Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

lunedì 7 febbraio 2011

15 Visite

A pensarci bene, però, c'era qualcosa che mi faceva paura, nel breve periodo, più di un esercito di vampiri incazzati.
Quel qualcosa, che poi era un 
qualcuno, aveva appena parcheggiato un'auto della Polizia davanti alla rimessa e stava salendo proprio in quel momento gli scalini di casa Black.
Una parte di me avrebbe voluto essere in grado di corrergli incontro ed  abbracciarlo. Tutto il resto tremava come una gelatina.
Aspettavo di veder apparire i baffi di Charlie da un momento all'altro, nel vano della porta.

Mi ero appena svegliata dopo un breve sonno di un paio d'ore. Nel letto di Jacob. Mi venne quasi un accidente, appena fui sufficientemente lucida da rendermene conto.
No, non ce la potevo fare.
Ebbi quasi istantaneamente un secondo tuffo al cuore quando realizzai che non sentivo addosso il calore del piccolo. Alzando di poco gli occhi, però, vidi che era accanto a me e dormiva beatamente a pancia in su, raggomitolato come lo era stato nel mio ventre, con le manine vicino alla faccia. Qualcuno lo aveva messo in una culla per bambole, una vera culla di legno, forse fatta a mano, che ricordavo di avere visto nella camera delle gemelle. Era così piccino, il mio bimbo, che ci stava alla perfezione. Così piccolo e perfetto e bellissimo. Mi sentii felice fino alle lacrime, di nuovo, ma durò poco.
Ero nel letto di Jacob.
Non avrei voluto, né potuto, né dovuto essere lì.
Era il luogo dove gli avevo detto addio mentre vi giaceva con le ossa spezzate.

Era lì che avevo ammesso di amarlo, per poi dirgli che non era sufficiente, che mi sarei sposata comunque e che sarei diventata una vampira. Era il luogo dove avevo dimostrato solo  una volta di più quanto ero idiota. Il luogo dove avevo fatto a pezzi lui e me stessa ad un tempo, prendendo a calci fino ad ucciderlo il mio istinto di baciarlo, stringerlo e dirgli che non volevo lasciarlo, per niente al mondo.
Giacevo nel punto esatto dove tutto avrebbe potuto ricominciare diversamente, nel modo giusto, e da cui invece, a causa mia, aveva preso la piega contorta e malata che aveva fatto fuggire Jacob e diventare me una bugia vivente.
Non ce la potevo fare.
Comunque, una cosa alla volta, mi dissi. Sentivo i passi di Charlie in corridoio.

