Come closer and see
See into the trees
Find the girl
While you can
Come closer and see
See into the dark
Just follow your eyes
Just follow your eyes
I hear her voice
Calling my name
The sound is deep
In the dark
I hear her voice
And start to run
Into the trees
Into the trees
Into the trees
Suddenly I stop
But I know it's too late
I'm lost in a forest
All alone
The girl was never there
It's always the same
I'm running towards nothing
Again and again and again
The Cure, A Forest
See into the trees
Find the girl
While you can
Come closer and see
See into the dark
Just follow your eyes
Just follow your eyes
I hear her voice
Calling my name
The sound is deep
In the dark
I hear her voice
And start to run
Into the trees
Into the trees
Into the trees
Suddenly I stop
But I know it's too late
I'm lost in a forest
All alone
The girl was never there
It's always the same
I'm running towards nothing
Again and again and again
The Cure, A Forest
X.
-Non hai caldo col pigiama di pile?
-Non sei stufo di chiedermi sempre la stessa cosa?
-Vecchia bisbetica.
-Bestione maleducato.
Diane Dowson si era addormentata tranquilla, protetta da un quilt ben imbottito, un pigiamone antitormenta e la serena consapevolezza che tutto in casa sua era a posto. Aveva dormito fino a quando un peso sul letto aveva fatto cigolare le molle del materasso, producendo una sorta di miagolio familiare. Subito dopo un braccio bollente si era posato, neanche troppo delicatamente, sul suo fianco.
-Ti lascio dormire- le aveva soffiato tra i capelli il proprietario del braccio e della voce roca che ce l'aveva col suo pigiama di pile. Poi si era stretto contro di lei, sopra le coperte in cui ora si trovava arrotolata stretta.
-Non sei stufo di chiedermi sempre la stessa cosa?
-Vecchia bisbetica.
-Bestione maleducato.
Diane Dowson si era addormentata tranquilla, protetta da un quilt ben imbottito, un pigiamone antitormenta e la serena consapevolezza che tutto in casa sua era a posto. Aveva dormito fino a quando un peso sul letto aveva fatto cigolare le molle del materasso, producendo una sorta di miagolio familiare. Subito dopo un braccio bollente si era posato, neanche troppo delicatamente, sul suo fianco.
-Ti lascio dormire- le aveva soffiato tra i capelli il proprietario del braccio e della voce roca che ce l'aveva col suo pigiama di pile. Poi si era stretto contro di lei, sopra le coperte in cui ora si trovava arrotolata stretta.
Un attimo dopo lui era nel mondo dei sogni. Ci metteva così poco ad addormentarsi.
Non c'è niente come sapere che non puoi muoverti per farti venire subito voglia di stirarti un muscolo, o di dare una grattatina ad una parte del corpo irraggiungibile, della quale fino a un minuto prima ignoravi l'esistenza. O per accorgerti che la biancheria ha fatto una piega fastidiosa là dove sai che non lo potrai sopportare ancora per molto. E poi, oggettivamente: pigiama di pile e trapunta sono perfetti se una dorme da sola. Diventano invece decisamente eccessivi, se si divide il letto con quasi due metri di muscoli dalla confortevole temperatura di 42 gradi centigradi.
Lei non voleva muoversi. Non voleva svegliarlo. E non solo perché le piaceva ascoltare il suo sonno, ma perché tutto era perfetto così. Di quella perfezione per la quale si può anche restare immobili e smettere di respirare, credendo che tutto resterà uguale per sempre.
Però, accidenti, adesso cominciava a sudare. E si sentiva legata nella coperta come un involtino.
Oddio, che fastidio...
Si mosse un pochino. Giusto per stirare un po' la schiena e sgranchire la gamba, ormai intorpidita, schiacciata sotto quella di lui.
-Mmmm- mugugnò lui, stringendola di più.
Perfetto. Promossa sul campo a Winnie-the-Pooh!Qualche minuto dopo sudava copiosamente. Pensò che non ce la poteva proprio fare: almeno doveva uscire dalla trapunta, se no sarebbe andata arrosto.
Il braccio di lui era davvero pesante. L'operazione che aveva in mente, però, era piuttosto semplice: si trattava di tirar fuori almeno le mani dall'involtino, girarsi un po', sfilare la trapunta da sotto il braccio e tirarla indietro. Roba da nulla.
