Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

martedì 15 novembre 2011

32. Tango

La copertina è stata creata da Roberta 87, autrice su EFP


Come arance rosse assaporo i giorni
Ora che ho incontrato te
Dolce e profumata ora è la mia vita
E per questo grazie
A te
Ora cammino tra le rose
E quando è sera accanto a te riposo
Non è mai tempo di versi tristi
E non verrà la stagione delle piogge.

E non verrà la morte triste
Alla nostra porta a cantare le sue canzoni.




Il cielo era ancora chiaro quando, al fondo del sentiero, la vegetazione umida di pioggia cominciò a diradarsi; dove i tronchi dei pini cessavano apparvero le vetrate di casa Cullen, rosate dalla luce del tramonto.
Vidi la casa apparire e non provai nostalgia né dolore; la guardai serenamente e la trovai bella come una dimora di fate in mezzo al nulla, carica di ricordi resi sempre più pallidi da un presente i cui colori dominanti erano quelli del fuoco.

Mi ero svegliata prima di Jacob, quella mattina.
Dalla finestra della mia vecchia camera, nella casa di mio padre, non si vede il sorgere del sole; l’Est resta nascosto in parte dalle altre case, in parte dalla foresta molto vicina e, oltre la foresta, dalle montagne.
Seduta sul davanzale della finestra, avevo guardato per un po’ il cielo cambiare lentamente colore; la stella del mattino era ancora visibile ma sarebbe presto scomparsa, inghiottita dal sole.
Avevo giocato ad indovinare la luce rosata dell’alba sulla linea dell’orizzonte. Avevo chiuso gli occhi solo un attimo per immaginare il mare ancora blu notte e un sole alzarsi su quel mare, incendiandolo; quando li avevo aperti la luce era già sufficiente. Calda abbastanza da accarezzare la pelle scura di Jake tra le lenzuola bianche del nostro letto sfatto.


Ora cammino tra le rose.

Jacob ed io ce l’eravamo presa comoda; avevamo percorso il sentiero a piedi, mano nella mano ed io non ero stata capace di fare altro che non fosse, di tanto in tanto, portare alle labbra le nostre mani unite per baciare la sua.
Avevo il cuore gonfio di qualcosa che voleva scorrere e cantare ma non trovava le parole; così camminavo in silenzio, conscia solo di quella mano che teneva la mia come se tutto di me fosse lì, tra i nostri palmi caldi e le nostre dita intrecciate. Sapevo che se avessi alzato gli occhi avrei trovato ad accogliermi i suoi.

In fondo al sentiero, alla fine del fitto degli alberi, cominciava la salita erbosa che costituiva il giardino sul fronte della casa. Lì davanti, sotto al portico, tre uomini dalla pelle assurdamente bianca ci attendevano immobili.
Ai lati della pista tracciata con le pietre, dove anch’io avevo percepito nell’aria il fremito della trasformazione, spuntarono Sam, Seth e Embry in forma umana; sapevo che nascosti tra gli alberi erano rimasti Paul e Quil nell’altra forma. Ci avrebbero attesi e sarebbero stati pronti ad intervenire in caso di bisogno, anche se nessuno di noi in quel momento aveva una chiara percezione di quale fosse il pericolo e dell’aspetto che avrebbe avuto quando fosse calato su di noi.
Carlisle ed i suoi figli più grandi ci guardavano risalire il pendio, in silenzio. Solo dopo avere percorso qualche metro vidi, alle loro spalle, i capelli d’oro rosso di Edward e sussultai. Jacob mi guardò intensamente e, del tutto inaspettatamente, mi lasciò la mano; alla mia domanda rispose con un assenso muto e si allontanò da me in modo impercettibile ma deciso.
Ci misi un momento, ma poi capii.
Ricordai tutte le volte che Edward mi aveva baciata o abbracciata o tenuta stretta a sé davanti a Jacob, quando le parti erano esattamente invertite; di nuovo il dolore che avevo inflitto al mio compagno mi piombò addosso, proprio nel momento in cui lui cercava di risparmiarlo a quello che una volta aveva considerato il suo peggior nemico.
Cosa accade nella vita delle persone quando sanno di amare? Che cosa cambia, quando sono certe di essere riamate?
Che cosa era diventato il mio uomo, ora che era certo del mio amore?


Ora cammino tra le rose.

