Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

lunedì 13 dicembre 2010

8. Didi - parte prima

Say goodbye on a night like this
If it's the last thing we ever do
You never looked as lost as this
Sometimes it doesn't even look like you
It goes dark
It goes darker still
Please stay
But I watch you like I'm made of stone
As you walk away

I'm coming to find you if it takes me all night
A witch hunt for another girl
For always and ever is always for you
Your trust
The most gorgeously stupid thing I ever cut in the world
(...)

I'm coming to find you if it takes me all night
Can't stand here like this anymore
For always and ever is always for you
I want it to be perfect
Like before
I want to change it all
I want to change

The Cure, "A night like this"



"Ogni donna dovrebbe avere una Judith", stava pensando Didi, intenerita dal profumo della cioccolata calda che aveva davanti. Una Judith per tutte, in dotazione fin dai banchi di scuola, con diritto di replica e di frustata guadagnati sul campo. Loro due si erano perse di vista solo per un breve periodo, quando Didi aveva lavorato a Vancouver come la più giovane e più brillante attorney del distretto. Era stato prima di sposare Paul e decidere il grande salto: mollare tutto, comprare il ranch e trasferirsi definitivamente a Skagit County.
Era una sorella a tutti gli effetti, la zia dei suoi bambini, e non erano mai state più di un mese senza vedersi. Ragione per cui, quel sabato di dicembre, Didi aveva organizzato la spedizione in paese: Pete alla riunione degli Esploratori, Big Bear a bere il suo goccetto, Jacob a guadagnarsi la paga a spasso con Nessie.
E lei finalmente sedeva con Jus, la cioccolata, e un vassoio taglia XL di ciambelle appena sfornate.


- Lo vedi che sono sfigata, Jus? Ne incontro uno, dico uno, che mi fa un pò più caldo delle mie calze di lana, ed è minorenne, piovuto dal cielo e magari anche pericoloso!
 - Didi, non sei sfigata, sei stupida. Hai la fila di pastorelli davanti alla porta come Maria a Betlemme la notte di Natale. Proprio del minorenne ti dovevi infatuare?
- Un momento. Punto primo, non sono infatuata. Ho solo detto che è carino, non sono mica cieca. Punto secondo, vorrei vedere te! Me lo sono dovuto segnare su un post-it per ricordarmi che è un ragazzino!
- Comunque, se ne vale la pena....
- Oh cavolo, Jus! Ho detto solo che mi piace, punto. Come se avessi visto una foto su un giornale, ok? E' oggettivamente un bel ragazzo.
-  E tu oggettivamente una nota pervertita. Te lo ricordi che eravamo al college insieme, sì? Te lo ricordi il fratellino di Bob Richter?
- Pffff..! - Con tutte e due le mani davanti alla bocca, Didi sussultava come il coniglietto a molla di Nessie.
Uno spruzzo di goccioline di cioccolato aveva rischiato di strozzarla e trasformare il maglione bianco di Judith nella Carica dei 101.
- ... trent'anni insieme e non hai ancora capito niente...
- Ma se ti conosco come le mie tasche!
- ...si, ma non devi farmi ridere con la cioccolata in bocca.

Tre ciambelle e una decina di pettegolezzi dopo, Judith aveva ripreso l'argomento.
- Didi, posso dirti una cosa? L'angolo della vecchia amica. Solo cinque minuti.
- Oddio, lo sai che quando fai così mi spaventi, vero?
Era chiaro come il sole che Judith stava per spararne un'altra delle sue, e Didi non le diede la soddisfazione di insistere perché arrivasse in fretta al punto. Si limitò a guardarla un po' torva.
- Ah-ehm. Da una parte sono contenta. Sarebbe anche ora che qualcuno provvedesse a toglierti le ragnatele.
Judith aveva schivato con una certa abilità il pezzo di ciambella che stava per colpirla.
- Ok, ti prendo in giro ma...sai come la penso. Sono passati quattro anni da... da dopo Paul. Lasciamo stare i primi tre, va bene, diciamo che erano fisiologici. Ma nell'ultimo anno... Non sei mai uscita con nessuno, neanche per un caffè. Ogni volta che ti presento qualcuno, è bello si-ma-non-come-Paul, intelligente si-ma-non-come-Paul, attraente si-ma-non-come-Paul, spiritoso si-ma-non-come-Paul. E' presto per la clausura, Didi. Sei un enorme spreco e il cielo ti punirà per questo.
- Per che cosa, scusa?
- Per essere così egoista e non darla mai a nessuno.
- Ti odio, Judith.
- Un attimo, ho finito. Volevo solo farti notare che... ti sei accorta dell'esistenza di un essere umano di sesso maschile, dopo Paul. Per favore, non contiamo Big Bear e tuo figlio, eh? Io... sono contenta. E volevo dirti che per me ci puoi fare quello che ti pare. Puoi uscire anche con un elefante ubriaco, se credi, basta che tu metta il naso fuori dalla cripta.
- Ehi, ferma il criceto, Jus. Sei andata mooolto oltre quello che ti ho detto io. E' un bamboccio ipersviluppato, e non c'è altro da dire, ok? E adesso basta, sono stufa di parlarne.