"Ciao, papà."
"Ciao, 
Isabella".
Ecco. Charlie era qualcosa di più che incazzato nero. Da dove avrebbe cominciato? Dal fatto che sua figlia era sparita dall'ospedale nel cuore della notte lasciandolo a chiedersi che fine aveva fatto? Dal fatto che né suo marito né nessun altro sembravano sapere dove fosse? I Cullen gli avevano già spiegato il piccolo dettaglio della paternità di mio figlio oppure no? Magari si chiedeva che accidenti facevo nella casa del suo migliore amico, il cui figlio prediletto era scappato di casa dopo che 
io lo avevo prima illuso e poi deluso brutalmente? Dopo che per mesi ero stata la grande assente, in quella casa, e non mi ero più fatta sentire nemmeno per dire "crepate tutti"?
Di sicuro aveva saputo che stavo bene, anzi, che tutti e due stavamo bene. Ma Charlie era uno che detestava non capirci niente. Se poi a buttargli fumo negli occhi era la sua adorata bambina... Beh, diventava una iena. E benché fossi ormai maggiorenne, sposata e teoricamente non più un problema suo, guardando mio figlio ebbi un'intuizione, quasi una visione: la prima volta, Charlie mi aveva vista 
così. Un fagotto coi pugnetti chiusi. Un cosino piccolo da proteggere a costo della vita.
In un altro momento mi sarei commossa, in quel momento mi resi solo conto di quanto 
enormemente mio padre potesse essere incazzato con me per averlo fatto preoccupare ancora.
Mi aspettavo un assalto immediato, cui mi preparai abbassando metaforicamente, e non solo, le orecchie.
Invece lì per lì non mi degnò di uno sguardo. Se ne andò dritto alla culletta, girando attorno al letto di Jake, e rimase a bocca aperta a fissare mio figlio che nel frattempo aveva cominciato a muovere le labbra. Era ancora tranquillo, ma io cominciavo a leggere i segnali della sua fame: tra poco avrebbe chiesto il seno, me lo sentivo.
Charlie lo guardò. I suoi occhi divennero due biglie. I baffi tremarono un po' mentre deglutiva rumorosamente. Poi guardò me, e io approfittai di quell'attimo per prendere il fagotto e metterglielo in braccio.
-Amore, questo è il nonno Charlie. Charlie, questo è tuo nipote. Su, dì almeno "Piacere"!
Non osavo guardarlo. Quanto ci avrebbe messo a capire che... Tre. Due. Uno.
-Bella! Ma è... è...Non è... Billy! Maledizione... è assolutamente... Billy!
Mi sentii arrossire fino alla radice dei capelli. No, di più: non osavo alzare gli occhi. Sentii il cigolio della carrozzina di Billy avvicinarsi al letto, sull'altro lato.
-Sì, Charlie?
-Credo che tuo figlio mi debba una spiegazione!
-Credo che la tua Bella fosse presente, potresti chiedere a lei.- La faccia da schiaffi che Billy indossava in quel momento era perfettamente identica ad un'altra che conoscevo benissimo.
Perché la terra non si spalanca mai al momento giusto?
-Papà...
-Isabella Marie Swan! Che-diavolo-hai-combinato? Avevi una relazione? O... oppure... ti ha... ti ha... 
costretta? Charlie era più rosso del copriletto rosso fuoco del letto di Jacob. Temetti seriamente per le sue coronarie, anche se finora avevano dimostrato di reggere piuttosto bene.
-Ehi, Charlie. Non ti permetto di parlare così di Jake.
-Papà! Ma che idiozie vai dicendo? Certo che no! E' tutta colpa mia, hai capito? Sono io la colpevole! Tua-figlia-è-una...
Il fagotto ancora tra le braccia di Charlie cominciò a protestare vigorosamente, impedendomi di terminare la frase che volevo buttare in faccia a quel bacchettone di mio padre. Papà me lo allungò come fosse radioattivo, e io lo attaccai subito per la poppata. Il latte aveva iniziato a sgorgare spontaneamente, bagnandomi la maglietta, appena il vagito aveva colpito i miei timpani. Mi sembrò una specie di magia, tenerissima ed amorevole; solo dopo imparai che era normale, un riflesso automatico come alzare le braccia quando si percepisce l'arrivo di un colpo. A me continuò sempre a sembrare un miracolo d'amore, fino alla fine dell'allattamento.
