-Devo uscire... fatemi uscire!
Mi alzai aggrappandomi al piano del tavolo, troppo in fretta per una con una pancia come la mia: enorme, ingombrante, quasi grottesca sulle gambe rimaste snelle e sottili.
-Fatemi passare... per favore! Aprite la finestra!
Sentii che sarei morta se dell'aria fresca non fosse entrata subito nei miei polmoni. Corsi, sbattei contro qualcosa, inciampai ma non riuscii a fermarmi: non vedevo né volevo altro che la finestra, la porta finesta che dava sul giardino.
Mani, volti pallidi. Qualcuno urlò.
-Portatela fuori!
In pochi secondi fui in giardino, ma il respiro non volle saperne di arrivare giù nei polmoni. Si fermò in gola strozzandomi ed io ne ebbi sempre più disperatamente bisogno.
Tutto divenne grigio e l'aria mi abbandonò, insieme alla coscienza di me stessa.
Ora sono circondata dall'acqua gelida, i vortici sbattono il mio corpo sulle rocce.
-Calma, calmatevi tutti. Edward, slacciale la camicia. Sbottonate i pantaloni...così. Indietro, lasciatela respirare!
Le voci arrivano ovattate e lontane.
L'acqua nera, l'aria. Aria, ho bisogno di aria. I polmoni schiacciati, inerti.
Sto morendo.
Una mano, è calda nell'acqua gelida.
- Respira, Bella! Respira!
Apro gli occhi, un fiotto di acqua salata.
-Ma che cosa ti è saltato in mente, eh? Non potevi aspettarmi?Il dolore è così violento, così violento.
Le mani che mi stringono sono gelide.
Torno lentamente, inesorabilmente, nella vita che io stessa mi sono scelta.
Apro gli occhi... Dei visi perfetti, dagli occhi assurdi, mi fissano senza parlare.Respiro. Se non altro, respiro. Almeno, respiro.
-E' una cosa normale, Bella. Tu hai il bacino stretto, il bambino cresce e preme sul diaframma impedendo ai polmoni di espandersi. Purtroppo sarà sempre peggio, andando avanti con la gravidanza... Devi portare pazienza e stare calma, in fondo non manca molto. Se ti agiti, inneschi un circolo vizioso.
Seduta sul divano, con le gambe sollevate su un pouf e un bicchiere d'acqua in mano, cercavo di rilassarmi dopo il mio mezzo soffocamento. Mi chiedevo se
mio suocero, mentre mi esortava a stare calma, riuscisse ad immaginare come poteva essere avere un'anguria cucita nella cavità addominale.
-Mi sono spaventata a morte, Carlisle. Non puoi darmi qualcosa? Non so, un tranquillante, un ansiolitico. Se mi ricapita muoio, lo so.
-Psicofarmaci? A una donna incinta? Mi spiace, Bella. No.Esme era rimasta silenziosa e in disparte fino a quel momento. Mi si avvicinò e mi circondò le spalle con un braccio.
-Sai come facevo io, Bella? Guarda.
Davanti ai miei occhi strabiliati si mise a quattro zampe sul tappeto. La mia suocera-fotomodella, icona di classe ed eleganza? Scoppiai a ridere come una sciocchina. Poi mi ricordai che, tra tutte le donne presenti, Esme era l'unica che aveva provato ad avere il pancione, a partorire suo figlio e ad abbracciarlo appena nato, per poi perderlo subito dopo. Il solo pensiero mi trafisse come una lama di gelido orrore. Era quello che ormai mi accadeva regolarmente, ogni volta che ascoltavo o leggevo notizie di cronaca riguardanti madri e bambini.
Esme. Me la vidi chiaramente davanti in abiti d'altri tempi, con la figura appesantita, già allora delicata e tenera in modo sovrumano. Il suo gesto perse ogni sfumatura di ridicolo e mi arrivò al cuore, insieme a una pena devastante per il suo dolore, di cui sicuramente nemmeno adesso, incinta, riuscivo a comprendere la vastità.
Mi alzai dondolante e con cautela mi misi a gattoni accanto a lei. Le tremavano leggermente le palpebre. Forse, se fosse stato ancora possibile, avrei visto i suoi occhi diventare lucidi, o una lacrima scivolarle sulla guancia. Tenni per me l'impulso di abbracciarla e mi concentrai sulla buffa posizione che avevamo assunto entrambe.