-Benvenuti. Grazie per essere venuti fino a qui… E, Jacob, congratulazioni, ho saputo del cam…
-Molla, dottore. Non congratularti con me per la mia sfiga.
-Ah. Uhm, va bene. Vi prego, entrate.

Il divano bianco, il grande tavolo al cui centro splendeva un vaso di cristallo pieno di rose, anch’esse bianche. E, dimenticato in un angolo, un orsetto-carillon che Alice mi aveva comprato quando credeva che aspettassi suo nipote.
Lo sapevo che sarebbe stato doloroso, ma il nodo in gola mi colse comunque impreparata. Forse mi fece più male di quando, un attimo dopo, non riuscendo più ad evitarlo, qualcosa mi costrinse a cercare Edward con lo sguardo e a trovarlo subito, intento a fissarmi, serio e disperatamente pacato.
Era bellissimo. Lo sarebbe stato per sempre. E se anche fosse invecchiato, come sarebbe accaduto a me e forse prima o poi anche a Jake, lui per me sarebbe rimasto sempre uguale. Percepii chiaramente, nel rivederlo, che anche Edward mi aveva lasciato una sorta di imprinting, qualcosa come una cicatrice incancellabile che non faceva più male e avrebbe potuto coesistere con il mio presente.
Edward Cullen sarebbe rimasto in eterno il mio primo amore, quello che aveva spezzato la crosta gelata come i bucaneve in primavera. Grazie a lui il mio cuore aveva cessato di essere freddo e vergine. Ora qualcosa dentro di me diceva che sarebbe sempre stata estate; il calore mi avvolse ancora, mentre la presenza di Jacob alle mie spalle mi riempiva di conforto e di pace.
Non ebbi paura di incontrare gli occhi del mio ex marito.
-Stai bene?
-Sto bene.
Fui io a leggergli nel pensiero. Voleva sapere se ero felice.
So che in quel momento arrossii, perché ricordo chiaramente la sensazione ben nota ma sempre fastidiosa delle guance che si infiammano e dell’imbarazzo che paralizza i muscoli. Forse mi mossi inconsapevolmente verso Jacob e qualcosa, nel modo cui avevo orientato il mio corpo verso il suo, disse ad Edward a chi appartenevo.
Così Edward Cullen seppe per certo che non ero più sua e che forse non lo ero mai stata davvero; così fu chiusa la parentesi dei nostri pochi mesi nella sua eternità e sono sicura che solo in quel momento fu, per lui e per tutti noi, qualcosa di certo e definitivo. Sono anche certa che quell’ ultimo spezzarsi, quella svolta senza ritorno, fossero solo la naturale conseguenza di ciò che era accaduto tra me e Jacob la notte prima.

