Questa copertina è stata creata da Vivien L |
Era scesa la notte su uno dei giorni più duri della mia vita.
Ero stanca e non solo nel corpo, nei pensieri o nell'umore; una parte di me, forse quella responsabile dei miei strani sogni, avvertiva chiaramente che forze lente ma inesorabili si erano messe in moto. Potevo quasi vederle; la mia mente me le presentava nella forma di enormi mostri nascosti nell'ombra, che avrebbero avvolto nelle loro spire i destini di tutti noi. In che modo, lo avrei capito chiaramente soltanto anni dopo.
Perciò in realtà il calar del sole non ci aveva regalato né pace né riposo; l'aria era ancora carica di tensione, come una creatura viva che portasse addosso ferite aperte e sanguinanti, i segni della battaglia che si era svolta poche ore prima, i presentimenti di battaglie ancora lontane, da combattere negli anni a venire.Le case dei Quileute distavano tra di loro al massimo un miglio, un miglio e mezzo le più lontane; da casa Clearwater a casa nostra era una camminata di qualche minuto. Ma mi sembrò interminabile, perché Jacob non parlava.
Mi stringeva convulsamente la mano, ne accarezzava il dorso con il pollice di tanto in tanto, ma taceva ostinatamente e non mi guardava nemmeno. Il collo teso e la mascella contratta, evitava in ogni modo i miei occhi; guardava davanti a noi oppure ai nostri fianchi, nel buio che circondava il sentiero, con scatti rapidi della testa. La tensione che lo percorreva mi arrivava attraverso le nostre mani che, anche se unite, bruciavano e si cercavano senza riuscire a trovarsi davvero.
Mi aveva stretta in un abbraccio rude quando l’avevo travolto al suo arrivo, un abbraccio che sapeva di fango e foresta e dell'odore metallico del sangue. Era graffiato, sporco e fiero; gli occhi come accesi da una fiamma interna, quasi allucinati, un modo di guardarmi che non riuscivo a definire ma che indubbiamente bruciava. Si era quasi subito staccato da me per salutare rapidamente prima Sue, che stringeva a sé un Seth altrettanto sporco, assolutamente euforico, e poi Leah che lo guardava di sottecchi.
-Che hai da guardarmi così, Clearwater?
-Sei patetico, Black. Si vede lontano un miglio che stai per…
-‘Fanculo. Ah, e grazie.
-Non c’è di che… E’ stato un piacere portarmi tua moglie sulla schiena per un paio di cento miglia, non vedo l’ora di rifarlo.
Per un attimo l’emozione del momento si era stemperata in una risata collettiva, poi era arrivata in fretta l'ora di andare a casa. Sue voleva godersi il ritorno dei suoi ragazzi, Seth sembrava teso.
Allora Jacob aveva preso suo figlio e se lo era posato sulla spalla. Adoravo vederli così, come la prima volta che li avevo visti insieme.
-Te la senti di camminare, Bells?
Avrei volato senza bisogno di ali o di magia, tanta era la voglia di tornare a casa con lui.
Ma ci eravamo avviati e quel pezzo di strada sembrava non finire mai.
* * *
La mia casa. La mia casa. Ero a casa.
Feci pochi passi e mi riempii dell'odore amato delle nostre cose, cibo, sapone, lavanda, magnolia, legna, crema per bambini. Odore di bambini piccoli. Fiori secchi, notte, una folata di erba umida quando Jake aveva chiuso la porta. Tremavo, ubriaca di emozione e gratitudine, gli occhi chiusi, le mani aperte come per assorbire tutta la gioia che trasudava dallo scenario della mia vita con loro.
Il mio Jacob, il mio Elias.
Il piccolo si era riaddormentato, cullato dal dondolio dei passi di suo padre; Jake lo aveva posato nella culla e coperto teneramente, silenzioso come sempre.
Non aveva acceso la luce.
Io mossi ancora qualche passo, ormai persuasa che potevo lasciarmi andare. Che ero davvero al sicuro.
Ero nell'esatto punto in cui avevo deciso che preferivo perdere me stessa che perdere loro. Jacob ed Elias.
Jacob.
Sul tavolo stavano ancora il mio anello ed il bracciale; non erano stati spostati di un millimetro.
Feci un altro passo avanti per recuperarli e scivolai su qualcosa; mancò poco che non cadessi per terra.
Erano cocci.
Qualcosa era andato a pezzi; nella penombra riuscii a distinguere decori scuri su fondo bianco e riconobbi il vaso da fiori, un regalo di nozze. L’ultima volta che l’avevo visto era al centro del tavolo, colmo dei fiori rimasti freschi dal giorno del nostro matrimonio. Come si era rotto? Non mi ci volle molto a indovinarlo.
Jacob mi guardava in silenzio, immobile accanto alla culla, mentre cominciavo a capire.
La sua carnagione scura si confondeva con l’ombra e questa a sua volta sfumava i tratti del viso e il profilo della testa e delle spalle. Gli occhi ancora sembravano illuminati da dentro; nel buio scintillavano, ma erano duri, quasi taglienti.
-Non volevo che andassero persi. Che… che li prendessero loro, ecco.
Lui continuava a tacere, immobile e bellissimo. Così bello da togliermi il respiro e farmi mancare le forze dalla voglia di toccarlo, anche se qualcosa mi suggeriva di non farlo.
D’istinto evitai di rompere ulteriormente il silenzio.
Presi l’anello dal tavolo e lo rimisi io stessa all’anulare della mano sinistra; poi toccò al bracciale col piccolo lupo di legno tornare al suo posto.
Lentamente mi avviai in camera da letto, credendomi protetta dal buio e dalla stanchezza che ci offuscava.
C’è una parte di Jacob che è puro istinto e sarebbe fin troppo facile attribuirla al lupo; in realtà non ho mai capito quanto appartenga al lupo e quanto sia semplicemente Jacob, e come sarebbe se il lupo non fosse mai entrato nella nostra vita. L'essenza di ciò che è Jacob comunica con il corpo e non con le parole; si muove per istinto, reagisce agli odori e agli altri sensi, risponde solo a chi gli parla nello stesso misterioso linguaggio. E’ la manifestazione di qualcosa di potente, forse proprio ciò che mi spaventava quando sono scappata verso un destino di principessa di ghiaccio; quando era molto più semplice pensarmi come la protagonista di una favola che lasciarmi ferire dalla calda, brutale verità della vita. Dalla carne e dal sangue, le nascite e le morti, il perdersi e il ritrovarsi.