Piano, pianino... Ce la faccio.
-Oh, insomma. Ma non puoi stare un po' ferma?
-Ho caldo!
-Ma non avevi freddo?
-Adesso ho caldo. Colpa tua.
-E togliti il pigiama, no?
La piccola lampada notturna di sicurezza, quella che serviva a non schiantarsi contro il comò quando correva dai bambini in piena notte, rendeva meno nera l'oscurità morbida della stanza. Didi immaginò in quella luce lo scintillio dei suoi occhi, innocenti e consapevoli, infantili ed antichi. Erano occhi che sorridevano poco, e solo in pochi strani momenti. Senza voltarsi Didi avvertì che in quel momento c'era un sorriso.
Si levò prima la casacca, poi dopo aver liberato le gambe dalla trapunta e dalle gambe di lui si tolse anche i pantaloni. Si infilò sotto la trapunta, e stavolta lui la seguì.
Forse era troppa la pelle scoperta, adesso, e troppo dolce la mano che aveva cominciato ad accarezzarle il fianco sotto la leggera maglia di cotone. Era troppo e sempre grande il bisogno di sapere che lui era vero e che non stava sognando. Era troppo chiedere al suo corpo di tacere quando la carezza salì dal ventre fino al seno, e poi giù di nuovo.
Didi non aprì gli occhi. Voltò solo leggermente la testa, e trovò subito le labbra di lui.
XX.
Da mesi Bella Cullen ignorava cosa significasse dormire una notte intera. Ma sapeva che era normale: le avevano spiegato che il mutare dei ritmi del sonno faceva parte della naturale preparazione del corpo al compito di madre e nutrice. I cuccioli d'uomo, nei primi tempi, devono poppare almeno ogni due ore, e quello più o meno era il ritmo che stava prendendo il suo riposo notturno. Dormiva brevi sonni nebbiosi e senza sogni. Due o tre ore di incoscienza, il risveglio, un breve vagabondare della mente nella lucidità, poi di nuovo un po' di pace.
Il sonno della signora Cullen, fino a quel momento, era stato risparmiato.
Ma quello che accadde era inevitabile, si era detta in seguito, quando aveva cercato di ricordare. Se doveva essere spezzata, se era così inevitabile, poteva accadere una qualsiasi notte. Doveva solo essere sorpresa totalmente inerme, nel sonno.
Sto percorrendo boschi e colline nella notte, e la parte di me che ha lasciato la carne ha sembianze di ragazza, non di madre.
Volo leggera ed invisibile sopra le foreste, e dall'alto vedo le sagome delle bestie notturne all'abbeverata, i prati lunari, le luci delle case sempre più rare.
L'ora avanza, le luci si spengono. Solo una resta accesa, ma non viene da fonti umane. Capisco che solo io la posso vedere. E' per me.
Le foreste e le colline spariscono, resta l'oscurità con quel globo di luce che pulsa e diventa sempre più grande, mentre io mi avvicino.
Ora li distinguo.
Il pulsare della luce è quello di due corpi allacciati. La luce si dilata e si stringe come un cuore che batte, posso addirittura sentire il pulsare di quel cuore.
Tu-tum, silenzio. Tu-tum, silenzio.
E' un cuore che pulsa, sono i due corpi che pulsano. E' il loro movimento ritmico, i lombi di lui che spingono, il ventre di lei che lo accoglie e lo segue. Un uomo e una donna. I capelli biondi di lei si allargano sulle lenzuola, la luce pulsante li rende come fiamme; vicino alla fronte sono bagnati di sudore. Il corpo di lui è bruno e lucido, e lei sembra così piccola sotto di lui, che è grande e forte. Con una mano le preme i glutei, tirandosela contro, per entrare più in profondità. Con l'altra le tiene i polsi, sopra la testa, come in un gioco fra loro, in cui lei finge di voler fuggire. E questo mi irrita, mi indispone, e non capisco perché.
Tu-tum, silenzio. Tu-tum, silenzio.
Il cuore pulsa, la luce pulsa, io sono sempre più vicina.
Il corpo di lui è perfetto. E' fatto come un sogno, come il ritratto di un dio, come il simulacro di una leggenda. Brilla, coperto di sudore, nella mia luce pulsante. Il palpito del cuore contrae i muscoli sotto la pelle, e lame di luce calda mi colpiscono mentre contemplo la sua forma di uomo.
