da Denali, ha parlato di andare a trovare certi amici di Jasper in Europa… così. Un po’ alla volta, Bella. Dagli tempo.
-Ma tu pensi che…
-Che sia disperato? Sì, lo è. Ma contemporaneamente è sollevato, credimi. Non è mai stato davvero convinto di fare la cosa giusta, a trasformarti, e ha sempre voluto soprattutto che tu fossi felice.
Mi guardò intensamente con i suoi occhi fatati.
-Perciò, cara la mia licantropa, se vuoi davvero aiutare Edward datti da fare per essere felice, OK? E adesso… fammi vedere il cucciolo. Come sta? Ah, questa è una sciocchezza da parte di tutti noi. Non disturbarti a ringraziare, tanto per un bel po’ non te ne farai un bel niente.
Elias sedeva nella sua sdraietta con una stella di pelouche in mano. Mio figlio cominciava ad interessarsi a ciò che succedeva attorno a lui e la voce squillante di Alice attirò la sua attenzione; voltò i grandi occhi scuri verso la mia amica.
Mentre io aprivo il pacchetto dorato che mi aveva messo in mano, Alice pescò a caso dalla cesta dove avevo sistemato provvisoriamente tutti i regali che lei, Esme e Rose avevano comprato per il loro eventuale nipote. Avevo dovuto portarli via da casa Cullen, col cuore a pezzi, l’ultima volta che ci ero stata. Ruppe la carta –un tripudio di orsetti colorati- davanti agli occhi di Elias e tentò di mettergli nelle manine le grosse chiavi di plastica colorata che ne aveva estratto.
Non feci in tempo a sgridarla per il regalo folle che aveva fatto a me e Jacob, un buono senza scadenza per una settimana da sogno a Maui. Fu come una secchiata d’acqua gelida in pieno viso. La chiamai e non mi rispose, tentai di riscuoterla ma non si mosse e non reagì per una ventina di secondi almeno, che mi sembrarono lunghi come la mia stessa vita e durante i quali compresi che era arrivato il momento.
* * *
-Cosa hai visto? Cosa? Parla, per favore.-Non c’è tempo. Non c’è tempo, Bella, sono qui… sono quasi qui!
-Lo so che non c’è tempo, lo sapevo già. Dimmi che cosa ha visto, Alice!
-Co... Come, lo sapevi già? Stanno arrivando e non sono né settimane né giorni, Bella, sono ore e io non capisco… non capisco perché li vedo solo ora, non so… Oddio, mi dispiace così tanto!
Per la prima e l’ultima volta nella mia vita vidi un vampiro tremare. Alice continuava a guardare nel vuoto, come scossa da brividi e visibilmente sconvolta. Io non sapevo cosa fare, perché un bicchiere d’acqua non sarebbe servito a niente, nient’altro sarebbe servito a niente; Elias aveva iniziato a strillare e come al solito questo mi mise in movimento.
Elias.
Tirai fuori dallo sgabuzzino la solita borsa e cominciai a riempirla. I cambi, il carillon, il ciuccio e… un biberon. Sì, stavolta forse sarebbe servito anche quello. Non sapevo quando avrei nutrito di nuovo mio figlio né fino a quando Emily ce l’avrebbe fatta, con due piccoli.
Salviettine, la sua copertina. Il suo orsetto di pezza, quello che tenevo nel letto grande perché avesse sempre il nostro odore. Elias si calmava subito quando glielo mettevo vicino. Jacob lo sapeva dell’orsetto, sì, ma forse avrei dovuto scriverlo su un foglio. Jacob spesso era al lavoro e…
Vacillai.
Mi appoggiai al piano del tavolo per non cadere, colpita per un attimo dalla percezione lucida che forse avevo già visto mio marito per l’ultima volta. Cosa aveva addosso quella mattina? Com’era il suo odore?
Glielo avevo detto, che lo amavo, prima che uscisse di casa?
Decisi che non avrei sentito più niente.
Era una contraddizione solo apparente: se volevo muovermi e respirare e fare quello che dovevo fare, era necessario che diventassi una pietra e rifiutassi di sentire qualsiasi cosa. Il pianto di Elias diventò più intenso e disperato, quasi avesse avvertito che mi ero allontanata, e questo mi costrinse ad indurire lo strato freddo che avevo messo a protezione del cuore.
Ero tutto tranne che un’eroina, io.
