Aggiungi didascalia |
Una dolce mattina di sole della prima settimana di giugno, Emily avvertì qualche dolore al basso ventre e Sam la accompagnò all'ospedale di Forks per un controllo. Circa un'ora e mezza dopo, la piccola Kiowa lanciava il suo primo urlo di trionfo, e sua madre, stringendola al seno per la prima poppata, la ammirava, stupita di quanto fosse stato rapido ed indolore il suo arrivo.
Posso dire senza essere tacciata di scarsa obiettività che Kiowa non era bella come Elias, che essendo nato con parto cesareo non aveva subito lo stress delle contrazioni e del passaggio dalla via più classica. Kay era rossa, rugosa e senza capelli, praticamente un grazioso scimmiotto, come la maggioranza dei neonati. Questo ovviamente non significava nulla, i bambini cambiano moltissimo nelle prime settimane dopo il parto; quello che è certo, è che aveva i bellissimi occhi di sua madre.
Posso dire senza essere tacciata di scarsa obiettività che Kiowa non era bella come Elias, che essendo nato con parto cesareo non aveva subito lo stress delle contrazioni e del passaggio dalla via più classica. Kay era rossa, rugosa e senza capelli, praticamente un grazioso scimmiotto, come la maggioranza dei neonati. Questo ovviamente non significava nulla, i bambini cambiano moltissimo nelle prime settimane dopo il parto; quello che è certo, è che aveva i bellissimi occhi di sua madre.
Mi sorpresi a fantasticare su un possibile futuro suo e di Elias. Visto che non avevo alcuna intenzione di andarmene da La Push, a meno che qualcuno non mi avesse cacciata, molto probabilmente i due sarebbero cresciuti insieme. Avrebbero giocato, corso sulla spiaggia, frequentato, perché no, la scuola della riserva insieme. E poi, chissà...
Mi riscossi dai miei sogni ad occhi aperti, perché Emily mi chiamava. Avevo lasciato Elias a Jacob
e alla compagnia degli altri uomini, ai quali Sam stava offrendo da bere nella piccola caffetteria dell'ospedale. Eravamo sole in camera, nel silenzio dorato dalla luce mattutina, rotto solo dal lieve rumore della poppata della piccola.
-Bella? Ehi, ci sei?
-Sì, sì, ci sono. Stavo solo pensando... che la vita è bella, sai? Nonostante tutto, nonostante qualsiasi cosa. E' davvero bella.
-Sono d'accordo con te. Oggi mi piace persino il nome di mia figlia.
Scoppiai a ridere.
-Sam non ha proprio ceduto, eh?
-Macché. Mi ha fatto rispettare l'accordo fino all'ultima virgola.
-Ma guarda che non è mica così brutto, Kiowa. E'... come dire, musicale. K-a-i-o-u-a. E' dolce. Davvero.
-...Bella?
-Sì?
-Non mi prendere per i fondelli, almeno.
Ridemmo insieme, e poi lasciammo che il silenzio ci avvolgesse di nuovo mentre entrambe contemplavamo il nuovo miracolo sotto i nostri occhi.
Mi riscossi dai miei sogni ad occhi aperti, perché Emily mi chiamava. Avevo lasciato Elias a Jacob
e alla compagnia degli altri uomini, ai quali Sam stava offrendo da bere nella piccola caffetteria dell'ospedale. Eravamo sole in camera, nel silenzio dorato dalla luce mattutina, rotto solo dal lieve rumore della poppata della piccola.
-Bella? Ehi, ci sei?
-Sì, sì, ci sono. Stavo solo pensando... che la vita è bella, sai? Nonostante tutto, nonostante qualsiasi cosa. E' davvero bella.
-Sono d'accordo con te. Oggi mi piace persino il nome di mia figlia.
Scoppiai a ridere.
-Sam non ha proprio ceduto, eh?
-Macché. Mi ha fatto rispettare l'accordo fino all'ultima virgola.
-Ma guarda che non è mica così brutto, Kiowa. E'... come dire, musicale. K-a-i-o-u-a. E' dolce. Davvero.
-...Bella?
-Sì?
-Non mi prendere per i fondelli, almeno.
Ridemmo insieme, e poi lasciammo che il silenzio ci avvolgesse di nuovo mentre entrambe contemplavamo il nuovo miracolo sotto i nostri occhi.
Da quando era nato Elias non avevo alcun dubbio: ogni bambino per me era un miracolo.
Un attimo primo non c'è, un attimo dopo esce dal buio, esiste, e pare che sia così da sempre; e ci si chiede come era possibile vivere, prima. Una donna non è conscia delle due cellule, del loro incontro e della scintilla che le trasforma in un bambino; e il lievitare del ventre, i movimenti, le gobbe sulla pancia, ancora non dicono tutto.
Poi, semplicemente, un giorno lui o lei prendono il loro posto nella vita, e questo pare allo stesso tempo miracoloso e incredibilmente naturale.
Non riuscivo ad immaginare nessun altro dono che la vita avrebbe potuto farmi, in grado di darmi una gioia paragonabile a quella per l'esistenza di Elias.
Nell'altra vita che avrei potuto vivere era stato programmato che sarei andata a Dartmouth. La laurea mi avrebbe fatto lo stesso effetto della nascita di mio figlio? E il successo professionale, dopo? Potevo rispondere con certezza: no, assolutamente no.
Esisteva qualcosa che mi avrebbe regalato la stessa felicità e lo stesso senso di completezza e trionfo?
Una sola cosa, forse. Qualcosa che, di nuovo, aveva a che fare con l'amore, e per come ero fatta io non avrebbe potuto essere diversamente.
Il mio pensiero corse inevitabilmente a Leah.
Sapevo di non esserle molto simpatica, e me lo dimostrava continuamente, ma il pensiero che non avrebbe mai vissuto l'esperienza della maternità mi faceva male, e me ne avrebbe fatto sempre, riferito a qualunque donna privata di quella possibilità.