Io lo conosco.
Ora sono ancora più vicina. Posso sentire i gemiti di lei. Non voglio più guardare, ma qualcosa di prepotente mi costringe a girare la testa, mi obbliga a vedere, come si fa coi bambini quando li sgridi. Guardami negli occhi. Guarda che cosa hai fatto.
Ma questo non è un gioco da bambini. Sento che questa è una tragedia, e riguarda solo me.
E' una tragedia, e si consuma davanti a me.
La donna è perduta tra le braccia di lui, le braccia lunghe e forti la trattengono impedendole di morire. Le braccia... Su un avambraccio, un disegno complesso, una traccia bruna sulla pelle. Una testa di lupo.
Io lo conosco.
La donna bionda libera una mano, afferra i capelli neri di lui, come per salvarsi, come per non crollare. Un grido soffocato le esce dalla gola, e benché fosse già sdraiata ora sembra precipitare da altezze infinite, come sprofondare.
In quel momento lui si volta.
Mi vede.
Mi guarda negli occhi.
Io so che è impossibile, ma mi vede.
Come può vedermi se non vedo me stessa?
Come può il mio corpo di spirito piangere?
Ira e dolore, ira e dolore, quello che vedo adesso negli occhi che mi stanno fissando. Lui mi conosce?
Ira e dolore in quegli occhi, un fuoco, una tempesta di fuoco.
Mi odia.
Guardandomi negli occhi, si muove ora più in fretta sul corpo della donna, sempre più in fretta finché, stordito si abbatte su di lei.
Come può il mio corpo di spirito piangere?
Avverto il dolore della donna bionda. Come è possibile? Silenziosa ed appagata, lo stringe a sé, ma io posso vedere distintamente una goccia d'acqua nell'angolo dei suoi occhi chiusi. Una goccia d'acqua che scintilla come una stella, mentre la luce pulsante si placa.
Ora rotola lentamente giù per la guancia. La donna non sorride più.
Gli occhi di lui sono neri d'odio. Sono certa che mi vedono.
Solo allora lo riconosco.
Solo allora ricordo il suo nome.
Vorrei urlare, ma non riesco a gridare il suo nome.
L'angoscia mi travolge.
Un vortice mi risucchia in un corpo che fatica a respirare.
Dopo quella notte, Bella Cullen ebbe paura anche di addormentarsi, e questo la sfinì lentamente. Le sue condizioni fisiche cominciarono a peggiorare, mentre il tempo del parto si avvicinava.
Il sonno della signora Cullen, fino a quel momento, era stato risparmiato.
Ma quello che accadde era inevitabile, si era detta in seguito, quando aveva cercato di ricordare. Se doveva essere spezzata, se era così inevitabile, poteva accadere una qualsiasi notte. Doveva solo essere sorpresa totalmente inerme, nel sonno.
Sto percorrendo boschi e colline nella notte, e la parte di me che ha lasciato la carne ha sembianze di ragazza, non di madre.
Volo leggera ed invisibile sopra le foreste, e dall'alto vedo le sagome delle bestie notturne all'abbeverata, i prati lunari, le luci delle case sempre più rare.
L'ora avanza, le luci si spengono. Solo una resta accesa, ma non viene da fonti umane. Capisco che solo io la posso vedere. E' per me.
Le foreste e le colline spariscono, resta l'oscurità con quel globo di luce che pulsa e diventa sempre più grande, mentre io mi avvicino.
Ora li distinguo.
Il pulsare della luce è quello di due corpi allacciati. La luce si dilata e si stringe come un cuore che batte, posso addirittura sentire il pulsare di quel cuore.
Tu-tum, silenzio. Tu-tum, silenzio.
E' un cuore che pulsa, sono i due corpi che pulsano. E' il loro movimento ritmico, i lombi di lui che spingono, il ventre di lei che lo accoglie e lo segue. Un uomo e una donna. I capelli biondi di lei si allargano sulle lenzuola, la luce pulsante li rende come fiamme; vicino alla fronte sono bagnati di sudore. Il corpo di lui è bruno e lucido, e lei sembra così piccola sotto di lui, che è grande e forte. Con una mano le preme i glutei, tirandosela contro, per entrare più in profondità. Con l'altra le tiene i polsi, sopra la testa, come in un gioco fra loro, in cui lei finge di voler fuggire. E questo mi irrita, mi indispone, e non capisco perché.
