Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

mercoledì 9 novembre 2011

30. Juliet, the dice were loaded from the start

Capita, a volte, che la vita assomigli ad un gioco da tavolo. Uno di quei giochi di società in cui tiri il dado, conti i passi e la sorte decide che devi immediatamente tornare al via e ricominciare tutto da lì. Quasi da zero?
Ecco, io mi sentivo più o meno così. A casa di Charlie. Ritornata al Via.
Ed era una sensazione bellissima.

-Bella? Ci sei, Bells? Il ragazzo, qui, ha fame. Penso.

Fu decisamente impegnativo riemergere dalla nebbia; il sonno era ancora un problema per me, l'Oscuro Oggetto del Desiderio, un bene di prima necessità sempre scarso da accaparrarsi in qualsiasi modo, le rare volte che era disponibile. E il divano di Charlie era stato una tentazione più irresistibile della mela nel Paradiso Terrestre, tanto più che mio padre era decisamente bravo con Elias ed io mi fidavo di lui come di me stessa -forse anche di più- o di Jacob.
Charlie c'era sempre stato, per me, e non solo al tempo dei pannolini; era sempre stato lì, inamovibile come una roccia, con lo stesso inalterabile calore anche quando avrebbe potuto legittimamente prendermi a schiaffi e rinfacciarmi tutti i miei errori. Incredibilmente, non mi aveva mai indirizzato le parole "Io te l'avevo detto" nella stessa frase con "Edward" e "Jacob"; forse aveva deciso di non infierire, visto che aveva stravinto sul campo.
Non riuscivo a capire come avevo potuto prendere seriamente in considerazione l'ipotesi di fare a meno di lui volontariamente eper sempre. Un conto è sapere che un giorno, se la vita scorre su binari comuni e naturali, perderai i tuoi genitori. Un altro conto è decidere tu stessa che non li vedrai più, pur amandoli e andandoci d'accordo. Ma ero veramente io che avevo concepito una simile assurdità? Anche di avere ancora mio padre dovevo ringraziare Jake e la sua, come dire, irruzione nel corso già segnato della mia vita.
Su quel divano, raggomitolata sotto un quilt cucito da Renée, avevo riposato davvero; a quel tepore, alla gratitudine, si mescolava la sensazione di essere amata dalla sorte, come avvolta dalla tenerezza magica di spiriti benevoli che nonostante tutto, a modo loro, si prendevano sempre cura di me.
Anche se, realizzai finalmente, mio padre in quel preciso momento reggeva ad una spanna dal mio naso un neonato incavolatissimo e paonazzo, talmente arrabbiato da riuscire ad urlare senza versare nemmeno una lacrima.

-Eh? Uh? Papà...? Oh, caspita. Un attimo che mi riprendo... Che cos'ha?
-Non so, veditela con lui. L'ho cambiato, abbiamo fatto una passeggiatina e direi che, beh, è troppo giovane per un hamburger, quindi adesso tocca a te.
Oh, caspita. Ma quanto avevo dormito?
La luce fuori dalle finestre era cambiata; il sole brillante e improbabile del mattino aveva lasciato posto alla solita mezz'ombra plumbea del pomeriggio . Una pioggerella leggera e costante completava il rapido cambio di stagione -da una chiara estate all'autunno inoltrato- che avevamo sperimentato in poche ore. Benvenuti a Forks, ragazzi.
Elias smise di urlare appena lo attaccai al seno; poppava mugolando, gli occhi socchiusi in un'espressione di beatitudine che ogni volta studiavo cercando di imprimerla con forza nella memoria, come facevo ogni volta che l'incanto di un singolo momento della vita mi colpiva al cuore.
Con la macchina fotografica non riuscivo mai a cogliere la bellezza esattamente come la vedevo, così cercavo disperatamente di impararla; mettevo da parte immagini che un giorno, pensavo, avrei trasformato in ricordi fissandoli su un pezzo di carta.
Di Elias in particolare non avrei voluto perdermi nulla; cambiava velocemente e già non era più il neonato che mi avevano messo tra le braccia. Anche il visetto meno rotondo, dai tratti più definiti che vedevo in quel momento sarebbe cambiato presto e poi sbiadito, fino a svanire dai miei ricordi.
-Ha chiamato Jacob.
La voce di Charlie e le sue parole -soprattutto quel nome- interruppero bruscamente la rêverie malinconica nella quale mi ero persa. Succedeva sempre meno, però, perché vivevo sempre più spesso nel mondo reale. Anche se continuavo a dimenticare cose importanti, come avvertire Jacob che sarei stata fuori, per esempio. Che idiota. Avrei dovuto chiamarlo io; chissà quanto era rimasto in pena per Elias. E anche per me. Beh, sì, anche per me.
-Mmmm? E...?
-...e gli ho detto che lo avresti richiamato subito, appena sveglia.
Traduzione dal Charlie-ese: appena hai finito chiama Jake o te la vedrai con me.
Mio padre continuava a parteggiare senza ritegno per il licantropo -non che ora sapesse qualcosa di vampiri e licantropi, ma tra Edward e Jacob continuava a non avere dubbi. Per la verità, nemmeno tra Jacob e me pareva avere dubbi. Stavo per rispondergli per le rime quando un rombo ci distrasse entrambi; avevo immediatamente capito di cosa si trattava e, solo allungando un po' il collo verso la finestra, potei vedere, esattamente come mi aspettavo, il licantropo in questione parcheggiare l'Harley nera davanti a casa e percorrere impaziente il vialetto che conduceva alla porta d'ingresso.

