Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

lunedì 24 ottobre 2011

29. Del tempo della muta, o La saggezza di Kaa

Voci maschili. Una è la voce che amo -la stessa che mi ha ferita, ma non importa. Tutte mi arrivano ovattate e sommesse, come se cercassero di non far rumore. Non tutte ci riescono. Distinguo le parole.
-Questi non sono due qualsiasi, due nomadi, tipo. Avrebbero combinato il solito macello, come la rossa e quello con le treccine.
-No, infatti. Ci stanno attenti, non c'è quasi nessuna traccia. Ma ci scommetterei qualcosa che la ragazza Makah scomparsa è opera loro.
- Ci sapevano fare, quasi come il soldato.
-Mai abbastanza da fregarci - sogghigna la stessa voce.
-Il solito pallone gonfiato... solo perché tu e Jacob siete arrivati per primi.
-Il solito invidioso.
-Piantatela, mi fate venire il mal di testa!
Un attimo di silenzio, rumore di qualcosa sul tavolo, il click familiare della clip di una lattina.
-Non ci sono dubbi su cosa volessero. Le tracce parlano chiaro e le traiettorie pure.
-Bene, finalmente un po' di movimento. Stiamo diventando tutti delle femminucce da queste parti...
Parole ringhiate da una voce più alta, arrabbiata.
-Cazzo. E chi cazzo la voleva un'altra guerra?
-Che c'è, ti secca mollare le gonne di Kim ogni tanto?
-Scusa se mi secca rischiare la pelle per una che se la faceva con i vampiri, eh?
-Chiudi il forno, Jared.
-Ma se non è nemmeno il suo imprinting!
Il ringhio sordo che avverto fin da qui è eloquente e spaventoso.
-E' molto di più, bastardo.
-Jared, sparisci. Non sei lucido. Via, ho detto!
Una porta che sbatte.
Sono sveglia. Ma tutto mi pare un incubo.


Sdraiata sul letto, non avevo altra scelta che permettere alle parole di raggiungermi attraverso la porta chiusa della mia camera e lo stordimento del dormiveglia. Avevo ancora addosso il male di poche ore prima, quando Jacob mi aveva messa a parte della sua vita senza di me, ma il terrore cresceva e presto avrebbe preso il sopravvento su ogni altra emozione.
Nel giro di poche ore tutto era cambiato ed era diventato orribile, eccetto l'ultimissima sensazione che mi aveva accompagnata a scivolare nel sonno; la mano calda di Jake sulla guancia, un "Torno presto" soffiato tra le mie labbra e le sue. Poi era uscito ed era tornata la paura che quel "presto" fosse sempre troppo tardi e l'angoscia che potesse trasformarsi in un "mai".

Nel buio pieno di immagini distinguevo a malapena la verità dal sogno e il presente dai ricordi, ma avevo ben chiara nella mente, come se l'avessi avuta in quel momento davanti agli occhi, la visione di Jacob ferito e febbricitante, le bende sporche di sangue, gli occhi spenti dalla morfina. Anche quel giorno, quanto ero andata vicina perderlo?
Perdere Jacob.
Non avevo mai preso in considerazione questa possibilità, prima d'ora, perlomeno non in modo così crudo e vero; Jacob c'era e basta, come il sole in cielo e la terra sotto i piedi. Addirittura, l'assenza era qualcosa di non definito; perderlo era qualcosa di definito. Era devastante avere la prova che perderlo poteva accadere. In mille modi diversi.
Mi imposi di non pensarci, anzi, di non pensare.
Non ero in grado di sopportare altro, non in quel momento; era tornato e tanto mi bastava. Me lo sarei fatto bastare.