Tu-tum, silenzio. Tu-tum, silenzio.
Il cuore pulsa, la luce pulsa, io sono sempre più vicina.
Il corpo di lui è perfetto. E' fatto come un sogno, come il ritratto di un dio, come il simulacro di una leggenda. Brilla, coperto di sudore, nella mia luce pulsante. Il palpito del cuore contrae i muscoli sotto la pelle, e lame di luce calda mi colpiscono mentre contemplo la sua forma di uomo.
Io lo conosco.
Ora sono ancora più vicina. Posso sentire i gemiti di lei. Non voglio più guardare, ma qualcosa di prepotente mi costringe a girare la testa, mi obbliga a vedere, come si fa coi bambini quando li sgridi. Guardami negli occhi. Guarda che cosa hai fatto.
Ma questo non è un gioco da bambini. Sento che questa è una tragedia, e riguarda solo me.
E' una tragedia, e si consuma davanti a me.
La donna è perduta tra le braccia di lui, le braccia lunghe e forti la trattengono impedendole di morire. Le braccia... Su un avambraccio, un disegno complesso, una traccia bruna sulla pelle. Una testa di lupo.
Io lo conosco.
La donna bionda libera una mano, afferra i capelli neri di lui, come per salvarsi, come per non crollare. Un grido soffocato le esce dalla gola, e benché fosse già sdraiata ora sembra precipitare da altezze infinite, come sprofondare.
In quel momento lui si volta.
Mi vede.
Mi guarda negli occhi.
Io so che è impossibile, ma mi vede.
Come può vedermi se non vedo me stessa?
Come può il mio corpo di spirito piangere?
Ira e dolore, ira e dolore, quello che vedo adesso negli occhi che mi stanno fissando. Lui mi conosce?
Ira e dolore in quegli occhi, un fuoco, una tempesta di fuoco.
Mi odia.
Guardandomi negli occhi, si muove ora più in fretta sul corpo della donna, sempre più in fretta finché, stordito si abbatte su di lei.
Come può il mio corpo di spirito piangere?
Avverto il dolore della donna bionda. Come è possibile? Silenziosa ed appagata, lo stringe a sé, ma io posso vedere distintamente una goccia d'acqua nell'angolo dei suoi occhi chiusi. Una goccia d'acqua che scintilla come una stella, mentre la luce pulsante si placa.
Ora rotola lentamente giù per la guancia. La donna non sorride più.
Gli occhi di lui sono neri d'odio. Sono certa che mi vedono.
Solo allora lo riconosco.
Solo allora ricordo il suo nome.
Vorrei urlare, ma non riesco a gridare il suo nome.
L'angoscia mi travolge.
Un vortice mi risucchia in un corpo che fatica a respirare.
Dopo quella notte, Bella Cullen ebbe paura anche di addormentarsi, e questo la sfinì lentamente. Le sue condizioni fisiche cominciarono a peggiorare, mentre il tempo del parto si avvicinava.
xxx.
Alice Brandon Cullen non amava la notte.
Apparentemente, perché di notte i negozi erano chiusi, e le vetrine virtuali non davano la stessa soddisfazione. Quel suo vezzo dello shopping funzionava egregiamente come copertura: era fantastico riuscire, con così poca fatica, a passare per una scemetta dedita solo all'erosione delle carte di credito. Questo le evitava domande imbarazzanti, vicinanze difficili da gestire, domande dolorose.
Alice la modaiola compulsiva era così ridicola da risultare perfetta. Alice la shopping-addicted era così semplice da capire, per tutti, e tanto, tanto rilassante per lei, che non riusciva mai a liberarsi veramente di se stessa.
E poi, era convinta che in fondo tutti la preferissero così: sciocchina. Non stupida, eh? Solo un po' sciocchina. Così era perfetta.
Suo padre si serviva di lei per gestire i suoi acquisti in Borsa, e grazie a questo vivevano nel lusso e senza una preoccupazione al mondo; se avesse saputo di tutti i suoi dilemmi, Carlisle si sarebbe posto un sacco di problemi complicando la vita a tutti.