Non riuscii a raggiungere la nostra stanza perché due mani calde mi strinsero le spalle, mi voltarono spingendomi contro il muro e due labbra febbricitanti mi chiusero rabbiosamente la bocca. Non l'avevo sentito muoversi, perciò mi spaventai ma fu solo un attimo: il mio corpo lo aveva riconosciuto molto prima di me e non aveva paura.
Era molto peggio della paura.
Mi faceva molto più male, perché sapevo perfettamente di cosa si trattava: era dolore nascosto sotto un mantello di fuoco e mi trafiggeva, come era sempre stato. Il suo dolore era sempre stato il mio, anche quando non sapevo di amarlo più di me stessa. E io volevo solo accoglierlo, fare in modo che la sofferenza bruciasse e si spegnesse, che ne restasse solo cenere e che alla fine fosse spazzata via.
Quando me lo permise ricambiai il bacio, restando però in ascolto; feci un passo indietro da me stessa e mi limitai ad ascoltare, immobile. Sentii le mani cercare la pelle nuda, sentii le ferite come solchi ormai chiusi sulla sua pelle. Mi sentii stringere contro tutta quella forza e quel tremito affannato, pelle e carne e muscoli, poi un rumore profondo si spense nei miei capelli; poi non capii più molto, c'era solo buio e caldo e il suo corpo che si faceva strada dentro il mio. Riuscii a non lasciarmi andare, a non perdermi del tutto; restai lucida ad accogliere il suo dolore per trasformarlo in qualcos’altro, piacere, follia, oblio, qualunque cosa purché Jacob smettesse di soffrire. Lo sentii cercarmi con tutte le sue forze, gli andai incontro, lo assecondai; compresi che ero il luogo a cui voleva ritornare, e in me alla fine fummo di nuovo uniti. Un solo grido soffocato ci fece tremare insieme, al riparo del mio corpo e dei miei capelli.
Lui restò immobile. Posai le labbra sulla sua fronte sudata, senza parlare; gli accarezzai la nuca con la punta delle dita. Avrei voluto dirgli quanto lo amavo, ma sapevo che non era il momento. Non ancora.
Poi lo sentii sussultare.
Una volta, poi di nuovo. Si nascose di più, tra il collo e i capelli umidi. Gli sfiorai gli occhi e le guance trovandoli bagnati, ma non sarebbe stato necessario: sapevo già. Assieme alla notte lo strinsi più forte e lo riparai da inesistenti sguardi indiscreti; nessuno avrebbe violato il pianto del mio uomo.
A poco a poco ci vinse un sonno misericordioso.
Normalità, ecco di cosa avevamo bisogno. Uova e pancetta, succo d’arancia, qualche porcheria dolce, pane e burro d’arachidi. Non proprio da manuale di dietologia, ma era quello che ci voleva per noi.
Ah, e anche un po’ di caffè.
Spalancai le finestre; fuori c’era il sole. Non c’era silenzio: gli uccelli cantavano, una macchina passava in lontananza e Emily doveva avere aperto una discoteca perché la musica da casa sua arrivava fino a noi, martellante e allegramente stupida.
La gioia mi attraversò come un’onda luminosa, come il sole così raro a Forks che quando buca le nuvole sembra ancora più forte e splendente, proprio perché lo si vede così poco.
Sei viva, continuava a ripetere una voce dentro di me. Sei viva.
Ero viva!
Oh, dio.
Forse però anche la morte non era poi tanto male. Dio, che nausea! Feci appena in tempo ad arrivare in bagno.
E non avevo ancora mangiato niente!
-Dovrò rimanere tuo schiavo per l’eternità per farmi perdonare, giusto?
-Eh, sì. Stavolta sì.
Jacob aveva ancora la faccia impastata di sonno e solo un paio di boxer addosso; non avessi avuto qualche divergenza d’opinioni con il mio stomaco, forse lo avrei steso sul divano per dargli il buongiorno.
Mi abbracciò e posò la guancia sui miei capelli; mi accarezzava la schiena dolcemente, con le mani aperte, come se avesse voluto sentire più pelle che poteva sotto i palmi.
-Che è questo odore? Sei stata male?
-Uh… sì. Cioè, no. Niente di grave, direi.
-Fingi di star male per non prenderti quel che ti meriti?
-Ma figurati. Non so per cosa, ma puoi punirmi severamente se credi. Dopo colazione.
Jacob che cercava di fare entrare l’universo prima nel suo piatto e poi nel suo stomaco, l’aria, il sole, nostro figlio che cominciava a svegliarsi; vedevo le manine di Elias, le sue piccole mani perfette, spuntare dal bordo della cesta. Cominciava a chiacchierare da solo, con le sue dita o con le api colorate appese sopra la sua testa; alla mattina il mio bambino era particolarmente allegro.
Dottore, che sintomi ha la felicità?
-Ok. Adesso io e te dobbiamo parlare.
-Mh? Dobbiamo proprio? E’ finito tutto bene, no?
-Non me lo fare più. Mai più, hai capito? Mai. Più.
-Spiegami una cosa, Jake. Perché tu puoi rischiare la pelle per me e io no? Stai cominciando a trattarmi anche tu come un’incapace?
-Tu non devi rischiare. Punto. E basta.
-Volevano me, ricordi? Forse anche Alice ed Edward, ma il pretesto ero io e non c’era nient’altro da fare. Ho fatto la cosa più semplice e ovvia che si doveva fare e voi non me l’avreste mai permesso…
-Dio santo, Bells! Ragiona un momento…
-Ho ragionato e rifarei tutto.
-Ecco, se dici così allora vuol dire che Edward aveva ragione a marcarti a uomo!
-Jake!
Eravamo ancora seduti al nostro tavolo, i cadaveri della colazione in ordine sparso sulle tovagliette colorate. Jacob mi raggiunse, si inginocchiò davanti a me. Anche così mi arrivava praticamente all’altezza degli occhi.
-Sono quasi morto di paura.
-Guardami negli occhi. Sei un bugiardo, Jacob. Forza, dimmi qual è la prima cosa che hai pensato. La primissima cosa.
Touché. Jacob divenne rosso come la presina a forma di pomodoro appesa sulla parete dietro al fornello.
-Tu hai pensato che ti avevo lasciato. E il vaso dei fiori ha fatto una brutta fine! Mi piaceva un sacco, quel vaso.