Mi infilai i pantaloni della tuta con l'intenzione di andare in sala, servire ai ragazzi delle birre, restare con loro invece che sola con le mie paure.
Forse avrei anche dovuto dire a Jared che aveva ragione; forse avrei dovuto chiedere perdono, perché i guai continuavano a seguirmi come sciami di vespe arrabbiate e perché non avevo saputo fare altro che mettere tutti loro in una situazione terribile.
Non sapevo con che coraggio avrei potuto guardare negli occhi Emily.
Non ero mai stata tanto vicino ad un'altra donna come lo ero a lei; ciò che condividevamo superava in potenza ed intensità tutto ciò che avrebbe potuto legarmi alle mie compagne di classe, a Jessica o ad Angela per esempio, ma anche ad amicizie profonde, come Alice.
Era un legame che andava oltre il sangue e l'affetto, qualcosa di cui portavamo entrambe i segni sulla pelle.
Eppure ciò che ci univa avrebbe potuto diventare un vincolo di morte; ora Jacob era in pericolo e anche Sam lo era, perché io un giorno avevo sconvolto tutte le carte in tavola e tutti i piani, correndo a rifugiarmi nella riserva.
Ero quasi sicura di sapere chi potevano essere i due che i lupi avevano fermato: Aro probabilmente si era ricordato della mia esistenza e qualcuno dei suoi era venuto a verificare che i patti fossero stati rispettati.
L'idea di un'altra battaglia mi era insopportabile e si posava sul magma delle rivelazioni di Jake, che mi avevano stremata. La paura mi faceva scoppiare la testa e pulsare le vene; cancellava ogni altra sensazione facendomi soffocare.

Poi Elias brontolò piano.
La sua vocina si accese per un istante come una lucciola nell'oscurità ed ogni altra sensazione, visiva e uditiva, fu annullata dalla realtà dirompente e totale che era l'esistenza di mio figlio.
Mi avvicinai alla culla e riuscii a vedere, pur nella luce fioca della lampadina notturna, un piccolo braccio stirarsi e poi tornare vicino alla testa. Posai l'indice sul palmo della manina distesa come una piccola stella marina e mio figlio strinse il pugno attorno alla punta del dito.
Sognava; le labbra -la bocca di suo padre in una miniatura perfetta- si muovevano come per la poppata.
Posai la mano sul piccolo torace come facevo ogni notte, per essere rasserenata dal suo respiro; nemmeno un minuto e fu di nuovo regolare e dolce come una ninna nanna.
Tre parole cancellarono ogni altro pensiero rimettendo tutto nella giusta prospettiva e mi restituirono persino il coraggio che non avevo mai avuto.

A. Qualsiasi. Costo.

Sopra ogni altra cosa. La mia vita sarebbe stata il minore dei problemi; le vite degli altri?
Tornai a letto, perché non avevo molto altro da dire -né a me stessa, né al branco riunito nella mia cucina. I sensi di colpa non avevano alcun senso, le scuse nemmeno, perciò ne avrei portato il peso da sola. Così come da sola, probabilmente, sarei bruciata all'inferno convinta che ne era valsa la pena.
Ero veritiera nel dire che non avevo scelta; da quando era nato Elias, non avevo più avuto scelta.

-Siamo soli, Sam. Dimmi quello che mi devi dire.
-Lo sai già. E' arrivato il momento.
-Non sono pronto.
-E io non ce la faccio più, Jacob e non farmi ripetere tutto. Non è il mio posto, non lo è mai stato. Non posso rischiare la vita pensando che non sono all'altezza... Non si tratta più solo di me.
-Sono tutte cazzate! Il branco non potrebbe avere un alfa migliore di te.
-Non è il mio posto e lo sai anche tu.
-Il fatto che mi trovi bene nei panni di un grosso cane non vuol dire che sarei un buon capo.
-Secondo te qualcuno ha avuto scelta, fra noi? E poi, adesso hai qualcosa per...
-...per cui morire?
-Veramente volevo dire “per cui vivere”
-E se io mi rifiutassi?
-Allora ti costringerei ad accettare. Con i metodi dei lupi, se non ci riesco con quelli degli uomini. Ti offrirò la gola davanti al branco. Mi umilierò davanti a te e loro non mi seguiranno più.
-Vaffanculo, Uley.
-No, non ci vado. Ho detto che non voglio più guidare il branco, non che vi mollo.