I suoi fratelli la utilizzavano all'incirca come le Meteo-News. Era veramente comodo per loro farle una domanda e venire subito a sapere se stavano scegliendo bene, se stavano facendo la mossa giusta. In certi momenti si sentiva usata, ma era troppo grata al destino, che le aveva regalato una famiglia, per mettersi a brontolare od opporsi in qualche modo. Così, quando qualcuno pretendeva una risposta esatta al millimetro, oppure protestava perché lei aveva interpretato male la visione, perché si era sbagliata insomma, lei abbozzava. Ingoiava e taceva e faceva la scema. Così, nessuno ne soffriva troppo.
Nessuno a parte lei, ovviamente.
Alice Cullen si sentiva continuamente come una che legge i diari degli altri, che ruba al supermercato, che copia i compiti prendendo voti che non merita. Solo che nessuno brucia all'inferno perché ha copiato. Lei faceva lo stesso, ma giocava coi destini della gente. E sentiva che qualche demone prima o poi sarebbe venuto a prenderla.
No, non amava la notte, Alice.
C'era una cosa che non aveva raccontato neanche a Jasper, perché avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni e lui si sarebbe preoccupato a morte.
Una volta, era andata a parlare con un lama. Sì, uno di quei tipi strani con il cranio lucido e le vesti arancioni. Uno che mezzo secondo dopo averla vista aveva sgamato la sua vera natura, ma non le aveva detto niente di particolare in merito, limitandosi a brontolare una benedizione per tutti gli esseri senzienti.
Avevano parlato a lungo davanti a una piccola tazza di tè fumante, le gambe incrociate e gli occhi tranquilli.
Lei si era sentita talmente rilassata, sotto lo sguardo profondo del vecchio, da parlargli del suo dono -o della sua maledizione, secondo i punti di vista. E lui l'aveva accarezzata sulla guancia fredda, con gli occhi pieni di pietà. Poi le aveva parlato della meditazione, che serve ad imparare a vivere nel presente. Le aveva insegnato qualcosa, consigliato dei libri, indicato un maestro dal quale prendere delle lezioni. Ma ad Alice non era sfuggita la compassione con la quale l'aveva infine congedata.
Tiresia, Cassandra, la Pizia. E Alice Cullen.
Alice la veggente, Alice col destino tra le mani. Alice l'assassina, che irrompeva nel futuro e cambiava ed uccideva infiniti futuri possibili, cancellando con poche parole nascite, morti e destini. Alice che non poteva non pensare che un giorno qualcuno le avrebbe presentato il conto. Alice distrutta sotto il peso delle sue scelte.
C'erano certe notti troppo silenziose, in cui Alice si sarebbe staccata la testa dal collo, con le sue stesse mani, per non sentire i pensieri rimbombare e non vedere le visioni che l'assalivano come cani rabbiosi.
Quella notte, seguendo i consigli del suo lama, Alice spense tutte le luci, accese una candela e sedette tranquilla concentrandosi sulla fiamma.
Ma anche nella fiamma vide danzare le stesse immagini.
Avrebbe voluto morire, Alice Cullen, quella notte. Non per la visione in sé, che era tragica ma non riguardava, almeno per il momento, la vita o la morte di nessuno. Solo che era stanca, infinitamente stanca di reggere quel peso da sola.
Avrebbe dovuto dire semplicemente la verità, e forse non si sarebbe arrivati a tanto.
Adesso, non conosceva rimedio al dolore che vedeva nella fiamma e che la tormentava da mesi.
Se avesse potuto soffrire fisicamente, avrebbe preso un coltello e si sarebbe incisa le carni, perché il dolore la tirasse fuori dalla sua stessa testa e lei potesse avere un attimo di pace. Ma anche quel conforto le era assurdamente negato.
Avrei dovuto dire semplicemente la verità.
In quel momento Bella aveva gridato nel sonno.
Era già successo, ma mai l'urlo era stato così straziante. Si coprì le orecchie con le mani, conscia che non sarebbe servito a nulla e che non c'era scampo.
Apparentemente, perché di notte i negozi erano chiusi, e le vetrine virtuali non davano la stessa soddisfazione. Quel suo vezzo dello shopping funzionava egregiamente come copertura: era fantastico riuscire, con così poca fatica, a passare per una scemetta dedita solo all'erosione delle carte di credito. Questo le evitava domande imbarazzanti, vicinanze difficili da gestire, domande dolorose.