Il giorno della gioia di Sam ed Emily sarebbe stato per Leah Clearwater il giorno del dolore più grande. Ero sicura che il loro matrimonio, al confronto, fosse stato una passeggiata per Leah. Chissà dov'era in questo momento, e come stava affrontando la sua sofferenza.
Sperai per lei che si trovasse nella forma del lupo, che il dolore diventasse rabbia e potesse essere sfogato come mai un essere umano avrebbe potuto fare: correndo nella foresta, cacciando per uccidere, lasciando che l'istinto prendesse il sopravvento sui ricordi, i pensieri, l'etica, i doveri familiari. Sperai che la belva riuscisse, meglio della donna ferita, a smaltire il veleno che la stava intossicando.
Forse avrei dovuto parlarne con Jake e suggerirgli di andare a cercarla, se non ci aveva già pensato lui. Sembrava che Leah avesse una sorta di predilezione per Jacob, anche se ci litigava e lo punzecchiava esattamente come faceva con tutti gli altri. Lui non si lasciava più intimorire dalle sue maniere, e non se la prendeva per le sue provocazioni. Al massimo rispondeva a tono, ma senza lasciarsi scalfire da niente, e forse per questo Leah aveva tutta l'aria di sentirsi più a suo agio con lui che con tutti gli altri.
Un attimo primo non c'è, un attimo dopo esce dal buio, esiste, e pare che sia così da sempre; e ci si chiede come era possibile vivere, prima. Una donna non è conscia delle due cellule, del loro incontro e della scintilla che le trasforma in un bambino; e il lievitare del ventre, i movimenti, le gobbe sulla pancia, ancora non dicono tutto.
Poi, semplicemente, un giorno lui o lei prendono il loro posto nella vita, e questo pare allo stesso tempo miracoloso e incredibilmente naturale.
Non riuscivo ad immaginare nessun altro dono che la vita avrebbe potuto farmi, in grado di darmi una gioia paragonabile a quella per l'esistenza di Elias.
Nell'altra vita che avrei potuto vivere era stato programmato che sarei andata a Dartmouth. La laurea mi avrebbe fatto lo stesso effetto della nascita di mio figlio? E il successo professionale, dopo? Potevo rispondere con certezza: no, assolutamente no.
Esisteva qualcosa che mi avrebbe regalato la stessa felicità e lo stesso senso di completezza e trionfo?
Una sola cosa, forse. Qualcosa che, di nuovo, aveva a che fare con l'amore, e per come ero fatta io non avrebbe potuto essere diversamente.
Il mio pensiero corse inevitabilmente a Leah.
Sapevo di non esserle molto simpatica, e me lo dimostrava continuamente, ma il pensiero che non avrebbe mai vissuto l'esperienza della maternità mi faceva male, e me ne avrebbe fatto sempre, riferito a qualunque donna privata di quella possibilità.
Il giorno della gioia di Sam ed Emily sarebbe stato per Leah Clearwater il giorno del dolore più grande. Ero sicura che il loro matrimonio, al confronto, fosse stato una passeggiata per Leah. Chissà dov'era in questo momento, e come stava affrontando la sua sofferenza.
Sperai per lei che si trovasse nella forma del lupo, che il dolore diventasse rabbia e potesse essere sfogato come mai un essere umano avrebbe potuto fare: correndo nella foresta, cacciando per uccidere, lasciando che l'istinto prendesse il sopravvento sui ricordi, i pensieri, l'etica, i doveri familiari. Sperai che la belva riuscisse, meglio della donna ferita, a smaltire il veleno che la stava intossicando.
Forse avrei dovuto parlarne con Jake e suggerirgli di andare a cercarla, se non ci aveva già pensato lui. Sembrava che Leah avesse una sorta di predilezione per Jacob, anche se ci litigava e lo punzecchiava esattamente come faceva con tutti gli altri. Lui non si lasciava più intimorire dalle sue maniere, e non se la prendeva per le sue provocazioni. Al massimo rispondeva a tono, ma senza lasciarsi scalfire da niente, e forse per questo Leah aveva tutta l'aria di sentirsi più a suo agio con lui che con tutti gli altri.
Jacob. Parlare con Jacob... come se fosse stato semplice, per me.
Cambiai espressione ed Emily se ne accorse subito.
-Bella? Tutto bene?
-Sì, certo... Cioè...ecco, no. Per niente.
Le ultime parole erano sgorgate da sole dalla mia bocca, con l'impeto di un torrente. Non ce la facevo più, a tenermi tutto dentro.
-Cosa c'è che non va?
Non risposi subito. Mi si formò il solito nodo in gola, ma cercai di controllarmi.
Avevo desiderato così tanto parlare con un'amica della mia situazione con Jacob, e ora che finalmente ne avevo l'occasione non volevo sprecarla frignando senza riuscire a spiegarmi. Anche perché probabilmente non mancava molto al ritorno dei ragazzi, e chissà quando avrei avuto di nuovo la possibiltà di parlare con Emily da sola e in tutta tranquillità.
Guardai Kay che dormiva beata sul seno di sua madre, e questo mi aiutò a calmarmi a sufficienza per riuscire ad articolare qualche parola.
-Jacob...No, aspetta. Volevo dire. Io e Jacob....
-...tu e Jacob...?
-...cioè. Noi...
Dio mio, era proprio difficile.
-Bella. Non credo di avere capito.
Pensai che Emily, invece, avesse capito benissimo tutto, ma volesse che fossi io a trovare le parole giuste per definire le cose. Che volesse aiutarmi a dare un nome ai miei pensieri e quindi a capire.
Cercai con attenzione i termini più semplici e chiari per descrivere la nostra situazione.
-Noi non stiamo insieme, Emily.
-Lo so. Lo sanno tutti che Jacob non dorme mai da te. Al massimo davanti a casa tua, tra gli alberi, ma mai con te. Ricordi? I lupi sanno quasi tutto l'uno dell'altro, anche se in realtà i più anziani qualcosa riescono a nascondere... Comunque anche senza branco e lettura del pensiero è lampante che voi due non state insieme.
Mi fece un male tremendo sentirglielo dire.