-Charlie. Ciao, Bells.
Dopo il suo ritorno a La Push, Jake era già venuto a casa di Charlie; aveva portato lì Elias qualche volta, le sere in cui papà si era offerto come baby-sitter insieme a Sue, che frequentava ormai con regolarità.
Non sapevo se mio padre e Jacob si fossero mai parlati “da uomo a uomo”né cosa, eventualmente, avrebbero potuto dirsi; era molto probabile che Charlie, antico com'era, avesse intrappolato Jake almeno una volta in un discorso da padre-della-ragazza-nei-guai al mascalzone-di-turno.
Il fatto è che di tanto in tanto dovevo stoppare papà mentre partiva in quarta con domande tipo "Ma allora avete pensato a quando vi sposerete?", che mi provocavano l'intenso, subitaneo desiderio che una botola si spalancasse e lo inghiottisse, specialmente di fronte a Jake.
Il quale invece sfoderava il suo sorriso più infame e gli rispondeva, di solito, "Non lo so, immagino mai, perché Bella detesta il matrimonio".
Quel giorno Jake-faccia-di-bronzo se la giocava alla pari col mio Jacob, comunque.
Il tipo dall'aria pericolosa che aveva spinto la porta senza suonare, sicuro di trovarla aperta e di essere gradito, indossava il sorriso abbagliante ed insieme tenero che avrei riconosciuto per sempre.
Fu singolare vederlo proprio in quella casa, dopo così tanto tempo, perché lo sfondo immutato intorno a lui non faceva altro che rimarcare le differenze fisiche con l'amico che avevo lasciato molti mesi prima.
La mascella più forte, gli occhi appena più ardenti e consapevoli, la struttura fisica più alta, potente ma allo stesso tempo più asciutta, uno sbaffo nero di grasso sul viso -come sui pantaloni da lavoro e sulla maglietta un tempo bianca che indossava- il mio nuovo Jacob che era sempre lo stesso Jacob riempiva di sole la stanza ingrigita dalla luce spenta del pomeriggio.
Il suo calore, pure, era sempre lo stesso, dolce come un tempo; spostava lo sguardo da me a suo figlio e poi ancora a me, accarezzandoci con occhi vagamente inquieti.
Sì, anche lui era ancora lui.
Di che cosa avevo avuto paura?
Ecco, fu in quel momento che cominciai ad avere la buffa sensazione che tutto stesse ricominciando.