Proprio in quell'istante Bear, Jacob e i bambini avevano svoltato l'angolo tutti insieme. Mentre aspettava che Nessie la raggiungesse per saltarle in braccio, Didi ebbe il tempo e la soddisfazione di vedere Judith a bocca aperta, come una trota appena pescata. Jacob quel giorno, felpa nera e vita bassa, sembrava giusto la nemesi delle granitiche certezze. E in quel momento portava sulle labbra un indecifrabile sorrisetto.
- Chiudi la bocca, Jus, ti sta scendendo la bava.
- Oh santiddio. Non può avere diciassette anni.
- Ti giuro di sì, Tom ha controllato.
- Allora è un alieno mutante. In ogni caso...
- ...in ogni caso?
- Tu hai figli piccoli. E' meglio se la galera la rischio io.


Dietro il ranch di Didi c'erano dei meli, troppi meli. Che producevano, per l'appunto, troppe mele, più di quelle che loro avrebbero mai mangiato o venduto in dieci anni. Perciò, siccome Didi era una che non sprecava niente, durante l'inverno le toccavano sempre due o tre giorni di marmellata, dopo i quali odiava le mele, la marmellata, il ranch, e voleva tornare a vivere in città.
Quel giorno aveva quasi finito le prime tre casse di frutta. Proprio mentre chiudeva gli ultimi barattoli, lui era entrato in cucina col sorriso criminale, e aveva ficcato una manaccia sporca in uno dei barattoli ancora aperti. Mentre Didi lo picchiava col cucchiaio di legno, si era leccato di gusto le dita impiastricciate.
- Ehi, è fantastica! Però ne hai fatta... poca. - Glielo aveva detto ridendo anche con gli occhi, come solo i bambini e pochi altri sanno fare.
Poi aveva passato un dito grondante di marmellata sulla bocca di lei, schiudendole leggermente le labbra.
Per un lunghissimo attimo Didi era rimasta paralizzata. Non tanto per la stretta leggera che le era scesa giù, dentro il ventre, quanto per la constatazione dell'assoluta innocenza di lui. Che ora la guardava decisamente stupito.
Era divenuto serio e  fissava un pò lei e un pò le sue labbra. E a Didi a quel punto era preso il panico.
- Stronzo - aveva sibilato voltandogli le spalle, pulendosi la bocca col dorso della mano.
Aveva fissato il lavello per dei secondi interminabili, fino a quando non l'aveva sentito uscire sbattendo la porta.
Cretina, cretina, cretina. Stronza. Cretina. E adesso come diavolo gliela spieghi?

Volevo scusarmi con te. Ti ho dato dello stronzo perché sei straordinariamente attraente, hai fatto una cosa molto eccitante, e siccome sono quasi cinque anni dall'ultima volta che... lasciamo perdere, mi sono un attimo agitata.
Dio santo.
No, non era spiegabile, e Didi se ne era accorta in fretta. Aveva aspettato di essere più calma e poi l'aveva raggiunto al recinto dei cavalli, dove lui stava pulendo un gabbiotto. A torso nudo, tanto per cambiare.
- Jake, io...
- Pensi di potermi trattare di merda perché mi paghi?
- No! Ma come ti viene in mente una cretinata del genere?
- E' quello che hai fatto.
Didi ripassò velocemente la scusa, poi prese fiato e la tirò fuori
- Va bene, magari ero un pò di cattivo umore, e poi... insomma, tutto il pomeriggio che lavoro e tu mi ficchi le mani sporche nei barattoli.
- Di tutte le stronzate che ti potevi inventare! Ma ti sembro un cretino, eh? Ah, già. Sono solo un bamboccio ipersviluppato.
Ci era voluto un attimo perché afferrasse le parole che aveva detto, e per arrossire fino alla radice dei capelli.
- Come accidenti... Hai sen... No, non è possibile.
- Credi che non lo sappia che cosa ti è successo?
Didi non conosceva il sorriso cattivo che si era disegnato ora sul viso di lui. Era avanzato di un passo, e lei realizzò che erano soli.
- Non capisco di cosa parli.
- Bugiarda ipocrita. Siete tutte uguali. Tutte uguali.
Aveva fatto un altro passo avanti, ancora più vicino.
Incapace di muoversi, la bocca asciutta, adesso Didi aveva un po' di paura. Soffiò le parole come una gatta presa in trappola.
- A cuccia, Jacob. Non sono tua madre.
- La prima verità che dici, Didi. Certo che no, mia madre non avrebbe reagito come te.
Adesso tremava ed era spaventata, più per la verità che lui le aveva buttato in faccia che per la poca distanza fisica che ora li separava.
Perché lo sconosciuto tremante che le stava davanti, i muscoli tesi, un velo di sudore sulla pelle bruna, aveva gli occhi di un animale indeciso se fuggire o attaccare.
Perché dietro di lei la parete del capanno sembrava sempre più vicina.
- Tranquilla, Didi, sono solo un bamboccio. Ipersviluppato, ma assolutamente innocuo. A meno che... vuoi provare? Tutto sommato non ci sono mai stato, con una vecchia come te.
Non c'erano voluti attimi, il dolore era stato istantaneo. Didi era scappata voltandosi in tempo perché lui non le vedesse il viso. Lo aveva lasciato lì, solo, alto e scuro contro il crepuscolo, e le era parso di sentire un rumore sordo di legno spezzato.