Perché fino a quando qualcuno non te lo conferma, puoi sempre pensare che i tuoi peggiori timori siano solo un parto della tua fantasia, no? Ma Emily non aveva detto "Non state insieme però si vede che ti ama", o qualcosa del genere. Emily aveva detto "Si vede che non state insieme, è lampante".
Merda. Era così brutto quello che si vedeva dall'esterno?
Tutti i miei buoni propositi andarono a farsi benedire, in un attimo. Mi coprii il viso con le mani, e scoppiai a piangere. Emily allungò il braccio libero e mi prese una mano.
-Oh, Bella, mi dispiace così tanto. Credimi, se avessi la bacchetta magica...
-Emily... io non so cosa fare, non so proprio cosa fare- singhiozzai. -Lui mi tratta con un'indifferenza, una durezza che... E' come se avesse un muro intorno. E io sto malissimo e non so cosa fare. Credo che non mi ami più. Non mi ama più, Emily.
-Ma lui lo sa che tu lo... Cioè, voglio dire. Lo sa che tu stai... così? Che stai male per lui?
-Non lo so. No, non credo, non parliamo di queste cose. Parliamo di Elias, di quello che c'è da fare, del più e del meno. Cose così.
Si raddrizzò e io le sistemai i cuscini dietro alla schiena. La bambina si era addormentata. Emily la pose delicatamente nella culletta all'altro lato del suo letto, la coprì e le rimboccò la copertina rosa attorno al piccolo corpo.
Ebbi la sensazione che volesse concentrarsi su di me, e gliene fui grata.
-Bella. Non conosco i dettagli della vostra situazione, ma forse non sono così importanti; andiamo al punto. Tu gli hai mai detto che lo ami?
Risposi in fretta. Troppo in fretta.
-Ma sì, certo che sì.
E un attimo dopo avere parlato, la mia mente cominciò a elaborare quello che avevo appena detto.
La penombra di una piccola stanza con le pareti di legno, l'odore di alcool, di medicine e di sudore. Il poco che vedo delle sue membra ferite, su cui è stata gettata una coperta, è un pugno nello stomaco.
I suoi occhi tradiscono la febbre, ma sono spenti. La morfina bruciata dal corpo del lupo svanisce; il dolore poco a poco riguadagna terreno, lo vedo dalla curva contratta delle sue labbra.
Con uno sforzo sovrumano mi alzo da quel letto dove sto lasciando una parte di me, senza sospettare che si tratta della parte più vera, quella che dovrei ascoltare, e che ora sto violentando perché taccia e smetta di torturarmi.
Cambiai espressione ed Emily se ne accorse subito.
-Bella? Tutto bene?
-Sì, certo... Cioè...ecco, no. Per niente.
Le ultime parole erano sgorgate da sole dalla mia bocca, con l'impeto di un torrente. Non ce la facevo più, a tenermi tutto dentro.
-Cosa c'è che non va?
Non risposi subito. Mi si formò il solito nodo in gola, ma cercai di controllarmi.
Avevo desiderato così tanto parlare con un'amica della mia situazione con Jacob, e ora che finalmente ne avevo l'occasione non volevo sprecarla frignando senza riuscire a spiegarmi. Anche perché probabilmente non mancava molto al ritorno dei ragazzi, e chissà quando avrei avuto di nuovo la possibiltà di parlare con Emily da sola e in tutta tranquillità.
Guardai Kay che dormiva beata sul seno di sua madre, e questo mi aiutò a calmarmi a sufficienza per riuscire ad articolare qualche parola.
-Jacob...No, aspetta. Volevo dire. Io e Jacob....
-...tu e Jacob...?
-...cioè. Noi...
Dio mio, era proprio difficile.
-Bella. Non credo di avere capito.
Pensai che Emily, invece, avesse capito benissimo tutto, ma volesse che fossi io a trovare le parole giuste per definire le cose. Che volesse aiutarmi a dare un nome ai miei pensieri e quindi a capire.
Cercai con attenzione i termini più semplici e chiari per descrivere la nostra situazione.
-Noi non stiamo insieme, Emily.
-Lo so. Lo sanno tutti che Jacob non dorme mai da te. Al massimo davanti a casa tua, tra gli alberi, ma mai con te. Ricordi? I lupi sanno quasi tutto l'uno dell'altro, anche se in realtà i più anziani qualcosa riescono a nascondere... Comunque anche senza branco e lettura del pensiero è lampante che voi due non state insieme.
Mi fece un male tremendo sentirglielo dire.
Perché fino a quando qualcuno non te lo conferma, puoi sempre pensare che i tuoi peggiori timori siano solo un parto della tua fantasia, no? Ma Emily non aveva detto "Non state insieme però si vede che ti ama", o qualcosa del genere. Emily aveva detto "Si vede che non state insieme, è lampante".
Merda. Era così brutto quello che si vedeva dall'esterno?
Tutti i miei buoni propositi andarono a farsi benedire, in un attimo. Mi coprii il viso con le mani, e scoppiai a piangere. Emily allungò il braccio libero e mi prese una mano.
-Oh, Bella, mi dispiace così tanto. Credimi, se avessi la bacchetta magica...
-Emily... io non so cosa fare, non so proprio cosa fare- singhiozzai. -Lui mi tratta con un'indifferenza, una durezza che... E' come se avesse un muro intorno. E io sto malissimo e non so cosa fare. Credo che non mi ami più. Non mi ama più, Emily.
-Ma lui lo sa che tu lo... Cioè, voglio dire. Lo sa che tu stai... così? Che stai male per lui?
-Non lo so. No, non credo, non parliamo di queste cose. Parliamo di Elias, di quello che c'è da fare, del più e del meno. Cose così.
Si raddrizzò e io le sistemai i cuscini dietro alla schiena. La bambina si era addormentata. Emily la pose delicatamente nella culletta all'altro lato del suo letto, la coprì e le rimboccò la copertina rosa attorno al piccolo corpo.
Ebbi la sensazione che volesse concentrarsi su di me, e gliene fui grata.
-Bella. Non conosco i dettagli della vostra situazione, ma forse non sono così importanti; andiamo al punto. Tu gli hai mai detto che lo ami?