-Mh, ecco. Io… Insomma, tu…
-Io, insomma, tu un accidente! Ma ti pare? Cioè... Hai visto l’anello e hai pensato che ti avevo mollato. Devi avere un’altissima opinione di me… Una settimana prima ti chiedo di sposarmi. Io, che mi diverto tantissimo a sposarmi. Dopo tutto quello che abbiamo passato, poi. E una settimana dopo ti lascio senza dirti una parola? Ok. Va bene, ho dei precedenti. Sono schedata, ero nella lista degli indiziati. Ma insomma, dopo tutto quello che è successo! E poi secondo te avrei abbandonato Elias, eh?
-E va bene, maledizione! E’ stata la prima cosa che ho pensato. Mi sono preso dell’idiota persino da…
Ed ecco due metri di uomo lupo arrossire di nuovo. Un ragazzino pescato con le mani nella marmellata.
-…da?
-Niente.
-Jacob, non peggiorare la tua posizione. Spara.
-Che palle! Da Edward!
-Da… Da Edward? Edward Cullen?
Jacob arrossì; io invece mi misi a piangere ancora prima che mi raccontasse cosa era successo.
Edward gli aveva dato dell’idiota e dell’immaturo. Non li avrei mai visti andare d’accordo nemmeno se fossi campata quanto Aro, lo sapevo. Aveva letto di noi nei pensieri di Jacob e sapeva che lo amavo davvero, così ne aveva -giustamente, devo dire- approfittato per strapazzarlo un po'.
Di nuovo mi fece stare male pensare a Edward; la colpa bruciava ancora di più, perché io ero felice oltre ogni immaginazione mentre il mio ex marito si preoccupava ancora di me, mi amava ancora, e questo poteva significare solo che soffriva ancora. Rassicurare il mio attuale marito sui miei sentimenti non era stata nemmeno la più grande delle cose che aveva fatto per me dopo che l’avevo lasciato, certamente no. Gli dovevo i miei anni a venire. Ed ero sempre più sicura che se qualcuno mi avesse detto “Fatti tagliare la mano destra ed Edward Cullen sarà felice quanto te” avrei accettato subito la proposta.
-Te lo devi far dire da Edward quanto ti amo? Ha ragione lui: sei un idiota, Jake. Spero che nostro figlio non abbia preso da te il gene dell’idiozia, oltre a quello della licantropia.
-Non ti arrabbiare, Bells. E’ che non riesco. Ancora. A crederci.
Mi aveva posato la testa in grembo e circondato la vita con le braccia.
Il mio incredibile, amatissimo testone.
-Dimmi di Edward, per favore. Ho capito bene? Andrà… andrà in Italia? Con Alice e Jasper?
-Andrà in Italia a servire le cornacchie italiane, sì. Per trecento anni. Ma suo padre non sembrava così addolorato, sai? Non so se stia facendo qualche gioco perverso, ma riesce a trovare qualcosa di positivo anche in questo, il dottore. Dice che adesso è sicuro che Edward non commetterà idiozie almeno per i prossimi settant’anni, si spera, perché si è impegnato a garantire per te finché resterai in vita. E secondo lui Aro si stuferà presto di averlo intorno, perché il capo-cornacchia qualche segretuccio da tenere ben nascosto ce l’ha di sicuro… Te lo immagini, avere Edward tra i piedi tutto il giorno?
-Jake! Sei… tu sei…
-...il tuo amore, l'hai appena detto. Ah, e poi una cosa. Carlisle continua a ripeterlo e ha ragione, secondo me. Con l’eternità o quasi davanti, la prospettiva con cui si guardano i fatti è parecchio diversa, Bells. Trecento anni non sono niente per loro. E le cose cambiano… A volte si tratta solo di tenere duro. Restare vivi, tenere duro. Andare avanti. Hanno molto più tempo di noi e ce la faranno, vedrai.
-Hanno molto più tempo di me, volevi dire. Sei immortale anche tu!
-Lo sono finché continuo a mutare. E io voglio invecchiare con te. Non muterò più.
-Ma tu sei l’Alfa! Loro hanno bisogno di te…
-Ma se hanno sempre fatto a meno di me! Cos’è tutto questo attaccamento per il sottoscritto, tutto ad un tratto? Non siamo mai stati un branco, non eravamo una tribù, non eravamo niente. Possiamo ricominciare come prima, no?
Appunto.
No che non potevano.
Jacob non lo capiva -non ancora- o forse si rifiutava di ammetterlo, ma niente sarebbe stato più come prima per i Quileute di La Push. Quelli che un paio di anni prima erano uno sparuto gruppetto di esseri umani appartenenti ad una razza in estinzione, sostenuti dall'aiuto governativo, ora non esistevano più: il branco li aveva cambiati per sempre. Non solo in lupi, ma in ciò che erano stati i loro antenati. Erano diventati una leggenda, anche se pochi la conoscevano.
D’accordo, volevamo una vita normale e pensai che era proprio questo che io volevo e potevo dare a Jacob: una vita speciale nella sua normalità, un amore sereno che sarebbe durato fino al mio ultimo respiro.
Però… volevo davvero che questa parte del mio uomo, della sua identità e della sua storia andasse perduta? Decisamente no; il nome di mio figlio ne era una prova. Elias Ephraim.
Mi resi conto di quanto ero cambiata; Jacob e soprattutto Elias avevano cambiato tutto.
-Non pensare troppo che ti vengono le rughe.
-Jake. E se io ti dicessi che… il lupo mi mancherebbe molto? Lui e tutto quello che significa?
Mi guardò perplesso e non mi rispose; colse giusto l’occasione di piazzarmi un bacio sulla bocca. Qualcosa mi disse che l’argomento tra noi sarebbe rimasto aperto per molto, molto tempo. E in quel momento mi resi conto di un'altra cosa: non saremmo stati noi a decidere. In un lampo fugace di allucinazione o di veggenza, vidi il viso sublime di Aro illuminarsi di un sorriso dolce e terrificante.
Forse Carlisle aveva ragione, almeno su una cosa. Il vero problema non sarebbe stato Edward.