Un rumore secco, metallo su cristallo, mi riscosse e ci fece girare tutti verso il centro della sala: Jacob, accanto a Carlisle, aveva gettato sulla superficie lucida del tavolo degli oggetti estratti forse dallo zaino che portava sulla schiena.
Una catena di metallo chiaro, argento oppure oro bianco, con un ciondolo dello stesso colore: una V intrecciata a qualcos’altro.
La stessa V, più grande, forse una fibbia.
Quasi svenni quando mi resi conto che il terzo oggetto era una mano bianca dalle dita contratte. Un arto separato dal corpo che assomigliava alla mano di una statua, sulla quale spiccava un grosso anello con un sigillo.
-Allora, sono loro?
-Dio santo, Jake, era proprio necessario?
-Di che ti lamenti, Seth? Potevo portare la testa e non l’ho fatto.
-Sarebbe bastato il ciondolo. Sì, Jacob, sono loro. Sono i Volturi.
Il sibilo dei vampiri e il ringhio basso e sordo dei lupi si confusero, mentre chiudevamo il cerchio attorno al tavolo.
-Sai che cosa vogliono, dottore?
Fu Edward a rispondere a Jake, che aveva completamente perso l’imbarazzo iniziale per il suo nuovo ruolo di capobranco, a quanto pareva. Non mi piacque del tutto quello che leggevo sul suo viso mentre parlava a nome degli altri lupi, che si limitavano a circondarlo silenziosi. Lo sguardo intenso, acceso, la bocca tesa in un mezzo sorriso. Conoscevo quell’espressione e tutto sembrava ripetersi: era esattamente come guardare due volte lo stesso film.
Jacob non vedeva l’ora di menare le mani.
Non ci potevo credere. Maledetto di un incosciente di una testa calda che era quasi morto, l’ultima volta e sembrava non ricordarsene più.
Maledizione, no, di nuovo. No.
E io che avevo appena pensato che sembrasse più… più grande, più maturo, ecco.
No.
Ma che altro avrebbe potuto fare?
Il sapore dell’angoscia mi riempì disgustosamente la bocca.
-Non siamo in grado di darti una risposta sicura al cento per cento, Jacob, ma a grandi linee la situazione è questa: crediamo siano venuti a verificare se Bella è ancora umana oppure no e, visto che non lo è, Aro potrebbe decidere di punirci tutti. Lo farebbe con molto piacere, non vede l’ora di poterci attaccare.
-Perché, che diavolo gli avete combinato? Non siete dei vampiri buoni, voi?
-Aro vuole me. E Alice. Forse più Alice di me, perché davvero non conosce nessun altro con lo stesso potere. E…
Edward si interruppe come se solo in quel momento avesse capito qualcosa che gli era sfuggito per molto tempo. Poi tornò a fissare Jacob e gli si rivolse seccamente.
-Scusa, era davvero il caso di portare Bella? Non sei felice se non la fai tremare di paura, eh, cane?
-Edward!
-Non tratto la mia compagna come una deficiente, sanguisuga, dovresti saperlo ormai. Bella ha il diritto di sapere. Poi, come mai ho la sensazione che non siano più fatti tuoi?
-Proteggerla sono e saranno sempre fatti miei e tu non puoi impedirmelo.
Fortunatamente c’era il tavolo tra Edward e Jacob, oltre ad un gruppo di vampiri e licantropi pronti a fermarli prima che si facessero veramente del male.
-Ehi, volete smetterla di parlare di me come se non ci fossi? Che diavolo! Edward, ho voluto venire io. Sono maggiorenne, te lo ricordi?
Non avevo intenzione di infierire ma… accidenti, Edward non aveva proprio perso il vizio.
-Ok, torniamo alle cose serie. Che stavi dicendo?
-…dicevo che Aro potrebbe volere anche te, Bella. Per via della tua… mente. Che nessuno riesce a leggere e che nessuno riesce a manovrare.
Non riuscii a dire niente di più intelligente di “Ma io sono umana!”, mentre lentamente assimilavo la risposta di Edward e tutte le sue implicazioni.
Poco importava che fossi umana o meno; se voleva anche me, per via di questa mia strana caratteristica di avere un cervello apparentemente impenetrabile, Aro mi avrebbe trasformata lui stesso o al massimo lasciata come un giocattolo tra le mani di qualcuno dei suoi.
Smisi di respirare, ma riuscii in qualche modo a dissimulare il panico che mi stava raggelando; volevo ascoltare tutto, fino in fondo. Non volevo fare di nuovo la parte di quella più fragile e soprattutto non volevo che mi allontanassero.
Poi fui colpita da un pensiero così fondamentale e scontato da non essermi apparso subito, allo stesso modo in cui non si vede una montagna fino a quando non ci si allontana abbastanza nella pianura.
Elias. Il mio bambino. Elias.
Seth, che era in piedi di fianco a me, mi afferrò prima che cadessi a terra.
Quando era successo la prima volta, che ci trovassimo a dover difendere le nostre vite, in fondo dovevo rispondere solo di me stessa.
Adesso tutto l’orrore della situazione mi era finalmente chiaro.