Il piccolo poppava, e i due nonni se lo mangiavano con gli occhi. Nessuno parlava più. Ogni tanto sentivo addosso gli occhi di Charlie, e quando, dopo un po', ebbi il coraggio di guardarlo di nuovo, colsi nella sua espressione qualcosa di tenero che mi diede subito l'informazione di cui avevo bisogno.
Ci avrei messo dei mesi, probabilmente, a farglielo ammettere in modo chiaro, ma Charlie era 
contento. Di più: era vergognosamente felice.
Non riusciva a nascondere, nemmeno in quel momento, la sua preferenza sfacciata per Jacob. Era lieto oltre ogni dire che mio figlio non fosse di Edward, e credo si stesse davvero impegnando per non lasciar trasparire in maniera troppo vistosa la gioia che provava per quella rivelazione del tutto inaspettata. Era chiaro che l'avevo deluso, e avrei potuto elencarne tutti i motivi, lo conoscevo troppo bene. Potevo partire dalla mia incoscienza per arrivare alla presunzione e continuare con la sventatezza, eccetera eccetera. Eppure, Charlie era inequivocabilmente contento, e ancora doveva venire il meglio: concentrato su di me, figlia, non aveva ancora ben realizzato il concetto di "nipote" e "nonno". Appena l'avesse fatto, allora sì che mi avrebbe stupita con effetti speciali.
Credo che si sarebbe fatto un balletto con Billy lì su due piedi, se avesse potuto. E se Billy fosse stato dello stesso umore.
Ma non era così. Billy era felice di avere un nipote, ma aveva comunque perduto da qualche parte un figlio, per colpa mia. E questo mi riportò con violenza al primo pensiero di quella mattina: non ce la potevo fare.
Non potevo assolutamente restare lì. Non era giusto per Billy, non lo era per me, e non lo era nemmeno per Jacob.
***
Charlie avrebbe voluto saperne di più. Come, dove, quando e perché, da perfetto poliziotto. Soprattutto fu difficile spiegargli perché non sarei andata a casa con lui, visto che non potevo dire la verità sui Volturi e sulla natura dei Cullen. Billy mi diede una grossa mano in questo, insistendo perché il suo amico mi permettesse di rimanere a La Push a fargli compagnia, col suo nipotino, visto che si sentiva così solo e inutile per l'assenza di Jacob. Mio padre se la bevve, ovviamente, come sempre quando c'era di mezzo Jacob.
Per il resto, riuscii a dirottare il discorso, senza troppa fatica a dire il vero, su temi più urgenti. Avevo bisogno che un medico controllasse la ferita e desse un'occhiata al piccolo. Il dottor Gerandy venne nel primo pomeriggio, mi medicò e sentenziò che non avevo alcun bisogno del ricovero, nonostante il parto cesareo. Sarebbe bastato che rimanessi a letto ancora qualche giorno, poi avrei potuto cominciare ad alzarmi e fare qualche passo. Mi lasciò un antibiotico e un antidolorifico compatibile con l'allattamento, dopodiché se ne andò borbottando qualcosa sui giovani d'oggi ed il valore del matrimonio. Mi toccò arrossire violentemente di nuovo, ma pazienza, era una giornata così, e finora era andata anche troppo bene. Niente a confronto di quello che accadde quando venne a trovarmi il branco.
Arrivarono tutti insieme, senza le compagne e senza Leah, capitanati da Embry che mi consegnò a nome di tutti un enorme mazzo di fresie azzurre. Si accamparono attorno al letto e Sam chiese il permesso, che gli accordai ovviamente subito, di prendere in braccio il piccolo. Lo prese tra le manone e poi se lo accomodò sull'avambraccio, e non potei evitarmi un magone improvviso immaginando altre braccia, altrettanto scure, avvolgere il mio bambino.