Alice, Jasper ed il mio ex marito avevano trattato con Aro alcune condizioni; non sarebbero stati obbligati ad uccidere esseri umani e avrebbero potuto sempre scegliere liberamente come nutrirsi. I Volturi non erano barbari, questo me lo avevano sempre detto sia Edward che Carlisle, che aveva vissuto a lungo con loro; erano amanti e protettori delle scienze e delle arti. Forse Edward si sarebbe appassionato a qualcosa e avrebbe trovato il proprio modo di andare avanti. Io continuavo a pensare a lui come ad un diciassettene compagno di liceo; ora mi rendevo conto che il mio primo amore era invece un centenario pluridiplomato e plurilaureato che aveva anche esercitato la professione di medico, ma che tuttavia aveva sempre vissuto in qualche modo isolato, chiuso nella propria solitudine e nel rifiuto della propria condizione. Era così diverso da Carlisle. Mi illusi che un periodo lontano dalla famiglia avrebbe potuto essere un’esperienza utile per lui, in qualche modo. Di certo questo non mi fece sentire meno colpevole.
E Alice?
Intanto c’era il problema di Jasper che per seguirla si era unito ai Volturi, accolto dai gridolini giubilanti e semi-isterici di Aro, mi raccontarono. Al Signore probabilmente non era parso vero di pagare per due talenti e portarne via tre, e che talenti... Questo però avrebbe significato che Jazz sarebbe stato nuovamente esposto alla tentazione del sangue umano, e il mio ex cognato era il meno abile dei Cullen nell’autocontrollo. Avrebbe rischiato di ricadere praticamente ogni giorno e, di conseguenza, di andare a pezzi a causa dei sensi di colpa e della consapevolezza di deludere sua moglie.
Un problema in più per la mia adorata Alice. Che avrebbe fatto, lei?
Di nuovo, tutto per causa mia.
Non riuscivo ad immaginare niente di più antitetico ai Volturi della mia piccola ex cognata e non riuscivo a darmi pace.
Era partita immediatamente assieme ad Edward e Jasper perché così aveva voluto Aro, impaziente di inserire i nuovi gioielli nella sua collezione.
Avrei avuto sue notizie solo un mese dopo, giorno più giorno meno, per mezzo di una lettera.
Ciao, Bella.
Sto bene, perciò smettila di piangere, non vorrai bagnare la mia lettera, vero?
E scusami in anticipo, so già che scriverò qualcosa senza capo né coda (non mi serve la veggenza, per questo).
Avrei voluto parlarti con più calma. Anzi, a dire il vero, avrei voluto vivere con te, di più e sul serio. Lasciami divagare un attimo: credo tu non ti renda conto di quanto si sta bene nei tuoi paraggi. In un mondo dove ci si deve continuamente difendere da qualcosa, la tua dolcezza permette alle persone di abbassare le difese; il tuo essere convinta di non valere niente, il tuo modo di pensare sempre per prima cosa agli altri magari non è bene per te ma fa sentire tutti –me compresa- importanti, strafichi e soprattutto accettati per quello che sono. Ok, l'ho detto malissimo, sembra un’offesa più che un complimento. Lasciami perdere.
Cara, perfino a te manca qualche pezzo di Mary Alice Brandon Cullen la Bugiarda. E nessuno, nemmeno tu –ma non avete colpa, è che è impossibile capire- sa cosa significa realmente, nelle ore e minuti e secondi della vita di tutti i giorni, vedere quello che vedo. Nemmeno tu sai come questo “dono” mi abbia resa, alla fine, una mostruosità ai miei stessi occhi.
Tutta questa premessa per dirti che, incredibilmente, a voi sembrerò pazza ma stare qui è uno strano sollievo. Una specie di vacanza, almeno per ora. Aro mi chiede stupidaggini, o meglio informazioni che non mi importa nulla di dargli, di tipo economico o politico o culturale. Tratta affari, fonda enti, controlla governi e multinazionali, praticamente gioca di continuo ad una specie di gigantesco Monopoli, e ora che può vedere le conseguenze dirette delle sue decisioni è felice come un bambino. Felice, capisci? Gli do quello che vuole e lui mi adora. E non sono stata costretta a distruggere vite umane, almeno per il momento. Ci soffro, ovvio, perché qui continuano ad avvenire uccisioni, la dieta dei Volturi non è cambiata e di certo non cambierà per me; ma anche da lontano non avrei cambiato nulla, mentre trovandomi qui ogni tanto mi riesce di salvare qualcuno. Tutti quelli che posso, senza sentirmi Dio. Perché io non sono Dio; frequentare Aro in questo senso è istruttivo.
Oh, lascia perdere.
Sai la faccenda del battito d’ali della farfalla eccetera? La farfalla batte le ali, dall'altra parte del mondo scoppia una tempesta. L’idea di essere molto di più di una farfalla, per voi, mi stava distruggendo. Vedo universi fondersi e dividersi con tutte le loro stelle, ogni volta che descrivo a qualcuno il suo futuro, e posso raccontarne solo la parte insignificante che mi è stata chiesta.
Non voglio più interferire con la vita di nessuno che amo.
Non voglio più, in nessun modo, ed è tutto.
Devo farti una confessione.
Credo che di te e di Jacob fosse scritto da qualche parte; io che sono costretta dalla mia maledizione a guardare sempre avanti mi diletto particolarmente a guardare all’indietro, a leggere la concatenazione degli eventi col senno di poi. L’ho fatto anche con noi, con te in particolare. Beh, adesso è troppo facile da dire, vero? Che tu e Jacob vi appartenete? Quando l’ho visto la prima volta, però, non ho avuto il coraggio di dirtelo.
Insomma. Ti ho mentito. Ho visto qualcos’altro che sono in grado di comprendere appieno solo ora, ma questo non mi giustifica. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Mi sembravi così disperata, così incapace di decidere, c’era di mezzo mio fratello e allora ho deciso io per tutti: te lo ripeto, non hai capito male.
Quando mi hai chiesto se ti vedevo ancora trasformata in vampiro, ricordi? Ti ho mentito, Bella.
L’ho fatto per te, per Edward, perché sono stupida e perché ho sottovalutato l’amore umano, in particolare quello che ti lega a tuo marito. Lo sottovaluti perfino tu, te ne accorgerai col passare degli anni.
Quindi:
Non voglio che succeda mai più. Credo che nessuno di noi che apparteniamo a questo mondo avrebbe dovuto permettersi di interferire con la tua vita. Avremmo dovuto portare via Edward, essere tutti più forti ed accettare la nostra sorte, che sotto questo sole non è nemmeno la peggiore.
Mi va bene questo distacco; come ti ho già detto, provo sollievo. Mi riposerò. Devo anche capire se c’è un modo di controllare le visioni, di ammutolirle, di non essere costretta a sapere quello che non voglio sapere. Hai idea di come io mi senta a conoscere esattamente il giorno e l’ora della morte di Jasper? No, non ce l’hai. E’ questo che mi fa rimpiangere di più di non essere “solo” un’umana, più ancora dell’avere continuamente sete di sangue.