Incredibile.-Ehi, ma funziona!
Esme mi sorrideva dolcemente.-Certo che sì! E tu che ridevi...
In quella posizione, la gravità liberava sia il diaframma che gli organi addominali dal peso del mio bambino. I polmoni recuperavano spazio, i visceri si rilassavano.
Beh, non era esattamente uno spettacolo dignitoso -anzi,probabilmente facevo proprio ridere- ma non me ne importava nulla: avrei fatto qualunque cosa per stare meglio, e volevo anche essere gentile con Esme. E poi, stare lì in quella posizione ridicola, a cercare sollievo da un peso sempre più difficile da portare, mi aiutava a distogliere la mente.Respira, Bella. Respira.La camera matrimoniale mia e di Edward, a casa Cullen, era la stessa stanza che lui occupava prima del matrimonio. La stessa dove mi ero stupita di non vedere alcun letto, la prima volta che ci ero stata, e la stessa dove, la notte precedente alla battaglia contro i neonati, avevo accettato di sposarlo.
Era un luogo che ormai mi era diventato familiare, e mi ci sentivo abbastanza a mio agio. C'era una cosa che amavo, di quella stanza: mentre le altre camere davano sul fronte della casa, dove c'era il prato, la nostra si affacciava verso la montagna e la foresta. E questo mi piaceva immensamente.
Non l'avevo mai temuta, la foresta. Al contrario, avevo sempre cercato e trovato conforto nei boschi, fin dai tempi della radura dove incontravo Edward, e anche dopo, nelle mie passeggiate solitarie ed isteriche.
Quella sera percepivo in modo stranamente intenso la sensazione di pace del bosco notturno, forse perché la desideravo così fortemente, quella pace, da proiettare il mio desiderio nella sensazione di un richiamo riservato solo a me. E mi resi anche conto che stavo cercando qualcosa, nel buio. Qualcosa che doveva esserci, io lo sapevo. Qualcosa che mi era stato vicino e che mi mancava.
Cosa avevano detto gli anziani, la sera in cui avevo ascoltato le leggende? Io, unica donna bianca mai ammessa al fuoco del consiglio?Non avevo mai avuto paura dei lupi, io, nemmeno quando Paul mi aveva quasi aggredita. Nemmeno quando, per la prima volta, avevo visto l'imponente presenza del branco nella foresta di Hoh.
Loro erano miei, ci appartenevamo in qualche modo, e questo non era un sogno: mi era stato detto chiaramente che avevo una parte nella loro storia. E il mio legame col branco era esclusivamente mio, e non il solito satellite che ruotava intorno a Edward e ai Cullen, come tutte le altre cose che erano state la mia vita fino a quel momento.
Sam, Seth, Leah, Paul... tutti loro.
Ognuno di loro, un pezzo della mia storia che riaffiorava dalla nebbia in cui mi ero avvolta negli ultimi mesi.Gli abeti neri ondeggiavano piegati dal vento, e io, così vicina alla foresta, separata dagli alberi solo da un vetro, mi sentivo stranamente al sicuro. I lupi non mi amavano, questo no, ma non mi avrebbero mai fatto del male, ne ero sempre stata certa, e sapevo che se avessi chiamato aiuto mi avrebbero ancora salvata e protetta.
Salvata e protetta.-Ti devo dire una cosa, Bella. No, non fare così!
Mio padre quasi grida nel vedermi diventare rigida, come accade di solito quando mi si prospetta un discorso padre-figlia. Considerata la mia mole e la mia agilità del momento, non posso nemmeno scappare abbastanza velocemente. Volente o nolente devo ascoltare, perciò stringo i denti e mi preparo.-Ok, spara. Ma fai in fretta, papà.
- Sarò un fulmine, bambina. Dunque... Volevo solo dirti che...
Mio padre mi prende il viso tra le mani e mi fissa intensamente negli occhi. Non è un gesto da Charlie, questo, e io non so se sono più intenerita o più spaventata. Posso immaginare quanto si senta, ingiustamente, in colpa. Quanto si sia spaventato, quel giorno, nel vedermi piangere due ore nella sua cucina. Avverto tutta la sua pena, la preoccupazione, l'impotenza. Tutto l'amore che non ci siamo mai detti affluisce nei suoi occhi e nei miei in questo momento.