Quando mi ripresi ero sdraiata sul divano con un fazzoletto bagnato sulla fronte. Jacob, seduto sul bracciolo dietro di me, mi teneva una mano sulla guancia e intanto parlava con gli altri. Già, aveva qualcosa di importante di cui occuparsi, adesso.
-Come verranno? Quanti saranno?
-Non ne abbiamo alcuna idea ma Alice dovrebbe vederlo, quando sarà il momento.
-La nanerottola non mi sembra molto affidabile. Non possiamo contare solo su di lei, dobbiamo essere pronti.
-Dovete sapere chi colpire e come.
-Dobbiamo. Lo faremo insieme. Abbiamo speranza solo se ci difenderemo insieme.
Era la voce di Carlisle, e continuò.
-Jacob, siamo addolorati di avere causato tutti questi problemi con la nostra presenza. Ci stavamo preparando a partire ma non abbiamo più scelta: dobbiamo restare. Né voi né noi possiamo farcela da soli contro i Volturi; possiamo sperare di sopravvivere solo se rimaniamo uniti. Resteremo e forse così avremo tutti una possibilità.
-Più di una possibilità, forse. I Volturi non sanno dei lupi: né che esistono, né quanti sono- aggiunse Jasper.
Chiusi gli occhi distrutta dal mal di testa, ma non potevo impedire alle voci di colpirmi e a tutte quelle immagini terrificanti di diventare incubi dai quali non riuscivo a svegliarmi. Continuavano a parlare e io mi sentivo lacerare dalla paura.
Prima i gemelli malefici, poi uno dei Tre. Forse qualche speranza. Morire, uccidere. Devono essere i primi a morire. I più veloci, dobbiamo essere veloci. L’unica speranza, essere veloci, colpire per primi. Veloci. Leah. E Jacob. Leah e Jacob, lo faranno loro. Poi…
-No!
La voce di pazza isterica che aveva appena coperto tutte le altre voci era la mia.
-No, per favore, Jake. Non posso, non ce la faccio. Non posso. Non. Posso.
Non riuscivo a mettere insieme una frase coerente; troppo vivo era il dolore della ferita riaperta quella sera.
Ero svenuta quando Edward aveva ammesso che Jacob era stato ferito, dopo la battaglia contro i neonati. La mia mente si era rifiutata di affrontare quel dolore e ora, ancora di più, fuggiva. Riuscivo solo a dire e a pensare con tutta me stessa un “No” che avrei voluto più forte di qualsiasi destino avverso, più di qualunque cosa fosse stata scritta per noi da stelle malevole; lo bisbigliai contro il petto di Jacob che ora mi stringeva a sé e mi cullava come aveva fatto nelle peggiori delle nostre notti.
-Ehi, piccola. Continui a sottovalutarci, vedo.
No.
Non avrei perso Jacob.
No, non adesso.
No, né adesso né mai.
A qualsiasi costo.

Non c’era molto altro da dire, così ci salutammo e rimasi d’accordo con Carlisle che sarei tornata presto per vedere anche Esme e le ragazze, che si trovavano in vacanza a Parigi.
Quel giorno avrei portato con me mio figlio; Jacob si era convinto che Elias non correva alcun pericolo con i vampiri, non solo perché non erano attratti dal suo sangue per via dell’odore di lupo, ma anche perché aveva potuto constatare personalmente quanto tutti i Cullen mi volessero ancora bene. Ormai eravamo legati a filo doppio; avevamo bisogno gli uni degli altri, vampiri e licantropi, e dovevamo proteggerci reciprocamente o saremmo morti tutti.
Jake si trasformò appena fummo di nuovo in mezzo agli alberi; stavolta facemmo la strada più in fretta e il viaggio sembrò fin troppo breve. Gli alberi guizzavano al nostro fianco come sagome ancora più nere del buio mentre io, avvinghiata alla schiena del grande lupo rosso, lasciavo fluire il veleno della paura nelle lacrime che non cercavo più di soffocare.
Quasi in vista della casa che era stata mia e che ormai consideravo nostra, chiesi a Jacob di fermarsi prima che le luci della strada ci rendessero visibili.
Forse avevo bisogno di uccidere la paura, forse era l’angoscia a muovere le mie mani; so solo che prima che tornasse alla forma umana avevo già cominciato a spogliarmi.
Riuscii a leggere il desiderio negli occhi del lupo prima che scomparisse, prima che di nuovo il calore delle braccia che amavo mi circondasse. Ci ritrovammo ad amarci senza avere nemmeno il tempo di stenderci a terra e senza riuscire, stavolta, a curare la mia disperazione e una paura da cui non esisteva scampo.


* * *

La figura maschile che si staglia contro la finestra illuminata è alta ed elegante, non solo per l’abito di sartoria che cade alla perfezione –che potrebbe far pensare ad un manager o ad un alto funzionario- ma per qualcosa di indefinibile nel portamento. L’ immobilità pressoché assoluta trasmette il sublime distacco di un essere che è ormai oltre e suscita l’invidia delle creature miseramente trascinate dal fiume dell’esistenza. Forse è proprio questa caratteristica che sembra porre l’individuo in un altro tempo, se non addirittura in un’altra dimensione fuori dal tempo: la perfetta immobilità. Potrebbe essere non un uomo ma una rappresentazione di uomo. Qualcosa dietro alla quale c’è tutto e niente, un simbolo, qualcosa di eterno. Qualcosa di morto.