Risposi in fretta. Troppo in fretta.
-Ma sì, certo che sì.
E un attimo dopo avere parlato, la mia mente cominciò a elaborare quello che avevo appena detto.
La penombra di una piccola stanza con le pareti di legno, l'odore di alcool, di medicine e di sudore. Il poco che vedo delle sue membra ferite, su cui è stata gettata una coperta, è un pugno nello stomaco.
I suoi occhi tradiscono la febbre, ma sono spenti. La morfina bruciata dal corpo del lupo svanisce; il dolore poco a poco riguadagna terreno, lo vedo dalla curva contratta delle sue labbra.
Con uno sforzo sovrumano mi alzo da quel letto dove sto lasciando una parte di me, senza sospettare che si tratta della parte più vera, quella che dovrei ascoltare, e che ora sto violentando perché taccia e smetta di torturarmi.
"Lo sai che ti amo"
"Lo sai quanto vorrei che questo fosse abbastanza"
"Lo sai quanto vorrei che questo fosse abbastanza"
Il ricordo diventa confuso. Chi ha pronunciato queste parole? Lui... o io?
Me ne vado da quella stanza.
Vado a sposare un altro, lasciando sul quel letto la verità, abbandonata come un oggetto inutile, una scatola vuota, una penna che non scrive più.
La visione svanì e mi ritrovai nel presente, nuovamente davanti ad Emily, che mi studiava con l'espressione soddisfatta di qualcuno che sa di avere colto nel segno. Mi vergognai.
-Cosa c'è? Bella?
Me ne stavo lì a bocca spalancata, confusa, sognante, a rivivere brandelli della nostra storia, cercando inutilmente le due parole che avrebbero potuto cambiare le nostre vite.
Trovando solo occasioni perdute.
Me ne vado da quella stanza.
Vado a sposare un altro, lasciando sul quel letto la verità, abbandonata come un oggetto inutile, una scatola vuota, una penna che non scrive più.
La visione svanì e mi ritrovai nel presente, nuovamente davanti ad Emily, che mi studiava con l'espressione soddisfatta di qualcuno che sa di avere colto nel segno. Mi vergognai.
-Cosa c'è? Bella?
Me ne stavo lì a bocca spalancata, confusa, sognante, a rivivere brandelli della nostra storia, cercando inutilmente le due parole che avrebbero potuto cambiare le nostre vite.
Trovando solo occasioni perdute.
Jacob mi aveva detto chiaramente, al tempo in cui Edward mi aveva abbandonata, che sapeva che non ricambiavo i suoi sentimenti, ma che non gli importava; che aveva tempo e mi avrebbe aspettata. Mesi dopo mi aveva detto di sapere che amavo anche lui, anche se non quanto amavo Edward. Restai senza fiato, mentre ricordavo le sue parole.
Guardandolo con occhi nuovi, non potevo credere di averlo costretto ad arrivare a tanto. Mi accorsi che avrei potuto spiegargli quanto si sbagliava, quanto in realtà fosse importante, per non dire necessario, per me. Se me ne fossi resa conto.
Avevo permesso che si umiliasse, invece.
Poi... Il ritorno di Edward a Forks, e il mio riprendere posto al suo fianco come se non fosse accaduto nulla, cancellando i momenti passati con Jake con un colpo di spugna, come una macchia sul tavolo. Avrei dovuto insospettirmi a proposito dei miei sentimenti, davanti alla sensazione di vuoto che provavo; avrebbe dovuto turbarmi molto di più l'ossessione dell'assenza di Jake, tormentosa come il plic plic plic delle gocce che cadono da un rubinetto che perde. Il Jacob, Jacob, Jacob che faceva da sfondo costante a tutti gli altri miei pensieri e sensazioni, nonostante la voragine nel mio petto si fosse richiusa.
E ancora... La sua goffa dichiarazione d'amore, e il mio pugno in faccia a dimostrargli quanto non ricambiavo i suoi sentimenti. Anche in quell'occasione avrei dovuto farmi qualche domanda in più: mi ero arrabbiata decisamente troppo. E non era il bacio che mi aveva mandata in bestia, adesso lo sapevo. Volevo restare cieca, e ce l'avevo con lui che faceva di tutto per farmi vedere.
Guardandolo con occhi nuovi, non potevo credere di averlo costretto ad arrivare a tanto. Mi accorsi che avrei potuto spiegargli quanto si sbagliava, quanto in realtà fosse importante, per non dire necessario, per me. Se me ne fossi resa conto.
Avevo permesso che si umiliasse, invece.
Poi... Il ritorno di Edward a Forks, e il mio riprendere posto al suo fianco come se non fosse accaduto nulla, cancellando i momenti passati con Jake con un colpo di spugna, come una macchia sul tavolo. Avrei dovuto insospettirmi a proposito dei miei sentimenti, davanti alla sensazione di vuoto che provavo; avrebbe dovuto turbarmi molto di più l'ossessione dell'assenza di Jake, tormentosa come il plic plic plic delle gocce che cadono da un rubinetto che perde. Il Jacob, Jacob, Jacob che faceva da sfondo costante a tutti gli altri miei pensieri e sensazioni, nonostante la voragine nel mio petto si fosse richiusa.
E ancora... La sua goffa dichiarazione d'amore, e il mio pugno in faccia a dimostrargli quanto non ricambiavo i suoi sentimenti. Anche in quell'occasione avrei dovuto farmi qualche domanda in più: mi ero arrabbiata decisamente troppo. E non era il bacio che mi aveva mandata in bestia, adesso lo sapevo. Volevo restare cieca, e ce l'avevo con lui che faceva di tutto per farmi vedere.
C'era riuscito, sulla montagna.
Lì, il mio corpo, molto più saggio di me, mi aveva sbugiardata e aveva detto a Jacob tutto quello che c'era da dire. Il mio corpo, non io, non lucidamente, non per mia libera scelta.
Alla fine, restava solo un'occasione in cui avevo pronunciato qualcosa di simile alle parole giuste, quell'ultima sera dopo la battaglia, ma non contava niente.
Non era abbastanza.