Non avevo né il coraggio incosciente che serve a compiere senza paura atti grandiosi, né il coraggio consapevole che serve a rischiare la vita per libera scelta. Ero solo un’egoista che sceglieva il male minore, aiutata da una certa stupidità corporea che mi impediva di preoccuparmi troppo della sofferenza fisica. Ero solamente una che era incappata in una circostanza e avrebbe fatto ciò che le faceva meno male.
Ci sono brave persone che diventano assassini perché si trovano in mano un fucile nel momento sbagliato. Ci sono delinquenti potenziali che non hanno mai ucciso solo perché non gli si è mai presentata l’occasione per farlo. Spesso sono solo le circostanze a creare eroi o criminali o costringerti a qualcosa che non avresti mai creduto di poter fare, e per me fu semplicemente così. Costretta a deciderein fretta come comportarmi, scoprii per pura combinazione cosa sarei riuscita a sopportare e cosa no, e il caso volle che Alice fosse della mia stessa idea. Il caso volle che anche Alice non chiedesse altro che di proteggere le persone che amava e che fosse disposta a qualsiasi cosa per riuscirci.
Sempre per caso, c’erano al momento ben poche alternative, anzi non ce n’era nessuna: sia io che Alice avremmo potuto sfuggire eternamente a Demetri, io grazie alla mia mente muta e lei grazie al suo dono di prevederne le mosse, ma i Volturi si stavano avvicinando a Forks e alla Riserva e non c’era niente al mondo che avrebbe potuto fermarli.
Niente tranne una cosa. Forse. Non ero nemmeno sicura di quello.
Cercavo di non guardare mio figlio e di resistere alla tentazione di toccarlo e prenderlo in braccio, o avrei infranto del tutto la mia già fragile determinazione.
Alice vide disegnarsi confusamente qualcosa mentre le spiegavo cosa volevo fare e nello stesso tempo riempivo la borsa di Elias; questo mi confortò, perché significava che per qualcuno ci sarebbe stato un futuro.
-Vengono per incontrare Carlisle. Aro gli contesterà che tu non sia stata trasformata… vuole anche sapere di tuo figlio, crede ancora che sia figlio di Edward… Non vedo bene. Stanno venendo da noi, Bella. Aro non vuole andarsene a mani vuote!
-Dobbiamo fermarli prima. Devo farmi trovare e parlare con lui.
-Tu sei pazza! E poi, cosa ti fa pensare che ad Aro… Oh. Ho capito.
Discutemmo i dettagli, li ripetemmo più volte per un tempo che mi sembrò infinito mentre cercavo di imprimere nella mia mente le informazioni che Aro non avrebbe potuto mai leggere; quando ci abbracciammo non fu solo per prepararci alla separazione, ma anche e soprattutto per darci coraggio.
Mentre stringevo convulsamente il corpo fresco di Alice, in cerca di conforto, già ero andata via, già non ero più lì.
Guardai l’orologio: sembrava un'eternità ma erano passati solo pochi minuti. Ora che sapevamo cosa fare, ogni secondo perso bruciava come un ferro rovente nella carne; tuttavia quando ci precipitammo fuori, io con Elias stretto tra le braccia ed Alice con le nostre borse, non potei fare a meno di fermarmi un istante sulla soglia.
Mi voltai verso le stanze dove avevo ricominciato a vivere, ancora impregnate dei nostri odori e della felicità che avevo condiviso con Jacob. Mi fermai prima di chiudere la porta per sempre e cercai di imprimere i dettagli nella memoria, pervasa dalla stessa urgenza, dalla stessa tensione febbrile con la quale un assetato vuota fino all’ultima goccia il suo ultimo bicchiere d’acqua.
Era così morbida la luce del sole smorzata dalle tende, così sereni i piatti sulle mensole, i fiori appesi a seccare a testa in giù, una maglietta di Jake sullo schienale di una sedia e la cesta di Elias sotto alla finestra. E’ così banale dire quanto tutto mi sembrasse prezioso, quasi l’universo si fosse concentrato nella mia cucina alle dieci del mattino di quel giorno di fine estate.
Sentii di dover fare ancora una cosa.
Non sarebbero caduti nelle mani di nessuno, non sarebbero andati persi; forse sarebbero di nuovo stati indossati da una persona molto amata.