Jacob andò a lavarsi le mani e, ritornato, prese Elias che penzolava sopra la mia spalla. Charlie abbandonato sulla poltrona li seguiva con lo sguardo, con l'aria di non sapere se mostrarsi geloso o intenerito.
C'era papà, c'era Jake, c'era nostro figlio. C'era la casa dove mi ero sentita, appunto, a casa mia, in modo del tutto inaspettato rispetto a ciò che credevo il giorno in cui avevo messo i piedi sul suolo delle contea di Washington.
C'era una specie di pace nell'aria e la sensazione che ogni cosa fosse al suo posto, come se i pezzi sparpagliati di un puzzle si fossero magicamente disposti nel modo giusto, da soli, sul tavolo dei giochi di un bambino.
Apri gli occhi, Isabella Swan.
Quello che vedevo, riunito nella stessa stanza, era tutto ciò che desideravo davvero e tutto ciò di cui avevo bisogno.
Mi cullavo nella loro bellezza -qualcosa che andava oltre gli occhi- in un attimo perfetto di totale oblio di ogni più piccola goccia di dolore, quasi stordita dall'accecante semplicità della felicità.


Non durò molto, ovviamente.
Non erano passati che pochi minuti quando Jacob cambiò espressione; mi porse Elias dopo avergli lasciato un bacio sulla testolina arruffata e uscì sotto il portico, il viso concentrato, i muscoli tesi, le mani leggermente tremanti. Chissà se papà si era accorto di qualcosa? Comunque non ebbi il tempo di spaventarmi né di preoccuparmi oltre.
Di sicuro il lupo aveva già percepito ed identificato il suono che per me e mio padre divenne riconoscibile qualche minuto dopo.
Avrei dovuto immaginarlo; non vi era niente di davvero inatteso, in fondo, nel rombo dell'auto sportiva che percorreva la via verso casa di Charlie. Il conducente dell'eccentrica Porsche gialla parcheggiò ad un soffio dalla moto di Jacob, dove cominciava l'acciottolato che conduceva all'ingresso; mi parve quasi di riconoscere nell'aria il profumo che un tempo avevo considerato celestiale.
Fragile e minuta come la fata di una leggenda celtica, vestita semplicemente di nero, la creatura che scese dall'auto si muoveva cauta, con studiata ed umanissima lentezza


-Alice. Oh, Alice. Alice.
Non riuscivo a dire niente di intelligente, davvero.
Che cosa avrei dovuto fare con lei? Era giusto correrle incontro ed abbracciarla come se non fosse accaduto nulla, dopo aver lasciato suo fratello? E se non l'avessi fatto, avrebbe pensato che avevo qualcosa contro i Cullen, quando in realtà ancora amavo lei e gli altri come una seconda famiglia?
Oh, al diavolo. C'era, le volevo bene, era tutto; di nuovo, poche cose erano davvero importanti.
La mia amica mi stringeva ed io aspettavo ancora le sue prime parole, quando un altro pezzo del mio mondo andò al suo posto.

Mentre la abbracciavo avevo lanciato un'occhiata a Jake; immaginavo che avrei avuto da discutere con lui, e invece mi sorprese restando impassibile ad osservarci.
Alice si staccò da me; nei suoi occhi leggevo il fremito che avevo imparato a riconoscere come la memoria del pianto umano negli occhi di un vampiro.
-Beh, come dire... Ciao. E ciao anche a te, Black.
Scoppiai a piangere, ma Alice, incredibilmente, sciolse l'abbraccio e si volse verso Jacob.
-Hanno deciso di mandare me.
-Hanno fatto bene, nanerottola. Agli altri non avrei permesso di avvicinarsi tanto a mio figlio.
-Ti sbagli su di loro, ca... Jacob. E il cucciolo ha il tuo stesso odore, il che significa che nessuno di noi lo troverebbe appetitoso.
Si rivolse di nuovo a me, gli occhi gialli e fatati incredibilmente grandi sotto la frangia nera.
-Bella, tuo figlio è come loro. Muterà presto, lo sento dall'odore, forse prima di avere completato la crescita. Ma dobbiamo parlare, adesso.
Invece non parlarono per niente, quei due, perché Charlie con Elias in braccio aprì la porta proprio in quel momento ed uscì sul patio a salutare la sua preferita tra le mie amiche.