* * *

Tre pannolini, salviettine, tre bustine di crema, tre bavette, tre tutine,un cappellino leggero per il sole e uno più pesante se il sole se ne va. Una copertina leggera ed una più pesante perché non si sa mai. Crema solare protezione totale. Una bottiglia d'acqua per me, qualcosa da sgranocchiare. Non ho fame ma sto allattando e qualcosa devo mandar giù. Ammesso che lo stomaco collabori.
Ok, finito.
Tutto sul tavolo e poi tutto nello zainetto.
Andiamo in spiaggia, cucciolo.
Oggi solo tu ed io. E il mare.

Mi scoppia la testa ma non è la cosa peggiore. Mi scoppia il cuore.
No, sono io tutta intera pronta per un'esplosione.
No, non è neanche così: un'esplosione è piena di energia. Io invece sono più simile ad un oggetto fragile che si sbriciola e crolla su se stesso.
Ci vuole meno di niente perché la mente torni alla Voce e a quello che è successo ieri sera.
La voce che raccontava. La voce di Jacob.
E le visioni create da quella voce.
Non ce la faccio.
Non ho nemmeno il famoso nodo in gola; le lacrime scendono da sole, a fiume, sono quasi dolci e mi danno uno strano sollievo, così le lascio scorrere senza preoccuparmene.
Fortunatamente mio figlio è troppo piccolo per fare domande imbarazzanti. Sarebbe complicato spiegargli il meccanismo a causa del quale sto così male per qualcosa per cui non dovrei stare male.
Che ragione c'è, infatti, di ricominciare a piangere ogni volta che me lo vedo tra le braccia di quell'altra? Nello stesso esatto momento in cui lui mi tradiva -sì, tradiva, va bene?- con quella, io ero sposata con Edward Cullen e vivevo con i Cullen convinta di aspettare un piccolo Cullen. Peggio ancora, avevo sposato Edward dopo... dopo.
Senza contare tutto quello che è successo prima, il come siamo arrivati a tanto.
Oh, cazzo.
Ma dopo. Quando è tornato e cominciavo a credere che forse...

Dimmi perché, Jake. Dimmi perché.

Le lacrime sanno di sale, sono pulite e trasparenti. Posso lasciarle scorrere. E poi, non dipende mica da me: non riuscirei a fermarle neanche se volessi.
E' che ho proprio la sensazione che tutto sia imploso, schiacciandomi.
Ho bisogno di respirare.

Respira, Bella. Respira.

Ed ora sono qui.
Da questa parte della spiaggia non c'è mai nessuno; se dio vuole ce l'abbiamo fatta, abbiamo tutto quello che ci serve per chiudere fuori il mondo. Per una manciata di minuti tutto sarà a posto e il mondo si dimenticherà di noi.
Cammino nell'acqua.
Cammino nell'acqua bassa e fresca ed è una bellissima sensazione di ristoro.
E'... è fresco, appunto.
Non ci sono molti tratti della riva dove l'acqua è così bassa e trasparente. E' cristallina perché è tranquilla, riparata. Le onde oceaniche si fermano oltre gli scogli; a quest'ora del giorno e in questo punto è sempre così, posso passeggiare con i piedi nell'acqua senza rischiare di cadere in mare con mio figlio. Vedo i miei piedi assurdamente bianchi sotto i riflessi vitrei del sole, pesciolini, ciottoli rotondi e qualche rara pianta marina che ondeggia delicatamente.
Va bene, sono qui.
Fresca. Trasparente. Calma. E' l'acqua nella quale cammino.
E' ciò di cui ho bisogno.
Ho fatto bene a venire qui.

Stamattina, quando ci siamo salutati, Jacob si è avvicinato per abbracciarmi ed io mi sono tirata indietro. Mi sono chiusa come la Sensitiva, quella pianta che appena sfiorata ritrae le foglie e sembra rimpicciolire. Sono fuggita e, pur restando davanti a lui, mi sono resa del tutto inaccessibile.
Lui ha lasciato cadere le braccia e il suo dolore è dilagato. Mi è arrivato addosso come un'onda d'urto; è diventato mio ma non sono riuscita a fare niente per alleviarlo.
Mi strazia sapere cosa dovrei fare e non riuscire a farlo.