Alice la modaiola compulsiva era così ridicola da risultare perfetta. Alice la shopping-addicted era così semplice da capire, per tutti, e tanto, tanto rilassante per lei, che non riusciva mai a liberarsi veramente di se stessa.
E poi, era convinta che in fondo tutti la preferissero così: sciocchina. Non stupida, eh? Solo un po' sciocchina. Così era perfetta.
Suo padre si serviva di lei per gestire i suoi acquisti in Borsa, e grazie a questo vivevano nel lusso e senza una preoccupazione al mondo; se avesse saputo di tutti i suoi dilemmi, Carlisle si sarebbe posto un sacco di problemi complicando la vita a tutti.
I suoi fratelli la utilizzavano all'incirca come le Meteo-News. Era veramente comodo per loro farle una domanda e venire subito a sapere se stavano scegliendo bene, se stavano facendo la mossa giusta. In certi momenti si sentiva usata, ma era troppo grata al destino, che le aveva regalato una famiglia, per mettersi a brontolare od opporsi in qualche modo. Così, quando qualcuno pretendeva una risposta esatta al millimetro, oppure protestava perché lei aveva interpretato male la visione, perché si era sbagliata insomma, lei abbozzava. Ingoiava e taceva e faceva la scema. Così, nessuno ne soffriva troppo.
Nessuno a parte lei, ovviamente.
Alice Cullen si sentiva continuamente come una che legge i diari degli altri, che ruba al supermercato, che copia i compiti prendendo voti che non merita. Solo che nessuno brucia all'inferno perché ha copiato. Lei faceva lo stesso, ma giocava coi destini della gente. E sentiva che qualche demone prima o poi sarebbe venuto a prenderla.
No, non amava la notte, Alice.
C'era una cosa che non aveva raccontato neanche a Jasper, perché avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni e lui si sarebbe preoccupato a morte.
Una volta, era andata a parlare con un lama. Sì, uno di quei tipi strani con il cranio lucido e le vesti arancioni. Uno che mezzo secondo dopo averla vista aveva sgamato la sua vera natura, ma non le aveva detto niente di particolare in merito, limitandosi a brontolare una benedizione per tutti gli esseri senzienti.
Avevano parlato a lungo davanti a una piccola tazza di tè fumante, le gambe incrociate e gli occhi tranquilli.
Lei si era sentita talmente rilassata, sotto lo sguardo profondo del vecchio, da parlargli del suo dono -o della sua maledizione, secondo i punti di vista. E lui l'aveva accarezzata sulla guancia fredda, con gli occhi pieni di pietà. Poi le aveva parlato della meditazione, che serve ad imparare a vivere nel presente. Le aveva insegnato qualcosa, consigliato dei libri, indicato un maestro dal quale prendere delle lezioni. Ma ad Alice non era sfuggita la compassione con la quale l'aveva infine congedata.
Tiresia, Cassandra, la Pizia. E Alice Cullen.
Alice la veggente, Alice col destino tra le mani. Alice l'assassina, che irrompeva nel futuro e cambiava ed uccideva infiniti futuri possibili, cancellando con poche parole nascite, morti e destini. Alice che non poteva non pensare che un giorno qualcuno le avrebbe presentato il conto. Alice distrutta sotto il peso delle sue scelte.
C'erano certe notti troppo silenziose, in cui Alice si sarebbe staccata la testa dal collo, con le sue stesse mani, per non sentire i pensieri rimbombare e non vedere le visioni che l'assalivano come cani rabbiosi.
Quella notte, seguendo i consigli del suo lama, Alice spense tutte le luci, accese una candela e sedette tranquilla concentrandosi sulla fiamma.
Ma anche nella fiamma vide danzare le stesse immagini.
Avrebbe voluto morire, Alice Cullen, quella notte. Non per la visione in sé, che era tragica ma non riguardava, almeno per il momento, la vita o la morte di nessuno. Solo che era stanca, infinitamente stanca di reggere quel peso da sola.
Avrebbe dovuto dire semplicemente la verità, e forse non si sarebbe arrivati a tanto.
Adesso, non conosceva rimedio al dolore che vedeva nella fiamma e che la tormentava da mesi.
Se avesse potuto soffrire fisicamente, avrebbe preso un coltello e si sarebbe incisa le carni, perché il dolore la tirasse fuori dalla sua stessa testa e lei potesse avere un attimo di pace. Ma anche quel conforto le era assurdamente negato.