-Insomma, quello che voglio dire è... Bella, io ci sarò sempre, piccola. Tu fai quello che devi fare per essere felice. Io sono qui, hai capito? Questa è casa tua. Tu qui puoi tornarci quando vuoi e starci quanto vuoi. Hai capito bene? Guardami. Hai capito bene?
Guardo il mio papà, annuisco. Lo guardo negli occhi, e comprendo tutto... Mi guardo coi suoi occhi e mi sento gelare.
Mi stringo al suo petto, annuso il suo odore di buono, di casa, di sicurezza.
- Papà...
Non so se fu il ricordo degli occhi di Charlie o il mio bisogno disperato di pace, a rendermelo evidente con una chiarezza spietata.
Io avevo paura.
Edward era scivolato silenziosamente alle mie spalle. Il leggero vortice dell'aria fredda dietro di me mi aveva fatta rabbrividire.
-Hai freddo, Bella? Ti prendo una coperta?
Avevo stretto la braccia intorno al corpo, una sulla pancia e una sul petto. Forse sì, avevo freddo. Restai immobile.
-Sei bellissima, lo sai?
Sussurrò le parole a un millimetro dal mio collo.
-Sei un vampiro... Non posso nemmeno dirti che hai bisogno di una visita dall'oculista. Ma potresti provare a osservarmi meglio!
Feci un passo indietro per farmi guardare, e poi immaginai di vedermi con gli occhi di Edward.
I capelli raccolti in una coda, e poi tirati su con un fermaglio, perché con tutti i problemi di mobilità che avevo mi ci mancava solo di impigliarmi dappertutto. Qualsiasi stupidaggine poteva darmi fastidio, perché già faticavo anche solo ad infilarmi una felpa, alzarmi da una sedia e vedermi la punta dei piedi.
Il viso un pò gonfio.
Le mani a salsicciotto, tanto che avevo sudato una bella decina di minuti, qualche giorno prima, per riuscire a togliere la fede e l'anello di fidanzamento. Li avevo riposti in un cassetto, e chissà quando sarei stata in grado di portarli di nuovo.
Addosso, un pigiamone di felpa con pantalone a vita alta, elasticizzata per contenere la pancia, e casacca coordinata stile impero. Ecco, quella casacca non mi stava poi così male. Metteva in evidenza l'unica cosa che era davvero migliorata dall'inizio della gravidanza: il seno più che raddoppiato di volume, che nessun chirurgo estetico al mondo avrebbe mai potuto regalarmi senza farmi sembrare di plastica.
A parte quello, solo un uomo innamorato avrebbe potuto dirmi che ero bellissima. Ed Edward lo era, profondamente, in un modo sconvolgente ed intenso che sfuggiva probabilmente alla mia limitata comprensione di umana.
Mi ero sentita spesso rimproverare la mia incapacità di capire cosa lui provasse per me. Non ero in grado di dire se avesse torto o ragione: non ero un vampiro, io. Io amavo come potevo e, mi pareva, con tutta me stessa.
Edward mi aveva spiegato che, dopo la trasformazione, tutte le caratteristiche umane venivano amplificate e potenziate, e così sentimenti, legami, attaccamenti, inclinazioni. Anche il sesso, ovviamente, diventava un'esperienza di intensità sovrumana. Ne aveva parlato con suo padre e con i suoi fratelli, prima del nostro viaggio di nozze, e mi aveva successivamente confermato l'intensificarsi del suo desiderio, il cambiamento definitivo e fatale avvenuto nel suo essere nel momento in cui si era unito a me anche col corpo. Come i lupi, i vampiri si accoppiavano per la vita, e per la vita potevano odiare e pretendere vendetta per la perdita del proprio compagno. Lo sapevo bene io, che avevo pagato in prima persona per la rabbia di Victoria dopo che Edward aveva ucciso James.
Edward mi amava così, ne ero certa.
Mio marito, da dietro, infilò le mani sotto la casacca del pigiama e salì fino a raccogliere i miei seni, con una presa delicata ma decisa. Li soppesò con le mani fredde, li strinse leggermente. Poi afferrò i capezzoli con la punta delle dita, delicatamente, e si strinse contro di me. Avvertii la sua eccitazione nel movimento morbido che compiva strofinando il bacino contro le mie natiche.
La sua bocca era posata, semiaperta, sul punto del mio collo dove la leggera pressione delle labbra esaltava il palpito della giugulare.