Vorrei darti qualche idea di ciò che riesco a vedere della tua vita futura, ma non ce n’è alcun bisogno: tu e Jacob ve la caverete egregiamente. Vedi che sto cominciando a mettere in pratica le mie decisioni? Vi godrete tutta la sorpresa.
Ok, ho sputato il rospo. Ho detto tutto, mi pare. Ah, no, ancora una cosa: mi sono permessa di pensare ai vostri figli (sì, ho detto figli…). Nell’altra busta c’è un documento che devi portare allo studio di Scott il giorno in cui Elias compirà diciotto anni; fino ad allora dimentica tutto e vivi tranquilla. Davvero! E cerca di non essere curiosa come una scimmia, tanto nessuno ti dirà niente fino a quel giorno.
Che altro dire? Confesso: ho visto che mi perdonerai, e sarà anche presto. Forse mi hai già perdonato. Magari mi sbaglio, ma così mi piace credere.
Avrò sempre tue notizie in qualche modo e tu di me, non ti preoccupare: starò bene. Poi, lo sai che noi vampiri siamo tipi costanti... Io ti voglio bene e te ne vorrò per sempre.
Basta, è davvero tutto. Tua per sempre
Alice
P.S. Dimenticavo: se Aro dovesse decidere di tornare a farti visita, beh... Credo che Edward ed io lo verremmo a sapere, no?
Il piccolo si era riaddormentato, cullato dal dondolio dei passi di suo padre; Jake lo aveva posato nella culla e coperto teneramente, silenzioso come sempre.
Non aveva acceso la luce.
Io mossi ancora qualche passo, ormai persuasa che potevo lasciarmi andare. Che ero davvero al sicuro.
Ero nell'esatto punto in cui avevo deciso che preferivo perdere me stessa che perdere loro. Jacob ed Elias.
Jacob.
Sul tavolo stavano ancora il mio anello ed il bracciale; non erano stati spostati di un millimetro.
Feci un altro passo avanti per recuperarli e scivolai su qualcosa; mancò poco che non cadessi per terra.
Erano cocci.
Qualcosa era andato a pezzi; nella penombra riuscii a distinguere decori scuri su fondo bianco e riconobbi il vaso da fiori, un regalo di nozze. L’ultima volta che l’avevo visto era al centro del tavolo, colmo dei fiori rimasti freschi dal giorno del nostro matrimonio. Come si era rotto? Non mi ci volle molto a indovinarlo.
Jacob mi guardava in silenzio, immobile accanto alla culla, mentre cominciavo a capire.
La sua carnagione scura si confondeva con l’ombra e questa a sua volta sfumava i tratti del viso e il profilo della testa e delle spalle. Gli occhi ancora sembravano illuminati da dentro; nel buio scintillavano, ma erano duri, quasi taglienti.
-Non volevo che andassero persi. Che… che li prendessero loro, ecco.
Lui continuava a tacere, immobile e bellissimo. Così bello da togliermi il respiro e farmi mancare le forze dalla voglia di toccarlo, anche se qualcosa mi suggeriva di non farlo.
D’istinto evitai di rompere ulteriormente il silenzio.
Presi l’anello dal tavolo e lo rimisi io stessa all’anulare della mano sinistra; poi toccò al bracciale col piccolo lupo di legno tornare al suo posto.
Lentamente mi avviai in camera da letto, credendomi protetta dal buio e dalla stanchezza che ci offuscava.
C’è una parte di Jacob che è puro istinto e sarebbe fin troppo facile attribuirla al lupo; in realtà non ho mai capito quanto appartenga al lupo e quanto sia semplicemente Jacob, e come sarebbe se il lupo non fosse mai entrato nella nostra vita. L'essenza di ciò che è Jacob comunica con il corpo e non con le parole; si muove per istinto, reagisce agli odori e agli altri sensi, risponde solo a chi gli parla nello stesso misterioso linguaggio. E’ la manifestazione di qualcosa di potente, forse proprio ciò che mi spaventava quando sono scappata verso un destino di principessa di ghiaccio; quando era molto più semplice pensarmi come la protagonista di una favola che lasciarmi ferire dalla calda, brutale verità della vita. Dalla carne e dal sangue, le nascite e le morti, il perdersi e il ritrovarsi.
Non riuscii a raggiungere la nostra stanza perché due mani calde mi strinsero le spalle, mi voltarono spingendomi contro il muro e due labbra febbricitanti mi chiusero rabbiosamente la bocca. Non l'avevo sentito muoversi, perciò mi spaventai ma fu solo un attimo: il mio corpo lo aveva riconosciuto molto prima di me e non aveva paura.
Era molto peggio della paura.
Mi faceva molto più male, perché sapevo perfettamente di cosa si trattava: era dolore nascosto sotto un mantello di fuoco e mi trafiggeva, come era sempre stato. Il suo dolore era sempre stato il mio, anche quando non sapevo di amarlo più di me stessa. E io volevo solo accoglierlo, fare in modo che la sofferenza bruciasse e si spegnesse, che ne restasse solo cenere e che alla fine fosse spazzata via.
Quando me lo permise ricambiai il bacio, restando però in ascolto; feci un passo indietro da me stessa e mi limitai ad ascoltare, immobile. Sentii le mani cercare la pelle nuda, sentii le ferite come solchi ormai chiusi sulla sua pelle. Mi sentii stringere contro tutta quella forza e quel tremito affannato, pelle e carne e muscoli, poi un rumore profondo si spense nei miei capelli; poi non capii più molto, c'era solo buio e caldo e il suo corpo che si faceva strada dentro il mio. Riuscii a non lasciarmi andare, a non perdermi del tutto; restai lucida ad accogliere il suo dolore per trasformarlo in qualcos’altro, piacere, follia, oblio, qualunque cosa purché Jacob smettesse di soffrire. Lo sentii cercarmi con tutte le sue forze, gli andai incontro, lo assecondai; compresi che ero il luogo a cui voleva ritornare, e in me alla fine fummo di nuovo uniti. Un solo grido soffocato ci fece tremare insieme, al riparo del mio corpo e dei miei capelli.
Lui restò immobile. Posai le labbra sulla sua fronte sudata, senza parlare; gli accarezzai la nuca con la punta delle dita. Avrei voluto dirgli quanto lo amavo, ma sapevo che non era il momento. Non ancora.