Avrei dovuto dire semplicemente la verità.
In quel momento Bella aveva gridato nel sonno.
Era già successo, ma mai l'urlo era stato così straziante. Si coprì le orecchie con le mani, conscia che non sarebbe servito a nulla e che non c'era scampo.
Avrebbe dovuto dire le cose come stavano, mesi prima, e non prendersi sulle spalle il fardello di decidere per loro.
Lo aveva fatto solo perché Bella le era sembrata così disperata, così distrutta, e perché amava suo fratello. Ecco, forse era questa la punizione che si aspettava, il conto che doveva essere presentato. Essere colpita tramite il dolore di coloro che amava di più.
Ma che altro avrebbe potuto fare?
Erano tutti un po' sconvolti, quel giorno. Forse, in un altro momento, non avrebbe sbagliato così malamente.
"Solo una cosa. Posso farti un'altra domanda a proposito del futuro? Non voglio dettagli, soltanto una panoramica."
Era riuscita a nascondere la sua paura, sapendo perfettamente che cosa Bella stava per chiederle.
"Mi vedi ancora trasformata in vampira?"Glielo aveva detto, in fondo, quanto fosse addolorata per lei e quanto la compativa, anche se non la capiva.
Lei aveva visto da subito solo il volto di Jasper. Glielo aveva detto, che le spiaceva che dovesse scegliere tra due cose tanto belle.
Le aveva risposto.
Alice Cullen sgretolò tra le mani tremanti il cellulare col quale avrebbe voluto chiamare Jasper.
Ora non aveva più scelta, se lo ripeté una volta di più: avrebbe portato quel peso da sola.
Avrebbe dovuto dire la verità. Avrebbe dovuto dire subito la verità.
Lo aveva fatto solo perché Bella le era sembrata così disperata, così distrutta, e perché amava suo fratello. Ecco, forse era questa la punizione che si aspettava, il conto che doveva essere presentato. Essere colpita tramite il dolore di coloro che amava di più.
Ma che altro avrebbe potuto fare?
Erano tutti un po' sconvolti, quel giorno. Forse, in un altro momento, non avrebbe sbagliato così malamente.
"Solo una cosa. Posso farti un'altra domanda a proposito del futuro? Non voglio dettagli, soltanto una panoramica."
Era riuscita a nascondere la sua paura, sapendo perfettamente che cosa Bella stava per chiederle.
"Mi vedi ancora trasformata in vampira?"Glielo aveva detto, in fondo, quanto fosse addolorata per lei e quanto la compativa, anche se non la capiva.
Lei aveva visto da subito solo il volto di Jasper. Glielo aveva detto, che le spiaceva che dovesse scegliere tra due cose tanto belle.
Le aveva risposto.
Alice Cullen sgretolò tra le mani tremanti il cellulare col quale avrebbe voluto chiamare Jasper.
Ora non aveva più scelta, se lo ripeté una volta di più: avrebbe portato quel peso da sola.
Avrebbe dovuto dire la verità. Avrebbe dovuto dire subito la verità.
I need some sleep
It can't go on like this
I tried counting sheep
But there's one I always miss
Everyone says I'm getting down too low
Everyone says you just gotta let it go
You just gotta let it go
You just gotta let it go
I need some sleep
Time to put the old horse down
I'm in too deep
And the wheels keep spinning 'round
Everyone says I'm getting' down too low
Everyone says you just gotta let it go
You just gotta let it go
You just gotta let it go
You just gotta let it go
It can't go on like this
I tried counting sheep
But there's one I always miss
Everyone says I'm getting down too low
Everyone says you just gotta let it go
You just gotta let it go
You just gotta let it go
I need some sleep
Time to put the old horse down
I'm in too deep
And the wheels keep spinning 'round
Everyone says I'm getting' down too low
Everyone says you just gotta let it go
You just gotta let it go
You just gotta let it go
You just gotta let it go
Dedicata alle mie tre insonni, a Kukiness, e a me stessa che ho un gran bisogno di dormire.
Nessun commento:
Posta un commento
Potete scrivere qualunque cosa, se usate un linguaggio civile. Il contenuto per adulti non si porta dietro la volgarità nel mio blog. Sono graditi soprattutto commenti di tipo letterario e stilistico.