Tolsi il mio anello da sposa e il bracciale con il lupetto di legno e li lasciai bene in vista al centro del tavolo, vicino al vaso traboccante dei fiori freschi arrivati il giorno del mio matrimonio.
Mi congedai da tutto con l'impressione che avrei potuto reggere ancora un poco.
Il calendario sulla parete segnava esattamente sette giorni dalla notte in cui avevo sognato Harry Clearwater.
* * *
Non sono in grado di ricordare il momento in cui lasciai Elias ad Emily; o meglio, credo che se avessi la forza di rivivere il dolore più straziante della mia vita, forse anche i dettagli riemergerebbero dalla memoria. Invece vedo solo immagini confuse e provo sensazioni mentali e corporee allo stesso tempo; i miei pensieri se ne allontanano con uno spasmo, è come un giorno in cui, nuotando in mare, avevo cercato con un disperato colpo di reni di allontanarmi da una grossa medusa che ondeggiava inesorabile nella mia direzione, trasportata dalla corrente. Lo stesso spasmo lo prova la mia memoria, pensando al momento in cui, fingendo indifferenza, consegnai mio figlio alle braccia di Emily baciandolo come se la separazione non fosse nulla di più che un banale fatto di quotidianità. Mi costrinsi a sorridere mentre glielo porgevo e una parte di me, violentata da quella discordanza tra mente e cuore, si incrinò e rimase danneggiata per sempre; ancora mi capita, ogni tanto, di sognare quell’attimo e non c’è una sola volta in cui io non mi svegli urlando.* * *
Dopo quello, il resto non fu nulla e scorse su di me come l’acqua gelida sulla roccia.Abbracciai di nuovo Alice come un automa e mi strappai da lei senza troppa fatica, perché avevo esaurito la mia capacità di soffrire.
Jacob aveva recuperato e sistemato per me un altro Chevy, rosso come l’originale e non altrettanto vecchio; era stato il regalo di nozze di Billy Black. Con quello guidai fino al punto della strada dove loro avrebbero dovuto passare per forza per dirigersi dai Cullen. Alice aveva visto una lussuosa auto nera e io speravo con tutte le mie forze che non si fosse sbagliata, che non avessero deciso di muoversi come sapevano fare, attraverso i boschi, vanificando completamente il nostro piano. Che peraltro era costruito su nient'altro che un fragile castello di carte, un delicato intreccio di supposizioni mescolate alle visioni confuse di Alice e ai miei sogni; sarebbe bastato un microscopico cambiamento o che io avessi sbagliato una sola mossa e tutto sarebbe stato vano.
La tensione mi impietrì a sufficienza per reggermi in piedi fino alla fine; quando arrivarono mi trovarono con gli occhi asciutti e ancora abbastanza lucida da riconoscerli tutti.
Erano in otto.
Le auto erano due, grosse, scure e lussuose e viaggiavano in fila. Il primo ad apparire vicino a quella che stava davanti fu il piccolo Alec; aprì la portiera nera a sua sorella, che scese dall’auto leggera ed elegante come un soffio di vento su una piuma.
Era bellissima, anche più di come la ricordavo.
Le sue labbra rosse e piene si mossero sinuose; spiccavano come un richiamo di sangue sul suo viso, tanto incantevoli da apparire irreali e catturarono il mio sguardo molto più degli occhi color rubino che mi fissavano.
-Bene, bene. E’ un piacere rivederti, cara. Che fortunata combinazione, stavamo venendo giusto da voi.
-Devo parlare con Aro, subito. E’ estremamente urgente.
-Tu… tu, piccola, miserabile umana pretendi di parlare con Aro? E perché mai? E come sai della sua presenza? Ah, capisco... la vostra strega personale.
-Aro mi ascolterebbe. Devo riferire un messaggio di Alice Cullen e ho dato la mia parola di riferirlo solo ed esclusivamente a lui. E lo farò solo se mi portate immediatamente da lui, ovunque si trovi.
-Sei pazza o è uno scherzo? Cosa ci sta dietro? Parla!
-Solo con Aro.
-Parla. Te lo consiglio caldamente.
Scoprì i denti in un sorriso innocente e le zanne bianche sembrarono allungarsi e scintillare. Percepii il tremito del mio corpo come se appartenesse a qualcun altro.
Dietro a Jane, altre due sagome si materializzarono; una alta e robusta. Felix, quello che aveva lottato con Edward a Volterra e lo aveva quasi ucciso. Di fianco a lui, solo di poco più basso, la sagoma imponente e le spalle squadrate di un austero vampiro dall'aria marziale. Caius, uno dei Tre: quello che mi voleva morta.