Nel silenzio della camera sembrano far rumore solo i flash delle luci che provengono dalla strada; egli, senza farsi disturbare, contempla soddisfatto la cupola del Campidoglio che risplende lontana, considerandola uno sfondo consono alla visione di sé che potrebbe offrire ad un’altra creatura in quel preciso momento.
Bada a questi dettagli, certo. Perché se niente è importante, allora tutto è importante. Specialmente se si tratta di lui.
Quando la porta si apre senza che nessuno abbia bussato, egli sa esattamente di chi si tratta, perché solo i suoi fratelli hanno guadagnato in tremila anni il privilegio della sua intimità. Ormai sono da così tanto tempo l’uno nell’altro da non avere più un segreto che sia degno di questo nome; e se anche ve ne fosse uno, è solo lui a conoscerlo. Perché solo lui, tra loro tre, avendo appreso mediante una lunga pratica l’arte di cercare nel posto giusto, conosce tutto di tutti e va ovviamente molto oltre ciò che gli esseri pensanti ritengono di sapere di se stessi.
Perciò nemmeno si volta; ascolta soltanto.
-Non sono tornati. Hanno mancato anche il secondo appuntamento, quindi direi che non ci sono più dubbi.
E’ seccato. Non erano tra i suoi migliori, ma formare una guardia appena presentabile richiede almeno duecento anni di duro lavoro –che non sarebbe lui a compiere, comunque. Si dovrà ricominciare da capo con altri due ed egli sa che è sempre più difficile, in quest’era priva di dignità, trovare creature sufficientemente devote.
-Mi hai sentito, fratello?
-Certo che sì. Credo che prenderò una decisione, Caius. Anzi, due. O forse tre? Così, per creare, come dire, qualche disturbo di trasmissione a beneficio della piccola profetessa. Quindi direi, per cominciare… Prepara la guardia. Oh, e prepariamo anche un piccolo viaggio per andare a trovare personalmente l’umana.
-Posso averla per me, Signore? Dopo, quando ti sarai stancato.
La deliziosa vocetta di bambina proviene dal letto; Caius non sembra sorpreso, solo annoiato quasi quanto il fratello.
La creatura che ha parlato ha labbra piene e rosse, un corpo acerbo e seni insospettabilmente rotondi e generosi, ora esposti agli occhi indifferenti dell'antico dux bellorum. Ma non è per questa sua acerba bellezza che il Signore la porta spesso nel suo letto; piuttosto, Egli non finisce mai –non ha ancora finito- di stupirsi per la varia crudeltà dei modi di amare che la sua piccola immagina, sorridendo compostamente, sotto il tocco delle sue mani.
Assolutamente impagabile.
Così la accontenterebbe volentieri. Lo fa ogni volta che gli è possibile e ne resta invariabilmente soddisfatto, ripagato dai pensieri sorprendenti e dagli spettacoli sempre nuovi che la mente della bambina bionda gli offre in cambio.
Tuttavia per il momento non ha deciso cosa fare né dei suoi amici vegetariani –così si definiscono- né di lei, la piccola umana con quella strana mente muta. Dovrebbe punirli. Hanno violato la legge e di certo sono stati loro a privarlo di due delle sue guardie.
Perciò prende tempo prima di rispondere alla creatura dai capelli d’oro la cui carne bianca spicca così spudoratamente sulle lenzuola color porpora.
-Mio prezioso gioiello. Non stai diventando troppo impertinente col tuo Signore? Oh, capisco. Vuoi che ti insegni la buona educazione? Mio piccolo angelo. Faremo tutto quello che è in nostro potere per farti felice.
-Non adesso, Aro. Sei atteso tra poco, lo sai.
-Hai ragione, fratello. Non facciamo aspettare il nostro ospite, non sarebbe consono- risponde il Signore, cercando con lo sguardo la Casa Bianca.

E non verrà la morte triste alla nostra porta a cantare le sue canzoni.

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