Allora tutti insieme rientrammo in casa; preparammo il tè per continuare, a beneficio di Charlie, a dare una parvenza di normalità a quella riunione di creature mitologiche che, adesso lo sapevo, non era affatto casuale. Aveva certamente a che fare con quello che era successo la notte precedente; l'angoscia tornò a mordermi la gola, anche se sia Jake che Alice cercavano di lanciarmi di tanto in tanto, ognuno a modo suo, messaggi rassicuranti che Charlie non riuscisse ad intercettare.
Avrei dato la mano destra per restare sola con Alice e poterle parlare come facevamo un tempo, ed ero certa che anche lei avrebbe avuto piacere di stare un po' da sola con me. Ma quando fu il momento di salutarci restai a bocca aperta nel sentirla chiedere a Jacob di dare un'occhiata alla sua macchina -emetteva, secondo lei, non so quale strano rumore- e fui ancora più stupita di constatare con quanta velocità Jacob accettava, affrettandosi ad uscire e a ficcare la testa tutta intera nel cofano della Porsche.
Poi Alice salutò ancora con un cenno della mano. Bene, ancora un attimo e avrei potuto torchiare a dovere Jake.

-Va bene, ragazzi. Dopo questo pomeriggio da vecchie comari, io me ne torno in Centrale. Vi comporterete bene se vi lascio soli?
Charlie fulminò Jacob, poi me, poi guardò Elias e si rese conto che non serviva chiudere la stalla quando i buoi non solo erano scappati ma stavano già parecchie miglia lontani. Così ci lasciò soli e quando il cruiser della polizia partì eravamo ancora l'uno di fronte all'altro sotto il portico a guardarci negli occhi mentre Elias guardava noi, a cavallo del braccio di suo padre.
-Non è stato bello non trovarti, Bells. Sono entrato in casa...Ho visto i cassetti aperti, un po' di disordine. Mancava la copertina di Elias. Mancavate voi...E' stato... brutto. No, orribile. E' stato orribile.
Dovetti alzare il braccio per arrivare a posargli la mano sulla guancia bollente. Per scostargli dalla fronte il ciuffo inumidito dalla pioggia.
Cercai di restare calma mentre il cuore cominciava a martellare e la mia bocca chiamava disperatamente la sua.

Ma non era ancora il momento.
-Che avevate da dirvi tu e Alice? Non credere che non me ne sia accorta, che stavate tramando qualcosa.
-Oh. Beh... ha a che fare con quello che è successo stanotte. I due che abbiamo ucciso non sono due qualsiasi. Devi sapere che... Insomma, non c'è ragione che tu non sappia tutto, Bells. I Cullen sapevano che prima o poi sarebbero arrivati, li aspettavano e ora sono preoccupati perché li abbiamo fermati a modo nostro. Il dottore ha chiesto un incontro col branco ma se non l'avesse fatto lui glielo avrei chiesto io...
Ritirai la mano. Avevo bisogno di entrambe per tenere fermo lo stomaco che cominciava a contrarsi sotto i colpi della paura.
-Chi... che vuol dire che sono arrivati? Sono loro, vero? I Volturi?
-I succhiasangue italiani. Alice dice che tu li hai conosciuti.
Li avevo conosciuti, sì. Maledetta me. Non rimpiangevo di essere corsa a salvare Edward, no, di quello ero contenta: rimpiangevo di essere nata, e basta. Perché tutto quello che facevo io, inclusa una buona azione come andare a salvare qualcuno, si trasformava in una sorgente inesauribile di guai.
Jacob mi attirò lentamente a sé, quasi volesse darmi modo di fermarlo ed allontanarmi da lui, come avevo fatto il mattino di quello stesso giorno.
Lasciai che mi rinchiudesse delicatamente nel suo abbraccio, che non mi sentivo ancora di ricambiare, come se mi restasse ancora qualcosa da fare prima di potermi abbandonare al sollievo della sua vicinanza.
-Volevo restare un po' qui con papà, Jake, ma adesso immagino di non potere più, giusto? Devo tornare immediatamente alla riserva?
Non mi rispose subito. La guancia sui miei capelli, mi accarezzava la schiena cauto, neutrale, come avesse paura che ad un gesto anche di poco più intimo mi sarei allontanata. Non poteva sapere quanto già mi mancasse, quanto la paura avesse già ridotto a brandelli di ricordi quasi tutto il suo racconto della sera prima, mentre l'unica cosa che mi importava era che lui, in quel preciso istante, fosse lì.
Ma non era ancora il momento.Sentivo ancora il bisogno prepotente di restare vicina a mio padre e Jacob certamente lo intuì.
-Sono mesi che sei chiusa nella riserva, Bells. Resta qui, se ti fa piacere. E se non fosse un momento un po' particolare non dovresti nemmeno chiedermelo, intesi? Se non ci fosse... pericolo, io vorrei che tu stessi dove desideri stare.
Mi allontanò per guardarmi negli occhi; avevo capito perfettamente cosa intendeva dire. Mi diede perfino un po' fastidio che avesse ceduto tanto facilmente.
-Ora torno a La Push. Sto finendo un lavoro nella rimessa, giù da me... e devo parlare con gli altri. Domani sera incontreremo i Cullen, da loro, alla villa. Puoi venire anche tu se lo desideri -concluse, quasi divertito. Quasi faccia-di-bronzo. Quasi... per sfidarmi.
Si voltò ancora a sorridermi mentre tornava alla moto, e continuò a guardarmi mentre accendeva e girava in direzione di La Push; continuò a guardarmi fino ad un attimo prima di accelerare e lasciarmi lì a osservare come la maglietta bianca, bagnata dalla pioggia, si incollava alla sue spalle ed alla schiena mentre si allontanava.
Mi mancava già.