Poi lo sentii sussultare.
Una volta, poi di nuovo. Si nascose di più, tra il collo e i capelli umidi. Gli sfiorai gli occhi e le guance trovandoli bagnati, ma non sarebbe stato necessario: sapevo già. Assieme alla notte lo strinsi più forte e lo riparai da inesistenti sguardi indiscreti; nessuno avrebbe violato il pianto del mio uomo.
A poco a poco ci vinse un sonno misericordioso.
* * *
Forse fa male, eppure mi va
di stare collegato, di vivere d’un fiato
di stendermi sopra al burrone
e di guardare giù
La vertigine non è
paura di cadere
ma voglia di volare
Mi fido di te
cosa sei disposto a perdere
mi fido di te
io mi fido di te
cosa sei disposto a perdere?
Normalità, ecco di cosa avevamo bisogno. Uova e pancetta, succo d’arancia, qualche porcheria dolce, pane e burro d’arachidi. Non proprio da manuale di dietologia, ma era quello che ci voleva per noi.
Ah, e anche un po’ di caffè.
Spalancai le finestre; fuori c’era il sole. Non c’era silenzio: gli uccelli cantavano, una macchina passava in lontananza e Emily doveva avere aperto una discoteca perché la musica da casa sua arrivava fino a noi, martellante e allegramente stupida.
La gioia mi attraversò come un’onda luminosa, come il sole così raro a Forks che quando buca le nuvole sembra ancora più forte e splendente, proprio perché lo si vede così poco.
Sei viva, continuava a ripetere una voce dentro di me. Sei viva.
Ero viva!
Oh, dio.
Forse però anche la morte non era poi tanto male. Dio, che nausea! Feci appena in tempo ad arrivare in bagno.
E non avevo ancora mangiato niente!
Rabbia, stupore, la parte, l'attore
Dottore, che sintomi ha la felicità?
Evoluzione, il cielo in prigione
questa non è un'esercitazione
Forza e coraggio
La sete, il miraggio
La Luna nell'altra metà
Lupi in agguato, il peggio è passato
Forse fa male eppure mi va…
-Dovrò rimanere tuo schiavo per l’eternità per farmi perdonare, giusto?
-Eh, sì. Stavolta sì.
Jacob aveva ancora la faccia impastata di sonno e solo un paio di boxer addosso; non avessi avuto qualche divergenza d’opinioni con il mio stomaco, forse lo avrei steso sul divano per dargli il buongiorno.
Mi abbracciò e posò la guancia sui miei capelli; mi accarezzava la schiena dolcemente, con le mani aperte, come se avesse voluto sentire più pelle che poteva sotto i palmi.
-Che è questo odore? Sei stata male?
-Uh… sì. Cioè, no. Niente di grave, direi.
-Fingi di star male per non prenderti quel che ti meriti?
-Ma figurati. Non so per cosa, ma puoi punirmi severamente se credi. Dopo colazione.
Jacob che cercava di fare entrare l’universo prima nel suo piatto e poi nel suo stomaco, l’aria, il sole, nostro figlio che cominciava a svegliarsi; vedevo le manine di Elias, le sue piccole mani perfette, spuntare dal bordo della cesta. Cominciava a chiacchierare da solo, con le sue dita o con le api colorate appese sopra la sua testa; alla mattina il mio bambino era particolarmente allegro.
Dottore, che sintomi ha la felicità?
-Ok. Adesso io e te dobbiamo parlare.
-Mh? Dobbiamo proprio? E’ finito tutto bene, no?
-Non me lo fare più. Mai più, hai capito? Mai. Più.
-Spiegami una cosa, Jake. Perché tu puoi rischiare la pelle per me e io no? Stai cominciando a trattarmi anche tu come un’incapace?
-Tu non devi rischiare. Punto. E basta.
-Volevano me, ricordi? Forse anche Alice ed Edward, ma il pretesto ero io e non c’era nient’altro da fare. Ho fatto la cosa più semplice e ovvia che si doveva fare e voi non me l’avreste mai permesso…
-Dio santo, Bells! Ragiona un momento…
-Ho ragionato e rifarei tutto.
-Ecco, se dici così allora vuol dire che Edward aveva ragione a marcarti a uomo!
-Jake!
Eravamo ancora seduti al nostro tavolo, i cadaveri della colazione in ordine sparso sulle tovagliette colorate. Jacob mi raggiunse, si inginocchiò davanti a me. Anche così mi arrivava praticamente all’altezza degli occhi.
-Sono quasi morto di paura.
-Guardami negli occhi. Sei un bugiardo, Jacob. Forza, dimmi qual è la prima cosa che hai pensato. La primissima cosa.
Touché. Jacob divenne rosso come la presina a forma di pomodoro appesa sulla parete dietro al fornello.
-Tu hai pensato che ti avevo lasciato. E il vaso dei fiori ha fatto una brutta fine! Mi piaceva un sacco, quel vaso.
-Mh, ecco. Io… Insomma, tu…
-Io, insomma, tu un accidente! Ma ti pare? Cioè... Hai visto l’anello e hai pensato che ti avevo mollato. Devi avere un’altissima opinione di me… Una settimana prima ti chiedo di sposarmi. Io, che mi diverto tantissimo a sposarmi. Dopo tutto quello che abbiamo passato, poi. E una settimana dopo ti lascio senza dirti una parola? Ok. Va bene, ho dei precedenti. Sono schedata, ero nella lista degli indiziati. Ma insomma, dopo tutto quello che è successo! E poi secondo te avrei abbandonato Elias, eh?
-E va bene, maledizione! E’ stata la prima cosa che ho pensato. Mi sono preso dell’idiota persino da…
Ed ecco due metri di uomo lupo arrossire di nuovo. Un ragazzino pescato con le mani nella marmellata.
-…da?
-Niente.
-Jacob, non peggiorare la tua posizione. Spara.
-Che palle! Da Edward!
-Da… Da Edward? Edward Cullen?
Jacob arrossì; io invece mi misi a piangere ancora prima che mi raccontasse cosa era successo.
Edward gli aveva dato dell’idiota e dell’immaturo. Non li avrei mai visti andare d’accordo nemmeno se fossi campata quanto Aro, lo sapevo. Aveva letto di noi nei pensieri di Jacob e sapeva che lo amavo davvero, così ne aveva -giustamente, devo dire- approfittato per strapazzarlo un po'.