Avrei dovuto darti un calcio nelle palle, per avere osato anche solo spaventarmi. Dovrei cacciarti via per come mi hai trattata.
Non ho neanche la forza di incazzarmi.
Mi fa male tutto, e non so dire esattamente dove.
Jacob non si era presentato a cena, e dalla rimessa non venivano né luce né rumore.

Spesso, alla sera, dopo aver messo a nanna Pete, lei e Paul sedevano sul divano, le gambe intrecciate e una tazza calda fra le mani. Così aveva fatto anche dopo, sedendo da sola esattamente nello stesso punto, con la stessa tazza fra le mani. Prima con la pancia grossa di Nessie, poi con Nessie addormentata addosso. Paul non aveva fatto in tempo a conoscere sua figlia, nata meno di quattro anni prima, tre mesi dopo che era morto.
Stasera Didi non riusciva a sedere nello stesso posto, e non riusciva a prepararsi la tisana.
C'era quel vuoto così tremendo a riempire l'oscurità.
Sedette per terra, la schiena contro il buffet, protetta dal buio della casa ormai silenziosa. Lasciò che il labbro tremasse, chiuse gli occhi e permise anche alle lacrime di scendere liberamente.

La casa dorme, Jacob Black.
Senti il respiro dei bambini al piano di sopra, il battito dei loro cuori addormentati. Senti il russare del vecchio sull'altro lato della casa. Senti un'auto che passa lontana, sulla statale, e la voce del deejay che blatera dall'autoradio. E non vorresti sentire niente di niente, perché sai che è solo colpa della magia.
La donna che piange si trova a piano terra, puoi sentirne chiaramente il respiro che scende in gola mischiato alle lacrime.
Beh, sarai soddisfatto, adesso.
Tu e la rabbia puttana che dorme con te ogni notte.
Jacob Black, giustiziere dei miei coglioni.

Didi era quasi addormentata quando sentì cigolare la porta. C'era la luna, e luce sufficiente perché riuscisse a vedere che era lui.
Si era girato sicuro verso di lei, e non era sembrato sorpreso di vederla rannicchiata per terra, le ginocchia ripiegate contro il corpo.
- Didi.
Era andata talmente lontano nell'ubriacarsi del proprio dolore, che non le importava più un fico secco che lui la vedesse piangere. Per quel che la riguardava, non erano più amici, e che restasse o andasse via le era assolutamente indifferente.
- Didi, ti prego... Permettimi di parlarti. Per favore, ascolta quello che ti devo dire.
Troppo tardi, Jacob. Non me ne frega più niente.

C'era bisogno di massacrarla, Jacob Black?
"Non volevi farlo" è una scusa del cazzo.
E non era lei che volevi fare a pezzi.
E non è servito a farti stare meglio.
Staresti un pò meglio se sorridesse di nuovo.
Quando sorride sembra una ragazzina.
E anche adesso, lì per terra, che tira su col naso.

- Didi, vieni a fare due passi. C'è una bellissima luna.
- Cosa ti fa pensare che potrei gradire la tua compagnia?
- Va bene, ho detto una cazzata. Va bene, ne ho dette un milione. Ma posso parlarti, per favore? Didi...
- Non continuare a ripeterlo, Jacob, sembri un disco rotto. E non c'è niente che tu possa dire che potrebbe interessarmi.
Si era sbagliata, una cosa c'era. Forse anche più di una. E poiché lui non se ne andava, si alzò lentamente, le gambe intorpidite, e rimase ferma a guardarlo nel buio.
Una lama di luna tagliava il suo viso in due. Poteva vederne solo la parte inferiore, le labbra, la mascella, fino al petto; poi lui scacciò i capelli con un gesto nervoso, e Didi vide anche gli occhi brillare nell'oscurità.
- Vengo... se mi dici una cosa.- Didi si soffiò il naso.
- Quello che vuoi. Però smettila di piangere. Vieni, mettiti questa sulle spalle...- La avvolse in una coperta che stava sul divano, e con il braccio la accompagnò fuori dalla porta, sul patio. La luna era bella in un modo sconvolgente, di una bellezza che per un attimo le fece di nuovo bruciare gli occhi. Scesero lentamente lungo il sentiero, e i passi di lui erano stranamente silenziosi.
- Hai ragione, Jake, è bellissimo. Ma...
-... ma adesso parliamo, lo so. Ascolta, Didi...
- No, ascolta tu. Voglio sapere come hai fatto, Jacob. A sentire tutto, a sentire... me. E voglio saperlo adesso.

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