-Beh, accidenti, è... come dire... identico. A Jacob.
Fu la fine.
Un latrato di Paul ruppe il silenzio e scatenò un fuoco di fila di risate e battute da caserma che perfino Emmet si sarebbe appuntato da qualche parte per trarne ispirazione. Specialmente Quil e Embry non la finivano di congratularsi con l'amico assente per... va beh, lasciamo perdere. Diciamo che erano tutti molto fieri di Jacob e molto indulgenti nei miei confronti, dato che era normale che non avessi potuto resistere al fascino del licantropo, assolutamente superiore alle misere attrattive dello schfoso succhiasangue, eccetera, eccetera, eccetera. Trascorsi la mezz'ora più imbarazzante della mia vita  ad arrossire e impallidire alternativamente, fino a quando una telefonata di mia madre non cambiò decisamente l'atmosfera.
Non ero riuscita a vederla, purtroppo. Era arrivata la mattina saltando sul primo aereo, senza avvertire nessuno, assieme a Phil. Erano andati in ospedale e poi a casa dei Cullen. Lì avevano avuto la notizia della mia fuga e, ehm, dell'imprevisto, da una telefonata di Charlie e da Carlisle direttamente. Erano rimasti assieme ad Esme e agli altri ad arrovellarsi sull'accaduto, dopodiché avevano dovuto correre in aeroporto per prendere il volo del ritorno. Fu una telefonata veramente penosa, che cancellò in un attimo l'aria comunque festosa che avevo respirato fino a quel momento.
-Bella, io non posso giudicare. E nemmeno mi interessa farlo. C'è solo una cosa che devi sapere, bambina. E' giusto che tu lo sappia.
-Mamma.... darei una mano per riavvolgere il nastro e poter rifare tutto, credimi. Ma, dimmi. Continua.
-Edward, Bella. Edward è... distrutto. Sì, distrutto.
Non era da mia madre essere tragica. La sua specialità era l'esatto contrario, rendere tutto molto leggero e arioso e accettabile, a se stessa e poi agli altri. Il fatto che non esitasse ad usare parole tanto pesanti poteva significare solo due cose: o era davvero molto, molto arrabbiata con me, o Edward era realmente ad uno stadio di sofferenza inimmaginabile.
Riattaccai senza il coraggio di chiedere altro.
Ovviamente, nella lunga lista delle cose che dovevo assolutamente fare nella mia nuova vita, dovevo segnare un chiarimento con Edward che non avrebbe potuto essere niente di meno che drammatico.
Tremai, ma non più per la paura, ora che mio figlio ed io eravamo al sicuro.
Mi dispiaceva sinceramente per Edward. Se fosse stato possibile, mi sarei offerta per soffrire al posto suo tutto il dolore che, lo sapevo, gli stavo infliggendo. Avevo pensato di non poter vivere senza di lui, avevo immaginato che un'eternità al suo fianco era esattamente quello che volevo. Continuavo a vedere la sua generosità e la bellezza della sua anima.
Poi la convivenza, la mia gravidanza, la nostalgia senza fine per Jacob e tutto quello che rappresentava avevano smontato senza pietà l'immagine ideale che mi ero costruita di lui, ma, proprio per questo, pur non amandolo più gli volevo più bene di prima. Era diventato ai miei occhi una personavera, solo una persona cara che soffriva a causa mia.
Non potevo fare tutto subito, no. Ma volevo rimettere insieme i cocci della mia vita. Volevo sopravvivere, e vivere sufficientemente bene da essere una buona madre per mio figlio. Questo comportava pagare i miei debiti, dal primo all'ultimo, e il male che avevo fatto a mio marito rientrava tra i miei sospesi.