Lì, il mio corpo, molto più saggio di me, mi aveva sbugiardata e aveva detto a Jacob tutto quello che c'era da dire. Il mio corpo, non io, non lucidamente, non per mia libera scelta.
Alla fine, restava solo un'occasione in cui avevo pronunciato qualcosa di simile alle parole giuste, quell'ultima sera dopo la battaglia, ma non contava niente.
Non era abbastanza.
Perché bruciava così atrocemente, adesso, rivivere tutto?
Continuavo a riflettere, a ripercorrere gli eventi avanti e indietro lungo la linea del tempo, con la nuova lucidità a cui le parole essenziali della mia amica mi avevano condotta. Emily intanto si era lasciata andare sui cuscini e riposava, gli occhi chiusi, l'espressione appagata e serena.
Un'altra visione spingeva per uscire dalla nebbia dei miei ricordi e mostrarsi apertamente. Quella notte. La notte prima del mio matrimonio.
Cosa gli avevo detto? Cosa ci eravamo detti?
Non lo ricordavo bene. Ero così stordita e disperata, così poco lucida. Ma di una cosa potevo essere più che certa: se gli avessi detto che lo amavo, Jacob non sarebbe fuggito. Sarebbe rimasto e avrebbe combattuto per me, come aveva sempre fatto.
Quella notte era stato concepito nostro figlio, e io il giorno dopo mi ero sposata con Edward. Jacob sapeva perfettamente che non mi sarei tirata indietro, che quella mattina avrei indossato il mio bell'abito bianco e sarei andata all'altare. Nemmeno quella notte piena di magia e destino mi aveva fatto cambiare idea.
Perché solo ora mi era tutto così maledettamente chiaro?
Mi venne il mal di stomaco. Gemetti, ed Emily riaprì gli occhi.
-Bella, stai bene? Sembri... sei pallida.
-In effetti non sto tanto bene.
La nausea aumentava, mentre la mia mente continuava a turbinare vorticosamente, mescolando tra loro i ricordi e ora anche sogni e visioni forse solo immaginate.
Continuavo a riflettere, a ripercorrere gli eventi avanti e indietro lungo la linea del tempo, con la nuova lucidità a cui le parole essenziali della mia amica mi avevano condotta. Emily intanto si era lasciata andare sui cuscini e riposava, gli occhi chiusi, l'espressione appagata e serena.
Un'altra visione spingeva per uscire dalla nebbia dei miei ricordi e mostrarsi apertamente. Quella notte. La notte prima del mio matrimonio.
Cosa gli avevo detto? Cosa ci eravamo detti?
Non lo ricordavo bene. Ero così stordita e disperata, così poco lucida. Ma di una cosa potevo essere più che certa: se gli avessi detto che lo amavo, Jacob non sarebbe fuggito. Sarebbe rimasto e avrebbe combattuto per me, come aveva sempre fatto.
Quella notte era stato concepito nostro figlio, e io il giorno dopo mi ero sposata con Edward. Jacob sapeva perfettamente che non mi sarei tirata indietro, che quella mattina avrei indossato il mio bell'abito bianco e sarei andata all'altare. Nemmeno quella notte piena di magia e destino mi aveva fatto cambiare idea.
Perché solo ora mi era tutto così maledettamente chiaro?
Mi venne il mal di stomaco. Gemetti, ed Emily riaprì gli occhi.
-Bella, stai bene? Sembri... sei pallida.
-In effetti non sto tanto bene.
La nausea aumentava, mentre la mia mente continuava a turbinare vorticosamente, mescolando tra loro i ricordi e ora anche sogni e visioni forse solo immaginate.
Dopo quella notte Jacob era sparito, e io avevo reagito seppellendo il mio dolore e negandolo con tutte le mie forze. Non riuscivo nemmeno a pronunciare il suo nome. Non sapevo nulla nemmeno di quello che gli era accaduto durante gli otto mesi della nostra separazione. Non sapevo dove e come lo avevano trovato i ragazzi; non parlavano mai di questo, davanti a me, e l'unica volta che avevo provato a carpire qualche informazione a Seth Clearwater -con Leah e Embry ero certa di non avere speranze- lui aveva prontamente cambiato argomento, e mi era sembrato anche piuttosto imbarazzato. Il che mi lasciava pensare che quello che avevano visto non mi sarebbe piaciuto.
Ma a parte questo, considerando solo la parte di storia che conoscevo, c'era solo una conclusione alla quale potevo arrivare.
Avevo combinato un vero disastro.
Ma a parte questo, considerando solo la parte di storia che conoscevo, c'era solo una conclusione alla quale potevo arrivare.
Avevo combinato un vero disastro.
Avevo mentito a Emily, adesso lo sapevo. In realtà, non avevo mai detto una sola volta a Jacob che lo amavo.
Lo amavo.
In effetti come avrei potuto dirglielo, se continuavo a raccontare prima di tutto a me stessa che non era così, o non era abbastanza, o non era nel modo giusto?
Lo amavo.
In effetti come avrei potuto dirglielo, se continuavo a raccontare prima di tutto a me stessa che non era così, o non era abbastanza, o non era nel modo giusto?
Forza, Bella. Dillo.
L'espressione sul mio viso doveva essere molto leggibile. Emily mi guardava attenta, come in attesa. I rumori di sottofondo, i pianti dei bimbi, la polvere che danzava in un raggio di sole ora più obliquo, che filtrava dalle tapparelle, tutto sembrava aspettare che io dicessi qualcosa. Una verità, a dissolvere mille bugie.
In quella stanza, con la neonata Kiowa e la mia amica Emily, sua madre, come testimoni, ci riuscii.
Lo dissi prima solo a me stessa, piano ma senza equivoci, senza fraintendimenti, senza ma e senza se, nella certezza che volesse dire esattamente quello e nient'altro.
In quella stanza, con la neonata Kiowa e la mia amica Emily, sua madre, come testimoni, ci riuscii.
Lo dissi prima solo a me stessa, piano ma senza equivoci, senza fraintendimenti, senza ma e senza se, nella certezza che volesse dire esattamente quello e nient'altro.