Non mi toccava da mesi, Edward. Non ci aveva nemmeno più provato, dall'inizio della gravidanza, e di tanto in tanto anche le sue belle maniere di fine ottocento tradivano una sorta di impazienza dolorosa, una domanda sempre uguale e mai espressa che ero diventata bravissima ad eludere in ogni modo. Mi ero trasformata in una maestra del cambio di discorso, un'acrobata delle scuse più assurde, una prestigiatrice che mischiava ripetutamente le carte in tavola della nostra vita; ma tutto questo non senza avvertire una pena profonda per lui, per me stessa, e per i nostri sogni che sbiadivano irrimediabilmente.
E tutto era peggiorato dopo quel pomeriggio a casa di Charlie.
Non avevo mai ringraziato tanto il destino, o il caso fortuito, che faceva sì che Edward non riuscisse a leggermi nel pensiero. Ma non sapevo cosa potesse avere letto nella mente di Charlie, e nessuno di noi aveva mai affrontato il discorso. L'unica cosa che sapevo per certo, era che Edward da allora sembrava sempre più inquieto, ansioso e bisognoso di rassicurazioni da parte mia.
Dopo quell'episodio, aveva chiesto a Carlisle se nel mio stato avrei potuto avere rapporti sessuali, e ovviamente suo padre gli aveva confermato che se non ci fossimo messi a fare acrobazie e non avessimo pesato sulla pancia non ci sarebbe stato alcun problema.
Avevamo passato mesi, prima, io a desiderare di fare l'amore con Edward, e lui a respingermi ogni volta per una ragione diversa. Per non farmi del male, per rispettarmi, per salvare la mia anima e non so più cos'altro. Ora, la situazione si era esattamente ribaltata.
Edward mi braccava, e io mi sentivo presa in trappola.
Non ti muovere.Mi chiesi quale sarebbe stata la scelta più indolore, e alla fine lo lasciai fare. Restai quasi immobile, mentre mi abbassava i pantaloni del pigiama e, sempre da dietro, infilava una mano in mezzo alle mie gambe allargando leggermente le pieghe della mia pelle. Lo sentii distintamente perdere il controllo mentre scambiava per eccitazione la naturale lubrificazione degli organi femminili in gravidanza.
Mi afferrò all'altezza dell'attaccatura delle cosce e mi penetrò subito, da dietro, e io feci del mio meglio per assecondare i movimenti del suo bacino.
Stringeva sempre più forte le mie gambe e cominciai a sentire dolore, ma resistetti, appoggiandomi alla vetrata con entrambe le mani per reggermi in piedi.
Volevo solo che finisse in fretta.
E lui senza saperlo mi accontentò: venne dopo poco, sfinito da mesi di desiderio frustrato, sorpreso e felice da quella che aveva preso per una mia improvvisa voglia di lui.
Lo sentii gemere, piano, e poi scivolare fuori da me.
La sua bocca non aveva mai lasciato il mio collo, in quel punto pulsante vicino alla giugulare.Per la prima volta da quando lo conoscevo, un istinto nuovo, a torto o a ragione, mi aveva urlato nelle orecchie la parola pericolo. Non avevo mai dato peso al rischio quando si trattava solo di me stessa, ma adesso c'era qualcuno che era infinitamente più importante di me. Qualcuno per cui non dovevano esistere rischi, qualcuno su cui non avrei scommesso niente. Qualcuno per cui non avrei lasciato niente al caso, mai, non per quanto era in mio potere.
Per la prima volta avevo capito ed ero esattamente consapevole di quanto poco Edward avrebbe impiegato ad uccidermi, se avesse voluto.Idiota che sei. Perché mai dovrebbe farlo?
Con la scusa di darmi una sistemata e ripulire il seme che mi colava tra le gambe, abbandonai le sue braccia gelide lasciandolo a guardarmi con un'espressione indecifrabile.Rabbrividii di nuovo. Ed ero sicura che stavolta il freddo non c'entrava per niente.
Ci fu solo un attimo di leggerezza, in quella lunga giornata di fine inverno che stava per morire col tramonto della luna. Mentre mi infilavo sotto le coperte, i miei occhi si posarono sulla copertina del libro che stava sul comodino, una nuova edizione di Romeo e Giulietta che Edward mi aveva regalato per poterla leggere a mio piacimento, mentre il mio vecchio libro, ormai ridotto in fascicoli consumati, era andato in pensione sullo scaffale della libreria vicino agli altri ricordi.