Di nuovo mi fece stare male pensare a Edward; la colpa bruciava ancora di più, perché io ero felice oltre ogni immaginazione mentre il mio ex marito si preoccupava ancora di me, mi amava ancora, e questo poteva significare solo che soffriva ancora. Rassicurare il mio attuale marito sui miei sentimenti non era stata nemmeno la più grande delle cose che aveva fatto per me dopo che l’avevo lasciato, certamente no. Gli dovevo i miei anni a venire. Ed ero sempre più sicura che se qualcuno mi avesse detto “Fatti tagliare la mano destra ed Edward Cullen sarà felice quanto te” avrei accettato subito la proposta.
-Te lo devi far dire da Edward quanto ti amo? Ha ragione lui: sei un idiota, Jake. Spero che nostro figlio non abbia preso da te il gene dell’idiozia, oltre a quello della licantropia.
-Non ti arrabbiare, Bells. E’ che non riesco. Ancora. A crederci.
Mi aveva posato la testa in grembo e circondato la vita con le braccia.
Il mio incredibile, amatissimo testone.
-Dimmi di Edward, per favore. Ho capito bene? Andrà… andrà in Italia? Con Alice e Jasper?
-Andrà in Italia a servire le cornacchie italiane, sì. Per trecento anni. Ma suo padre non sembrava così addolorato, sai? Non so se stia facendo qualche gioco perverso, ma riesce a trovare qualcosa di positivo anche in questo, il dottore. Dice che adesso è sicuro che Edward non commetterà idiozie almeno per i prossimi settant’anni, si spera, perché si è impegnato a garantire per te finché resterai in vita. E secondo lui Aro si stuferà presto di averlo intorno, perché il capo-cornacchia qualche segretuccio da tenere ben nascosto ce l’ha di sicuro… Te lo immagini, avere Edward tra i piedi tutto il giorno?
-Jake! Sei… tu sei…
-...il tuo amore, l'hai appena detto. Ah, e poi una cosa. Carlisle continua a ripeterlo e ha ragione, secondo me. Con l’eternità o quasi davanti, la prospettiva con cui si guardano i fatti è parecchio diversa, Bells. Trecento anni non sono niente per loro. E le cose cambiano… A volte si tratta solo di tenere duro. Restare vivi, tenere duro. Andare avanti. Hanno molto più tempo di noi e ce la faranno, vedrai.
-Hanno molto più tempo di me, volevi dire. Sei immortale anche tu!
-Lo sono finché continuo a mutare. E io voglio invecchiare con te. Non muterò più.
-Ma tu sei l’Alfa! Loro hanno bisogno di te…
-Ma se hanno sempre fatto a meno di me! Cos’è tutto questo attaccamento per il sottoscritto, tutto ad un tratto? Non siamo mai stati un branco, non eravamo una tribù, non eravamo niente. Possiamo ricominciare come prima, no?
Appunto.
No che non potevano.
Jacob non lo capiva -non ancora- o forse si rifiutava di ammetterlo, ma niente sarebbe stato più come prima per i Quileute di La Push. Quelli che un paio di anni prima erano uno sparuto gruppetto di esseri umani appartenenti ad una razza in estinzione, sostenuti dall'aiuto governativo, ora non esistevano più: il branco li aveva cambiati per sempre. Non solo in lupi, ma in ciò che erano stati i loro antenati. Erano diventati una leggenda, anche se pochi la conoscevano.
D’accordo, volevamo una vita normale e pensai che era proprio questo che io volevo e potevo dare a Jacob: una vita speciale nella sua normalità, un amore sereno che sarebbe durato fino al mio ultimo respiro.
Però… volevo davvero che questa parte del mio uomo, della sua identità e della sua storia andasse perduta? Decisamente no; il nome di mio figlio ne era una prova. Elias Ephraim.
Mi resi conto di quanto ero cambiata; Jacob e soprattutto Elias avevano cambiato tutto.
-Non pensare troppo che ti vengono le rughe.
-Jake. E se io ti dicessi che… il lupo mi mancherebbe molto? Lui e tutto quello che significa?
Mi guardò perplesso e non mi rispose; colse giusto l’occasione di piazzarmi un bacio sulla bocca. Qualcosa mi disse che l’argomento tra noi sarebbe rimasto aperto per molto, molto tempo. E in quel momento mi resi conto di un'altra cosa: non saremmo stati noi a decidere. In un lampo fugace di allucinazione o di veggenza, vidi il viso sublime di Aro illuminarsi di un sorriso dolce e terrificante.
Forse Carlisle aveva ragione, almeno su una cosa. Il vero problema non sarebbe stato Edward.
Alice, Jasper ed il mio ex marito avevano trattato con Aro alcune condizioni; non sarebbero stati obbligati ad uccidere esseri umani e avrebbero potuto sempre scegliere liberamente come nutrirsi. I Volturi non erano barbari, questo me lo avevano sempre detto sia Edward che Carlisle, che aveva vissuto a lungo con loro; erano amanti e protettori delle scienze e delle arti. Forse Edward si sarebbe appassionato a qualcosa e avrebbe trovato il proprio modo di andare avanti. Io continuavo a pensare a lui come ad un diciassettene compagno di liceo; ora mi rendevo conto che il mio primo amore era invece un centenario pluridiplomato e plurilaureato che aveva anche esercitato la professione di medico, ma che tuttavia aveva sempre vissuto in qualche modo isolato, chiuso nella propria solitudine e nel rifiuto della propria condizione. Era così diverso da Carlisle. Mi illusi che un periodo lontano dalla famiglia avrebbe potuto essere un’esperienza utile per lui, in qualche modo. Di certo questo non mi fece sentire meno colpevole.
E Alice?
Intanto c’era il problema di Jasper che per seguirla si era unito ai Volturi, accolto dai gridolini giubilanti e semi-isterici di Aro, mi raccontarono. Al Signore probabilmente non era parso vero di pagare per due talenti e portarne via tre, e che talenti... Questo però avrebbe significato che Jazz sarebbe stato nuovamente esposto alla tentazione del sangue umano, e il mio ex cognato era il meno abile dei Cullen nell’autocontrollo. Avrebbe rischiato di ricadere praticamente ogni giorno e, di conseguenza, di andare a pezzi a causa dei sensi di colpa e della consapevolezza di deludere sua moglie.
Un problema in più per la mia adorata Alice. Che avrebbe fatto, lei?
Di nuovo, tutto per causa mia.
Non riuscivo ad immaginare niente di più antitetico ai Volturi della mia piccola ex cognata e non riuscivo a darmi pace.