Io amo Jacob Black. Io, Isabella Marie Swan, amo Jacob Black.
-Dimmelo, Bella. Dimmi a cosa stai pensando.
Deglutii.
-Emily. Io amo Jacob.
Gli occhi di Emily divennero lucidi. E anche i miei.
-...e?
-E non gliel'ho mai detto. Mai.
Deglutii.
-Emily. Io amo Jacob.
Gli occhi di Emily divennero lucidi. E anche i miei.
-...e?
-E non gliel'ho mai detto. Mai.
Tornarono Sam, Jacob e gli altri, un attimo troppo presto. Non mi ero ancora ripresa.
-Bells... stai bene?
Jake si chinò su di me porgendomi Elias, che si guardava intorno con gli occhioni spalancati. Lo presi e me lo posai sulla spalla, ancora stordita. Mi fece bene sentire il suo tiepido odore di latte, di bimbo piccolo, di Jacob. Di amore e basta.
Alzai gli occhi sul padre di mio figlio. Aveva tagliato i capelli, li portava di nuovo cortissimi. "Per non spazzare tutta la foresta," mi aveva detto, "visto che faccio di nuovo il lupo a tempo pieno".
I suoi lineamenti, senza la cornice delle ciocche scure, risaltavano più netti e definiti; perfino gli occhi mi sembravano più intensi. Mi toglieva il fiato.
-Eh? Oh. Sì, sto bene. Tutto OK.
-Vieni, vi porto a casa. Lui deve mangiare e tu sembri una che ha appena visto un fantasma.
Emily sorrideva tra sè, con l'aria soddisfatta di chi ha svolto un buon lavoro. Non seppi mai se la sua espressione trionfante fosse riferita a quello che mi aveva appena combinato, oppure solo alla nascita di sua figlia.
Seguii Jacob come un automa, osservandolo con la mia nuova consapevolezza, come se ora conoscessi ciò che si trovava davvero sotto la sua e la mia pelle: altri strati nuovi ed ancora più profondi del dolore che gli avevo inferto, e che solo ora potevo comprendere e condividere.
Non riuscii a dire una sola parola durante il breve viaggio di ritorno a La Push, e dopo un paio di tentativi di conversazione anche Jacob tacque. Mi lasciò tranquilla a guardare fuori dal finestrino, ma lo sorpresi un paio di volte a guardarmi perplesso.
Quando ci lasciò, quella sera, con il solito bacio freddo cui non riuscivo ad abituarmi, fu come se se ne fosse andato mille volte. Tutte in quel preciso, orribile momento.
* * *
Qualche giorno dopo, un pomeriggio piovoso, Elias dormiva e io avevo attaccato, senza troppa convinzione, una montagna di panni da stirare. Fui molto lieta di essere interrotta dal campanello; quando aprii la porta, mi trovai davanti un Seth fradicio di pioggia che teneva tra le mani un pacchetto proveniente dalla migliore pasticceria di Forks. Non riuscii a trattenere una risata di sincera felicità.
-Seth! Che bella sorpresa! Vieni, entra... Ti prendo un asciugamano.
-Lascia stare, Bella. Lo sai, no? Fra dieci minuti sarò asciutto- mi disse, strizzandomi l'occhio. -L'importante è che non si siano bagnati questi...
Guardò con aria malinconica i dolci, il cui involucro di carta, effettivamente, si era inzuppato d'acqua e non lasciava presagire niente di buono per ciò che si trovava all'interno.
-Oh, beh... Li mangeremo lo stesso, del tè caldo ci aiuterà. Sei di fretta? Se no, metto su l'acqua.
Si illuminò di un sorriso bianchissimo e splendente.
-Tè e pasticcini? Come un vero lord inglese? Vai, Bella, accendi il gas!
I bigné erano intatti e deliziosi, Elias continuò a dormire, e Seth ed io facemmo merenda chiacchierando del più e del meno, mentre il ticchettio della pioggia sui vetri cullava i miei nervi tormentati. Dopo il giorno della nascita di Kiowa, ero diventata ancora più tesa e fragile, come sottoposta ad una tensione costante che prima o poi mi avrebbe spezzata. In quel momento, invece, ero di nuovo la Bella di tanti mesi prima, senza pensieri.
Stavo davvero bene, in compagnia di Seth. Anche lui sembrava cresciuto di anni ed anni, rispetto a quando l'avevo visto al mio matrimonio, al tempo della fuga di Jake; ma aveva conservato, del ragazzino sedicenne che era in realtà, la spensieratezza e la spontaneità. Frequentarlo era, per chiunque, come bere un bicchiere d'acqua fresca in una giornata troppo calda.
Inoltre, anche Seth era bello; la trasformazione, così pareva, donava a tutti. Mi ritrovai a pensare che la ragazza che l'avesse conquistato avrebbe fatto davvero un ottimo affare.
Fu inevitabile che la presenza di Seth, ad un certo punto, risvegliasse in me dei ricordi. Seth certamente aveva avuto altri contatti con Edward ed i Cullen, visto che erano diventati amici, e sicuramente aveva notizie di lui e degli altri membri della famiglia. Fui lì lì per chiedere del mio ex marito e di tutti, ma era troppo doloroso.
Sentii le lacrime affacciarsi, così mi alzai, raccolsi le tazze vuote e mi voltai precipitosamente verso il lavello. Seth non se la bevve e mi seguì.
-Bella... tutto bene?
Mi prese per le spalle e mi piantò gli occhi in faccia.
-Sei triste, vero? Mi dispiace così tanto. Posso fare qualcosa per te?
Mi strinse a sé in un goffo quanto tenero abbraccio da orso, che mi ricordò quelli di Jacob ragazzino.
Proprio in quel momento, il rumore secco della porta di casa che sbatteva ci fece trasalire entrambi.
-Disturbo? Scusa, Bells, la porta era aperta.
Jacob ci guardava dalla soglia, con un sorriso assolutamente serafico.
-Seth! Che bella sorpresa! Vieni, entra... Ti prendo un asciugamano.