Ero certa che qualcuno mi stava proteggendo, perciò quella sera nella mia cameretta -che era esattamente come l'avevo lasciata quasi un anno prima- non faticai molto a prendere sonno. Solo una cosa era cambiata: in un angolo, Charlie aveva fatto posto per la mia vecchia culla di legno. Lì dormiva beatamente mio figlio.
Mi svegliai a causa di un rumore secco e regolare che conoscevo fin troppo bene. Mi venne da ridere. No, non era possibile.Non era possibile!
Invece sì.
-...non sei per niente originale, sai?
Avevo immediatamente riconosciuto il metodo Black per evitare di suonare alla porta di Charlie in piena notte.
Soffocai una risata mentre anche il mio amore rideva, più in basso; cercai di non notare che, come le altre volte, indossava solo un paio di jeans tagliati e mi pareva incredibilmente bello. Forse perché mi era mancato così tanto.
-Spostati, Bells.
-No.
-Perché?
-Perché non ti voglio.
-E io me ne frego ed entro lo stesso. Farò un casino disumano, Charlie entrerà in camera tua col fucile e mi sparerà. Ti sposti o no?
-Auff...
Un attimo dopo era di fronte a me.
Possibile che lo avessi già perdonato?
Beh, sì.
Era così che mi sentivo, quindi era possibile.
E per dirla tutta, non mi ricordavo nemmeno più di che cosa avrei dovuto perdonarlo.
-Credevi che mi sarei rassegnato a dormire senza di te? Ci hai creduto davvero?
Mentre lo abbracciavo, mentre mi stritolava e mi sollevava per riuscire a baciarmi sulla bocca, mentre cercavo di evitare i suoi baci perché tutto sommato, prima di cedere ignominiosamente, avevo qualcosa da dirgli anch'io, mi tornò in mente il salotto di Charlie come lo avevo visto nel pomeriggio, caldo della presenza delle persone che amavo.
A volte sono piccole stupide cose a regalarti la comprensione di qualcosa di importante; mi tornarono in mente i giochi di società, uno sopra l'altro sulla piccola libreria accanto al divano.

Avevo lanciato i dadi ed ero stata fortunata: forse non mi rendevo nemmeno conto di quanto lo fossi stata davvero. I numeri erano quelli giusti ed io, piccola pedina in balia degli eventi, mi ritrovavo in quel preciso momento dove tutto era cominciato, come se nulla -ma nello stesso tempo tutto- fosse cambiato.
Davanti a me c'era ancora e sempre colui che c'era sempre stato.
Vivo, innamorato, e perfetto per me.
Apri gli occhi, Isabella Swan.
Solo che ora riuscivo a vederlo.
Solo che questa volta ero pronta.

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