Tremai più forte.
-Solo con Aro e solo se ce ne andiamo subito di qua.
-Non ti uccido solo perché il mio Signore potrebbe seccarsi… E non posso danneggiarti per lo stesso motivo. Che peccato. Ma sei fortunata... non dovrai aspettare molto per vederlo.
-Le tue parole hanno stuzzicato la mia curiosità. Cosa mi devi dire di così importante, Isabella cara?
La voce maschile era incredibilmente soave e mi sembrò per un istante incorporea e lontana da tutto; una voce del genere non poteva stare in un mondo così orribile, dove stavo per perdere tutto ciò che esisteva di prezioso.
Non avevo in alcun modo percepito la presenza di Aro dietro di me; lo sentii soffiare le parole quasi nei miei capelli. Mi girai e lo vidi sorridere tanto dolcemente quanto la sua voce era soave. Era come lo ricordavo dall’ultima volta che lo avevo visto: di una bellezza ultraterrena, resa polverosa dai millenni.
Tanta dolcezza ipnotica mi fece per un attimo dimenticare la morte che sedeva tranquilla, come in attesa, dietro il suo sguardo. Come mi era già successo a Palazzo dei Priori, non riuscivo a togliere gli occhi da lui.
-Io.. io credo di sapere cosa vuoi. Edward lo ha visto nei tuoi pensieri, ricordi? –riuscii a dire, dopo avere raccolto tutto il coraggio che mi restava. Mi sentivo avvampare sotto lo sguardo divertito di Aro.
- Io sono qui e sono pronta a seguirti. E lo farà anche Alice se... se ce ne andiamo immediatamente, senza andare dai Cullen. Se cercherete di farmi parlare contro la mia volontà, Alice non verrà. Se mi torturerete o mi farete del male in qualsiasi modo, Alice non verrà. Ma se ce ne andiamo subito e mi portate viva in Italia, io ti giuro che entro un mese dal nostro arrivo a Volterra Alice si unirà alla Guardia. Se non rispetterà il patto, Aro, io sarò nelle vostre mani e potrete fare di me quello che crederete meglio- avevo concluso, mentre la voce mi moriva in gola.
Pensavo che Aro si sarebbe infastidito per la mia sfacciataggine; invece, scoppiò a ridere. Pareva decisamente divertito; mi chiesi con un brivido di paura quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno gli aveva dettato della condizioni.
-Mia piccola Isabella. Io dovrei privarmi della gioia di visitare il mio amico Carlisle e la sua famiglia, per quanto nella triste circostanza di trovarlo mancante nei confronti della Legge… E tu mi offri in cambio qualcosa che probabilmente otterrei comunque? Non ti sembra leggermente, come dire, iniquo?
-Me mi avresti comunque, sì… Ma forse mio... marito. Edward. Tenterebbe di difendermi con tutta la famiglia, prima di soccombere. Forse perderesti qualcosa o qualcuno in ogni caso. E Alice… Alice non l’avresti mai. Lei ci terrà d’occhio e verrà da te solo alle condizioni che ti ho spiegato. Io non ti posso impedire niente, lo so. Io ti sto solo dicendo cosa… cosa avresti in cambio.
Sperai ardentemente che Aro ricordasse il racconto della battaglia dell'anno prima. Quelli dei suoi che avevano visto i roghi con i corpi dei neonati uccisi ardere dopo la battaglia ne erano rimasti fortemente impressionati.
I suoi occhi millenari mi scrutavano, immobili e profondi. Cominciai a sperare quando mi sembrò –forse era solo un’illusione- che la sua espressione cambiasse allo stesso modo di quella di chi riceve l’invito ad unirsi ad un bel gioco; incredibilmente, su quel volto perfetto si dipinse un sorriso divertito.
-Non devi temere nulla, Isabella- bisbigliò Aro con inquietante tenerezza. -Ora andiamo, piccina. Abbiamo molta strada da fare e tu non sei immune alla fatica.
Ero una pietra.
Non riuscii a muovermi, venni aiutata a salire in macchina da mani gelide e delicate.
Non potevo sentire dolore mentre la strada scorreva sotto di noi e, alle mie spalle, si allontanavano i pini della riserva e le ragioni che avevo di restare viva.
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