-Lascia stare, Bella. Lo sai, no? Fra dieci minuti sarò asciutto- mi disse, strizzandomi l'occhio. -L'importante è che non si siano bagnati questi...
Guardò con aria malinconica i dolci, il cui involucro di carta, effettivamente, si era inzuppato d'acqua e non lasciava presagire niente di buono per ciò che si trovava all'interno.
-Oh, beh... Li mangeremo lo stesso, del tè caldo ci aiuterà. Sei di fretta? Se no, metto su l'acqua.
Si illuminò di un sorriso bianchissimo e splendente.
-Tè e pasticcini? Come un vero lord inglese? Vai, Bella, accendi il gas!
I bigné erano intatti e deliziosi, Elias continuò a dormire, e Seth ed io facemmo merenda chiacchierando del più e del meno, mentre il ticchettio della pioggia sui vetri cullava i miei nervi tormentati. Dopo il giorno della nascita di Kiowa, ero diventata ancora più tesa e fragile, come sottoposta ad una tensione costante che prima o poi mi avrebbe spezzata. In quel momento, invece, ero di nuovo la Bella di tanti mesi prima, senza pensieri.
Stavo davvero bene, in compagnia di Seth. Anche lui sembrava cresciuto di anni ed anni, rispetto a quando l'avevo visto al mio matrimonio, al tempo della fuga di Jake; ma aveva conservato, del ragazzino sedicenne che era in realtà, la spensieratezza e la spontaneità. Frequentarlo era, per chiunque, come bere un bicchiere d'acqua fresca in una giornata troppo calda.
Inoltre, anche Seth era bello; la trasformazione, così pareva, donava a tutti. Mi ritrovai a pensare che la ragazza che l'avesse conquistato avrebbe fatto davvero un ottimo affare.
Fu inevitabile che la presenza di Seth, ad un certo punto, risvegliasse in me dei ricordi. Seth certamente aveva avuto altri contatti con Edward ed i Cullen, visto che erano diventati amici, e sicuramente aveva notizie di lui e degli altri membri della famiglia. Fui lì lì per chiedere del mio ex marito e di tutti, ma era troppo doloroso.
Sentii le lacrime affacciarsi, così mi alzai, raccolsi le tazze vuote e mi voltai precipitosamente verso il lavello. Seth non se la bevve e mi seguì.
-Bella... tutto bene?
Mi prese per le spalle e mi piantò gli occhi in faccia.
-Sei triste, vero? Mi dispiace così tanto. Posso fare qualcosa per te?
Mi strinse a sé in un goffo quanto tenero abbraccio da orso, che mi ricordò quelli di Jacob ragazzino.
Proprio in quel momento, il rumore secco della porta di casa che sbatteva ci fece trasalire entrambi.
-Disturbo? Scusa, Bells, la porta era aperta.
Jacob ci guardava dalla soglia, con un sorriso assolutamente serafico.
Seth fece un salto indietro, come se io fossi il fuoco e lui si fosse appena ustionato.
Lui e Jake si guardarono negli occhi. Seth arrossì, e nessuno dei due pareva avere l'intenzione di abbassare lo sguardo.
Una conversazione silenziosa si stava svolgendo davanti a me, ma non ero in grado di comprenderla né di parteciparvi. Evidentemente mi mancava qualche informazione fondamentale; forse Emily avrebbe potuto darmi qualche spiegazione, informata com'era di tutte le faccende dei lupi. Me ne sarei accertata alla prima occasione.
Qualunque cosa si fossero detti, Seth ritenne che era giunta l'ora di andare a casa.
-Beh, si è fatto tardi. Allora ciao, Bella. Ciao Jake, scusa se non ti bacio, eh?-
Mi posò un bacio sulla guancia, continuando a seguire con lo sguardo Jacob che a sua volta non lo perdeva di vista.
Poi uscì ributtandosi nella notte, sotto la pioggia. Senza ombrello.
Lui e Jake si guardarono negli occhi. Seth arrossì, e nessuno dei due pareva avere l'intenzione di abbassare lo sguardo.
Una conversazione silenziosa si stava svolgendo davanti a me, ma non ero in grado di comprenderla né di parteciparvi. Evidentemente mi mancava qualche informazione fondamentale; forse Emily avrebbe potuto darmi qualche spiegazione, informata com'era di tutte le faccende dei lupi. Me ne sarei accertata alla prima occasione.
Qualunque cosa si fossero detti, Seth ritenne che era giunta l'ora di andare a casa.
-Beh, si è fatto tardi. Allora ciao, Bella. Ciao Jake, scusa se non ti bacio, eh?-
Mi posò un bacio sulla guancia, continuando a seguire con lo sguardo Jacob che a sua volta non lo perdeva di vista.
Poi uscì ributtandosi nella notte, sotto la pioggia. Senza ombrello.
Jacob, appoggiato al lavello, le gambe incrociate e le mani nelle tasche dei soliti jeans tagliati, ora fissava me, tranquillo ed apparentemente divertito.
-Beh, devo fare i miei complimenti a Seth. Non pensavo ci sarebbe riuscito tanto in fretta.
Non capii subito cosa voleva dire. Quando il mio cervello si mise a funzionare e finalmente ci arrivai, arrossii, poi mi arrabbiai, poi mi disperai.
Poi feci un passo avanti e gli tirai uno schiaffo con tutte le mie forze.
O almeno ci provai, perché Jacob bloccò il mio polso a pochi centimetri dal suo viso.
-Attenzione, ti fai male. E' già successo, ricordi?
-Vaffanculo, Jacob.
Non ero solita usare quei termini, ma non potendo prenderlo a schiaffi non mi venne in mente niente di meglio. Sentii che stavo per esplodere, e che la sua bocca a meno di una spanna dalla mia non mi aiutava a calmarmi. Respiravo come se avessi salito una scala di corsa.
Jacob mi lasciò il polso e andò a sedersi, mettendo il tavolo tra noi due. Ora guardava fuori, verso la finestra, sulla quale la pioggia batteva più violenta. Il boato di un tuono molto vicino fece trasalire entrambi.