Era partita immediatamente assieme ad Edward e Jasper perché così aveva voluto Aro, impaziente di inserire i nuovi gioielli nella sua collezione.
Avrei avuto sue notizie solo un mese dopo, giorno più giorno meno, per mezzo di una lettera.
Ciao, Bella.
Sto bene, perciò smettila di piangere, non vorrai bagnare la mia lettera, vero?
E scusami in anticipo, so già che scriverò qualcosa senza capo né coda (non mi serve la veggenza, per questo).
Avrei voluto parlarti con più calma. Anzi, a dire il vero, avrei voluto vivere con te, di più e sul serio. Lasciami divagare un attimo: credo tu non ti renda conto di quanto si sta bene nei tuoi paraggi. In un mondo dove ci si deve continuamente difendere da qualcosa, la tua dolcezza permette alle persone di abbassare le difese; il tuo essere convinta di non valere niente, il tuo modo di pensare sempre per prima cosa agli altri magari non è bene per te ma fa sentire tutti –me compresa- importanti, strafichi e soprattutto accettati per quello che sono. Ok, l'ho detto malissimo, sembra un’offesa più che un complimento. Lasciami perdere.
Cara, perfino a te manca qualche pezzo di Mary Alice Brandon Cullen la Bugiarda. E nessuno, nemmeno tu –ma non avete colpa, è che è impossibile capire- sa cosa significa realmente, nelle ore e minuti e secondi della vita di tutti i giorni, vedere quello che vedo. Nemmeno tu sai come questo “dono” mi abbia resa, alla fine, una mostruosità ai miei stessi occhi.
Tutta questa premessa per dirti che, incredibilmente, a voi sembrerò pazza ma stare qui è uno strano sollievo. Una specie di vacanza, almeno per ora. Aro mi chiede stupidaggini, o meglio informazioni che non mi importa nulla di dargli, di tipo economico o politico o culturale. Tratta affari, fonda enti, controlla governi e multinazionali, praticamente gioca di continuo ad una specie di gigantesco Monopoli, e ora che può vedere le conseguenze dirette delle sue decisioni è felice come un bambino. Felice, capisci? Gli do quello che vuole e lui mi adora. E non sono stata costretta a distruggere vite umane, almeno per il momento. Ci soffro, ovvio, perché qui continuano ad avvenire uccisioni, la dieta dei Volturi non è cambiata e di certo non cambierà per me; ma anche da lontano non avrei cambiato nulla, mentre trovandomi qui ogni tanto mi riesce di salvare qualcuno. Tutti quelli che posso, senza sentirmi Dio. Perché io non sono Dio; frequentare Aro in questo senso è istruttivo.
Oh, lascia perdere.
Sai la faccenda del battito d’ali della farfalla eccetera? La farfalla batte le ali, dall'altra parte del mondo scoppia una tempesta. L’idea di essere molto di più di una farfalla, per voi, mi stava distruggendo. Vedo universi fondersi e dividersi con tutte le loro stelle, ogni volta che descrivo a qualcuno il suo futuro, e posso raccontarne solo la parte insignificante che mi è stata chiesta.
Non voglio più interferire con la vita di nessuno che amo.
Non voglio più, in nessun modo, ed è tutto.
Devo farti una confessione.
Credo che di te e di Jacob fosse scritto da qualche parte; io che sono costretta dalla mia maledizione a guardare sempre avanti mi diletto particolarmente a guardare all’indietro, a leggere la concatenazione degli eventi col senno di poi. L’ho fatto anche con noi, con te in particolare. Beh, adesso è troppo facile da dire, vero? Che tu e Jacob vi appartenete? Quando l’ho visto la prima volta, però, non ho avuto il coraggio di dirtelo.
Insomma. Ti ho mentito. Ho visto qualcos’altro che sono in grado di comprendere appieno solo ora, ma questo non mi giustifica. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Mi sembravi così disperata, così incapace di decidere, c’era di mezzo mio fratello e allora ho deciso io per tutti: te lo ripeto, non hai capito male.
Quando mi hai chiesto se ti vedevo ancora trasformata in vampiro, ricordi? Ti ho mentito, Bella.
L’ho fatto per te, per Edward, perché sono stupida e perché ho sottovalutato l’amore umano, in particolare quello che ti lega a tuo marito. Lo sottovaluti perfino tu, te ne accorgerai col passare degli anni.
Quindi:
Non voglio che succeda mai più. Credo che nessuno di noi che apparteniamo a questo mondo avrebbe dovuto permettersi di interferire con la tua vita. Avremmo dovuto portare via Edward, essere tutti più forti ed accettare la nostra sorte, che sotto questo sole non è nemmeno la peggiore.
Mi va bene questo distacco; come ti ho già detto, provo sollievo. Mi riposerò. Devo anche capire se c’è un modo di controllare le visioni, di ammutolirle, di non essere costretta a sapere quello che non voglio sapere. Hai idea di come io mi senta a conoscere esattamente il giorno e l’ora della morte di Jasper? No, non ce l’hai. E’ questo che mi fa rimpiangere di più di non essere “solo” un’umana, più ancora dell’avere continuamente sete di sangue.
Vorrei darti qualche idea di ciò che riesco a vedere della tua vita futura, ma non ce n’è alcun bisogno: tu e Jacob ve la caverete egregiamente. Vedi che sto cominciando a mettere in pratica le mie decisioni? Vi godrete tutta la sorpresa.
Ok, ho sputato il rospo. Ho detto tutto, mi pare. Ah, no, ancora una cosa: mi sono permessa di pensare ai vostri figli (sì, ho detto figli…). Nell’altra busta c’è un documento che devi portare allo studio di Scott il giorno in cui Elias compirà diciotto anni; fino ad allora dimentica tutto e vivi tranquilla. Davvero! E cerca di non essere curiosa come una scimmia, tanto nessuno ti dirà niente fino a quel giorno.
Che altro dire? Confesso: ho visto che mi perdonerai, e sarà anche presto. Forse mi hai già perdonato. Magari mi sbaglio, ma così mi piace credere.
Avrò sempre tue notizie in qualche modo e tu di me, non ti preoccupare: starò bene. Poi, lo sai che noi vampiri siamo tipi costanti... Io ti voglio bene e te ne vorrò per sempre.
Basta, è davvero tutto. Tua per sempre
Alice
P.S. Dimenticavo: se Aro dovesse decidere di tornare a farti visita, beh... Credo che Edward ed io lo verremmo a sapere, no?
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