Ho paura.
Le sue dita calde potrebbero bruciarmi; ho la pelle troppo sensibile, scoperta e fragile come una pelle nuova. Come la pelle che nasce dopo le ustioni, sotto le bende, pelle fragile e semitrasparente che non può e non deve stare al sole, pelle che in fondo non ripara niente e mi lascia nuda. Come la prima pelle del serpente dopo la muta, così delicata da costringerlo a rimanere nascosto.
Sono fredda.
La lava si è raffreddata e solidificata; è fredda, una crosta sottile che mentre mi soffoca mi protegge ed io non voglio romperla. Il desiderio si è ritirato ed è nascosto in un nocciolo duro da qualche parte dentro di me. So che c'è, ma è circondato dal freddo.
Mi sono tirata indietro.
Non volevo che mi toccasse. Volevo che mi stringesse e mi consolasse ma non volevo sentirlo; era come veleno e medicina, la malattia e la cura.
Sto impazzendo, cucciolo.
Cammino, cammino nell'acqua fresca, così sembra fare meno male.
Cerco di aiutarmi pensando a quante volte ci siamo persi e ritrovati e a quanto sono stata fortunata, stavolta.
Penso che adesso non so da dove cominciare a cercare, ma è non lui che ho perso: sono io che manco a me stessa.
Voglio essere piccola, voglio che qualcuno mi stringa senza farmi male. Qualcuno mi renda il diritto di non pensare, di non preoccuparmi di niente.

Sospetto di avere scelto Edward anche per vigliaccheria.
Oh, certo che lo amavo; ho amato veramente e profondamente Edward Cullen.
Lui mi avrebbe resa irraggiungibile da qualunque cosa generatrice di sofferenza.
Mi avrebbe fatto da padre per l'eternità proteggendomi ad ogni costo e avrebbe allontanato il dolore da me perfino malgrado me stessa. Sarebbe stato così per sempre, fino al giorno in cui il sole si fosse spento. Mi avrebbe resa intoccabile da tutto ciò che nella vita ha un prezzo
Inclusa la gioia.
Io sarei stata come le rose del bouquet da sposa di Emily, che sta sul comò nella sua camera da letto, a fianco della foto dove sorride al braccio di Sam. Mi sono sorpresa a guardare imbambolata quei boccioli secchi e a pensare che non cambieranno più; resteranno come sono, mai più rose, mai più sfioriti ma mai più rose.
Per me sarebbe stato esattamente così, ma anziché disseccare lentamente sarei rimasta congelata in un solo preciso istante, eterna; un perfetto bocciolo di ghiaccio, algido, luccicante e freddo abbastanza da resistere anche allo scorrere delle stagioni.
Sto giocando con le parole ed è confortante farlo, mi alleggerisce la mente.
Potrei pensare che Jacob ha fatto di me la rosa rosso sangue della favola dell'usignolo.
L'usignolo si trafigge il petto contro la spina e la rosa diventa rossa. Mentre muore canta e all'alba l'innamorato avrà la sua rosa rossa, il cui prezzo era la vita dell'usignolo.
Non è nemmeno in discussione che abbia fatto bene o male, che la scelta sia stata giusta o sbagliata: Jacob Black è nella mia vita.
Jacob Black è la mia vita.
Io sono rosso sangue e non sono mai stata così viva.

Jacob mi brucia. Mi ha quasi ridotta in cenere e mi ha ingannata, perché doveva essere facile come respirare.

Non è questo che mi avevi promesso?
Con me sarebbe stato facile come respirare.