-Beh, devo fare i miei complimenti a Seth. Non pensavo ci sarebbe riuscito tanto in fretta.
Non capii subito cosa voleva dire. Quando il mio cervello si mise a funzionare e finalmente ci arrivai, arrossii, poi mi arrabbiai, poi mi disperai.
Poi feci un passo avanti e gli tirai uno schiaffo con tutte le mie forze.
O almeno ci provai, perché Jacob bloccò il mio polso a pochi centimetri dal suo viso.
-Attenzione, ti fai male. E' già successo, ricordi?
-Vaffanculo, Jacob.
Non ero solita usare quei termini, ma non potendo prenderlo a schiaffi non mi venne in mente niente di meglio. Sentii che stavo per esplodere, e che la sua bocca a meno di una spanna dalla mia non mi aiutava a calmarmi. Respiravo come se avessi salito una scala di corsa.
Jacob mi lasciò il polso e andò a sedersi, mettendo il tavolo tra noi due. Ora guardava fuori, verso la finestra, sulla quale la pioggia batteva più violenta. Il boato di un tuono molto vicino fece trasalire entrambi.
Poco a poco ripresi a respirare normalmente, e mi accorsi di un giornale avvolto nel cellophane e di alcune buste, delle quali una piuttosto voluminosa, che evidentemente aveva posato lui sul tavolo.
-Billy è stato da Charlie. C'era della posta per te, così ho pensato di venire a portartela. Ti chiedo scusa, non pensavo di disturbare- disse, con la stessa espressione angelica di quando aveva aperto la porta.
Avrei guardato la posta più tardi: non ce la facevo più. Non sapevo se ero più furiosa per le insinuazioni di Jacob o più frustrata per il fatto che non sembrava importargliene niente che Seth... che Seth... insomma, l'abbraccio di Seth era stato di certo solo ed esclusivamente amichevole, ma Jake aveva tutta l'aria di infischiarsene alla grande, di qualunque cosa si fosse trattato, e di non provare niente di più che un leggero disprezzo per me.
Avrei dato qualsiasi cosa per restare da sola con i miei nervi pronti a saltare.
Elias per fortuna si svegliò e si mise a piangere, reclamando la sua poppata e sovvertendo come al solito la lista delle mie priorità. Jacob lo cambiò mentre io riponevo tutti i panni puliti che alla fine non avevo stirato. Poi mi sedetti in poltrona e attaccai mio figlio al seno, e Jake arrangiò in qualche modo una minestra per la mia cena.
Come diavolo faceva ad essere così bello con addosso il mio grembiule da cucina rosa?
Lo odiavo. Altro che amarlo. Lo odiavo ferocemente.
-Jake... sono distrutta. Ti spiace se vado a dormire un pò?
-Certo che no, Bells. Lui starà buono per qualche ora, approfittane.
Me ne andai in camera, chiusi la porta e piansi di rabbia, fino a quando non mi addormentai sfinita.
-Billy è stato da Charlie. C'era della posta per te, così ho pensato di venire a portartela. Ti chiedo scusa, non pensavo di disturbare- disse, con la stessa espressione angelica di quando aveva aperto la porta.
Avrei guardato la posta più tardi: non ce la facevo più. Non sapevo se ero più furiosa per le insinuazioni di Jacob o più frustrata per il fatto che non sembrava importargliene niente che Seth... che Seth... insomma, l'abbraccio di Seth era stato di certo solo ed esclusivamente amichevole, ma Jake aveva tutta l'aria di infischiarsene alla grande, di qualunque cosa si fosse trattato, e di non provare niente di più che un leggero disprezzo per me.
Avrei dato qualsiasi cosa per restare da sola con i miei nervi pronti a saltare.
Elias per fortuna si svegliò e si mise a piangere, reclamando la sua poppata e sovvertendo come al solito la lista delle mie priorità. Jacob lo cambiò mentre io riponevo tutti i panni puliti che alla fine non avevo stirato. Poi mi sedetti in poltrona e attaccai mio figlio al seno, e Jake arrangiò in qualche modo una minestra per la mia cena.
Come diavolo faceva ad essere così bello con addosso il mio grembiule da cucina rosa?
Lo odiavo. Altro che amarlo. Lo odiavo ferocemente.
-Jake... sono distrutta. Ti spiace se vado a dormire un pò?
-Certo che no, Bells. Lui starà buono per qualche ora, approfittane.
Me ne andai in camera, chiusi la porta e piansi di rabbia, fino a quando non mi addormentai sfinita.
Mi svegliai effettivamente un paio d'ore dopo.
Jacob mi salutò nel solito modo; sarebbe tornato a casa a controllare se Billy aveva bisogno di qualcosa, poi avrebbe iniziato il suo turno di guardia. Io restai in compagnia della mia frustrazione.
Andai in cucina a prendere un bicchier d'acqua, e mi decisi ad aprire la posta.
Cominciai dalla busta grande, quella più voluminosa delle altre, che stava in cima alla pila sul tavolo. Il mio nome, scritto a mano con inchiostro nero ed un tratto spesso ed accurato, campeggiava in cima all'indirizzo della casa di Charlie a Forks.
Jacob mi salutò nel solito modo; sarebbe tornato a casa a controllare se Billy aveva bisogno di qualcosa, poi avrebbe iniziato il suo turno di guardia. Io restai in compagnia della mia frustrazione.
Andai in cucina a prendere un bicchier d'acqua, e mi decisi ad aprire la posta.
Cominciai dalla busta grande, quella più voluminosa delle altre, che stava in cima alla pila sul tavolo. Il mio nome, scritto a mano con inchiostro nero ed un tratto spesso ed accurato, campeggiava in cima all'indirizzo della casa di Charlie a Forks.
Signora Isabella Marie Swan Cullen.
La calligrafia elegante, d'altri tempi, era senza ombra di dubbio quella di Edward.
Nessun commento:
Posta un commento
Potete scrivere qualunque cosa, se usate un linguaggio civile. Il contenuto per adulti non si porta dietro la volgarità nel mio blog. Sono graditi soprattutto commenti di tipo letterario e stilistico.