La Giulietta ritratta sotto il titolo era un'eterea creatura bionda, flessuosa e ieratica. Nel mito non sarebbe mai cambiata: la sua morte adolescente l'aveva resa eternamente perfetta, immune al mutamento, alla vecchiaia e alla perdita di salute e giovinezza. Esattamente come la distruzione della mia umanità avrebbe resa me, se tutto fosse andato secondo il piano originario.
Mi venne addirittuta da ridere pensando a quanto, in passato, mi ero identificata con lei, e a quanto tutto era spaventosamente cambiato nel giro di pochi mesi. Avevo avuto l'ultimo pezzo di fiaba al mio matrimonio e poi, forse, sull'Isola Esme, ma adesso... Che avrebbe fatto Giulietta al mio posto? Come si sarebbe portata a spasso, lei, l'anguria procuratale da Romeo? Ridevo piano, mentre mio marito si chiedeva probabilmente se nel pomeriggio non avessi riportato danni cerebrali permanenti durante la mia crisi isterica.
- Posso ridere con te, amore?
- Niente di che... pensavo ad oggi.
Mi figurai una Giulietta coi capelli scuri e gli occhi marroni, grossa come una balena, andare alle visite di controllo, chiedere aiuto per infilarsi le scarpe, mangiare poco e spesso per combattere l'acidità di stomaco... Una Giulietta che si chiedeva se sarebbe stata capace di cambiare un pannolino pieno di cacca senza vomitare o, peggio, svenire all'istante. Ridevo da sola sotto gli occhi sempre più perplessi di Edward, fino a quando quella mia Giulietta si trovò in un luogo che io avevo conosciuto da poco, durante un corso tenuto dalle ostetriche che mi seguivano. Si trattava di una piccola stanza dipinta di verde e di azzurro; senza dubbio, l'unica sala parto del piccolo ospedale di Forks.
Il male che sentii fu come un pugno in pieno petto, una frustata di dolore crudele e improvviso che mi sorprese con la guardia abbassata. Fu per miracolo che riuscii a voltarmi in tempo e a nascondermi a mio marito mentre ricominciavo a piangere senza poterci fare niente di niente.
Vedevo quella Giulietta in sala parto, il viso stravolto dallo sforzo, stringere con tutte le sue forze un paio di mani brune.Respira, Bella. Respira.Sfinita dalla stanchezza e dalla malinconia, alla fine mi ero appisolata, nonostante lo sguardo inquietante di Edward che non aveva perso l'abitudine di fissarmi mentre dormivo, anche per tutta la notte. Quando mi svegliai, le cifre digitali della sveglia sul comodino mi confermarono che al massimo potevo aver riposato un paio d'ore.
Restai immobile ad inseguire i miei pensieri, sperando che mio marito non si accorgesse che ero sveglia e mi lasciasse in pace.
Mi tornò in mente la Giulietta che mi aveva fatto sorridere prima di dormire, per un istante troppo breve.
Potevo abbandonarla al suo destino?
Poteva Giulietta andare da Romeo, invitarlo a sedere al tavolo della loro cucina, e dopo aver raccolto tutto il coraggio di cui era capace dirgli, guardandolo negli occhi "Rom, mi dispiace, credo di aver commesso un errore. Cerchiamo di affrontare la cosa da persone civili, va bene?"
Che avrebbe fatto Romeo?
Di certo sarebbe rimasto incredulo a guardare Giulietta. Di certo il dolore l'avrebbe travolto, forse con conseguenze inimmaginabili.
Forse avrebbe potuto lasciarla andare, prima. Prima di averla sposata, di avere fatto l'amore con lei, di averla messa incinta.
Romeo perde il controllo e uccide Giulietta.Romeo ci avrebbe messo una frazione di secondo a capire di avere un rivale. E poco importava che Giulietta lo avesse ormai perduto, che la storia fosse finita. Finita.
Forse Romeo l'avrebbe cercato?
Romeo sfida il suo rivale e lo uccide. Romeo sparisce portandosi via il loro bambino.
Urlai, e urlai ancora, e ancora, spaventando Edward e gli altri che in un attimo furono nella nostra stanza.
Ancora Carlisle mi fu vicino e mi prese le mani, invitandomi a calmarmi.
Respira, Bella. Respira.
Disclaimer
In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.
mercoledì 12 gennaio 2011
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