***

Come è normale che sia, ricevetti molte altre visite nel corso della giornata.
La notizia del nostro arrivo si era diffusa in un lampo e credo di poter dire,
 con buona approssimazione, che tutto il villaggio venne a vedere il nipotino nuovo di Billy. D'altronde, i Black erano molto amati e Billy era ancora la figura di riferimento della comunità. Jacob mi aveva spiegato che, come lupo alfa, tecnicamente Sam Uley era il nuovo capotribù. Ma, per quel che potevo saperne io di cultura dei nativi americani, era qualcosa come un capo di guerra, una sorta di condottiero, mentre la guida morale e spirituale era ancora e sempre il padre di Jacob.
Un ricordo squarciò il buio e mi colpì.
Sarebbe capitato spesso, d'ora in avanti. Mi sarebbe accaduto in continuazione, ora che non avevo più difese, ora che lui era costantemente davanti a me, giorno e notte, nel viso di mio figlio, che i ricordi giungessero a ferirmi come coltelli lanciati alla cieca e con violenza: apparentemente senza nessi evidenti con i fatti, in realtà sempre ruotanti attorno a lui come i raggi che circondano il sole.
In quel momento la visione fu di una sera intorno al fuoco, ad ascoltare leggende assieme al Branco.
La voce magica di Billy mi trasportava indietro nel tempo, tracciando per me un sentiero, quello della terza moglie, che mi avrebbe salvato la vita pochi giorni dopo mentre anche Jacob, più giù nella foresta, rischiava la vita per me.
Le storie diventano visioni di spiriti animali danzanti nelle fiamme del fuoco. Due occhi ardenti trovano sempre i miei, ogni volta che giro la testa. Il calore di una spalla contro la mia. Un braccio forte che mi cinge la vita. Il mio compagno mi protegge da ogni male in agguato nel buio.
Sono innocente e libera, ho tutto nelle mie mani, posso ancora scegliere. Lui è accanto a me: siamo insieme, ad ascoltare e vivere una leggenda.
Mi riscossi dalla visione giusto in tempo per accorgermi che Emily e il suo pancione avevano riempito di luce la cameretta di Jake, dove mi ero assopita nella penombra del pomeriggio.
-Bella... dormi?
-Emily! Che bello vederti, vieni, siediti!
Emily era davvero enorme, proprio come lo ero stata io: troppo, rispetto alla datazione della gravidanza. Cominciai a pensare che, forse, i lupacchiotti crescevano troppo in fretta per una pancia umana di dimensioni normali. Forse anche Emily, esattamente come me, avrebbe partorito un bimbo perfettamente sano parecchio prima del termine.
-Sapete già se sarà maschio o femmina?
-No, Bella. Non si riesce a vedere nulla nelle ecografie.
-Sai che per me è stata esattamente la stessa cosa? Forse... forse la pellaccia di lupo è molto spessa, eh?
-Esattamente quanto è dura la testa, credo.
Scoppiammo a ridere. Che bello, un'altra ragazza giovane con un bimbo piccolo in arrivo. Speravo... non lo so nemmeno io cosa speravo, ma ero contenta che Emily stesse vivendo la mia stessa esperienza. Mi sentivo meno sola.
Passammo un'oretta spensierata a parlare di bambini, allattamento, parto e tutte quelle cose che annoiano mortalmente tutti coloro che si trovano a passare disgraziatamente nei paraggi di due o più neomamme chiacchierone.
-Emily... come lo chiamerete?
-Beh, se sarà un maschio deciderò io, e non lo so ancora. Se sarà femmina invece toccherà a Sam scegliere. Lui spera di avere tutte femmine... Vuole mettersi in casa l'intero Consiglio delle Nazioni native americane!
-...? Sarebbe a dire?
-Se è femmina, si chiamerà Kiowa. E le sue eventuali e sfortunate sorelle, Dakota e Cheyenne. Capisci perché spero che sia un maschio?
Ridevamo entrambe, di cuore, quando io ovviamente scoppiai a piangere.
Mi colpì ferocemente l'evidenza del fatto che io e Jacob non eravamo una coppia. Lui non era con me a litigare per il nome di suo figlio. Non sapevo nemmeno dove fosse e, peggio ancora, non sapevo nemmeno se provasse ancora qualcosa per me. Anzi, era decisamente verosimile che avesse conosciuto un'altra e se ne fosse innamorato. Magari aveva avuto...l'imprinting, con qualcuna. Non ci credevo del tutto, a questa storia dell'imprinting, ma che fosse vera o no Jacob non era mio. Lo era stato, e io l'avevo cacciato via.
Cercai di arginare il diluvio di dolore che mi devastava il petto.
Lo sapevo, sapevo che sarebbe arrivato. Sapevo anche che avrei dovuto passarci in mezzo, così come un tempo avrei dovuto affrontare il fuoco della trasformazione, se fossi rimasta sull'altra strada. Solo che 
questo dolore era molto peggio: perché poteva anche durare per sempre, e perché davvero non sapevo che cosa sarebbe rimasto di me, e chi avrei trovato ad attendermi quando avessi finito di bruciare. Molto probabilmente, nessuno oltre a mio figlio. Potevo solo sperare di sopravvivere, e fare del mio meglio per riuscirci.
-Scusa...
Mi sollevai dalla spalla di Emily dove mi ero accasciata in lacrime.
-Vuoi parlarne, Bella? Non vuoi dirmi cosa... cosa è successo? Forse ti farebbe stare meglio...
Fissai Emily in silenzio.
Il mio bambino dormiva serenamente sulla mia pancia, sazio di latte e di carezze.
Era sceso il crepuscolo.
Le luci notturne della strada si erano già accese e splendevano surreali contro i colori del cielo al tramonto. Un tramonto incredibile, luminoso e puro, anche se non vedevo il sole; un tramonto senza pioggia come non se ne vedono quasi mai nella penisola Olimpica.
Presi la mano di Emily, che mi fissava con i suoi occhi grandi e tranquilli. Nella penombra sempre più morbida, contemplando il suo viso bellissimo, pensai che anch'io, come lei, portavo addosso le cicatrici del mio amore. Per sempre.

-Mi vergogno.
-Chiudi gli occhi, Bella. Chiudi gli occhi, e dimmi solo quello che vedi.
Mi appoggiai ai cuscini.
-E' stato... La notte prima. La notte prima del mio matrimonio.
Chiusi gli occhi, e cominciai a ricordare.



Nessun commento:

Posta un commento

Potete scrivere qualunque cosa, se usate un linguaggio civile. Il contenuto per adulti non si porta dietro la volgarità nel mio blog. Sono graditi soprattutto commenti di tipo letterario e stilistico.