Invece l'aria mi ustiona i polmoni, è come essere imprigionata in un incendio.
Perché mi hai fatto questo?
Voglio raggomitolarmi nel mio lettino, voglio che qualcuno mi tenga stretta e mi dica di non avere paura.
Non voglio amare così, fa troppo male.
Non voglio amarti, Jacob Black.
Poi rivedo tutto il suo dolore ed è come se una belva mi attaccasse alle spalle; mi costringe a girarmi, a mostrare gli organi vitali e il mio punto più vulnerabile, la gola; in un istante luminoso e urticante di consapevolezza capisco tutto.
Sarebbe stato facile come respirare, se il mio amore fosse stato invincibile e puro quanto il suo.
Vedo lucidamente la fottutissima paura che mi ha azzannata alla gola quando mi sono ritrovata davanti a lui, con l'anima nuda, sola e senza più pretesti. Comincia a formarsi in me l'idea che vivere abbia ben poco a che fare con una distesa di giorni e abbia molto più a che fare con l'intensità.
Jacob Black mi ha costretta a vivere.

Mentre mi si annebbia di nuovo la vista, scorgo in lontananza una testa bianca sopra una forma decorata con righe orizzontali e disegni di animali, conica. Dopo qualche altro passo mi accorgo che un vecchio siede sulla spiaggia, le spalle avvolte in una coperta; è l'anziano che ha battezzato mio figlio e che ho conosciuto la sera in cui ho ascoltato per la prima volta le leggende. E' il nonno di Quil, il vecchio Ateara; mi accorgo solo a pochi metri da lui che il fondo delle sue pupille è bianco. E' cieco.
"Tu sogni, Isabella Swan?"
Non è del tutto cieco, allora, perché mi ha riconosciuta.
"Io... Beh, che domanda. Tutti sognano, no?"
"Tutti sognano, non tutti vedono. Tu vedi, io lo so"
Deve avere una malattia degli anziani, una di quelle che portano con sé la demenza. Non gli rispondo perché comincia a farmi paura, ma lui continua.
"Apri gli occhi, Isabella Swan."
Sta giocando con delle conchiglie e dei sassolini colorati; seguo affascinata la sua mano che lancia i piccoli oggetti e lo spruzzo che si solleva dall'acqua, scintillando, quando ricadono giù. Resto incantata per un attimo a chiedermi cosa voleva dire il vecchio e quando sollevo lo sguardo lui non c'è più.
Sono stanca. Distrutta. Mi viene in mente l'unico luogo al mondo dove potrei riposare.

* * *
-Bells...? Ehi, che bella sorpresa! Ciao, giovanotto. Vuoi venire dal nonno?
Portavo Elias nel marsupio, sul davanti, così non mi venne molto bene lanciarmi tra le braccia di mio padre; lui però mi strinse lo stesso con un braccio solo e mi fece il solletico in faccia con i baffi, come era sempre stato fin da quando ero bambina.
-Ma... ehi, ma stai piangendo? Che è successo, piccola? E' stato Jacob?
Charlie aveva sempre adorato Jake. Charlie adorava ancora Jake. Charlie era furioso perché Jake non aveva ancora "assunto le sue responsabilità" e, fino a quando non mi avesse sposata -Oh, dei!- anche la caduta di un meteorite sarebbe stata colpa di Jake.
-Calmati, papà. Non è colpa di Jacob, non è colpa di nessuno e non devi arrestare nessuno, OK?
-Farò finta di crederti.
Tirò fuori Elias dal marsupio e indossò l'espressione felicemente imbambolata che riservava solo a lui. Io oltrepassai la soglia della mia vecchia casa e sentii arrivare il solito torpore che mi aveva sempre assalita dopo una prova, che fossero gli esami, grandi decisioni o vere battaglie alle quali avevo già assistito nella mia incredibile vita. Era la sorta di pace fisica che rende il corpo molle ed obbliga gli occhi a chiudersi; arrivai a fatica al divano dove, nel posto che occupavo sempre quando io e papà guardavamo la televisione, c'era ancora il mio cuscino preferito.
Erano mesi che non mettevo piede in casa di Charlie.
Mentre lasciavo cadere la testa, chiudevo gli occhi e mi lasciavo sopraffare dal sonno, fui consapevole di essere tornata nell'unico posto al mondo dove per sempre, fino alla fine dei miei giorni, sarei rimasta solo una bambina.


Note. La rosa rosso sangue a cui pensa Bella sta in un racconto di Oscar Wilde che si chiama "L'Usignolo e la Rosa". Vi consiglio caldamente di leggerlo, è stupendo.

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