Disclaimer

In questo blog pubblico le storie che ho scritto io ispirandomi ai libri della saga di Twilight di Stephenie Meyer. Quindi tutti i personaggi sono di zia Steph, che ringrazio per avermi fatta sognare come se avessi ancora quindici anni. Ogni tanto prendo anche dagli omonimi film della Summit Entertainment, secondo quello che mi serve ai fini della storia. Idem per certe battute dei protagonisti. Se le trovate uguali, è ovvio che le ho prese dai libri o dal film! Quindi tutti i diritti spettano ai legittimi proprietari del copyright. Le storie invece sono mie, ma potete riprodurle se citate la fonte, che deve essere questo blog oppure il sito EFP dove le pubblico con il nickname jakefan. Fatevi un giro su EFP, è davvero simpatico.

venerdì 25 marzo 2011

20. Ritornare

Dalla vetrata sul fronte della grande casa nella foresta, Edward Cullen guarda la notte.
Niente omaggi, niente doni particolari a quella che sarà solo una notte come tante, una lenta processione di ore senza sole. Non sarà diversa da migliaia di altre che ha vissuto -se non per l'intensità del dolore- e da infinite altre notti della Penisola Olimpica; non c'è la luna, l'oscurità sarebbe quasi totale se non fosse per la nebulosità luminosa che si alza in direzione di Forks. Per i suoi occhi, quella poca luce è sufficiente a distinguere i dettagli degli alberi e degli arbusti, e ad individuare le piccole vite che corrono a nascondersi nelle tane sapendosi sotto gli occhi dorati del predatore.
Edward Cullen, cuore morto e ora anche spezzato.
Edward Cullen, vampiro centenario, che ha perso la giovanissima moglie

e insieme a lei il senso della propria esistenza.
Siede al pianoforte nell'elegante salone al piano terra, e posa le mani dalle bianche dita sui tasti d'avorio; le une si confondono con gli altri nel movimento, il suono nasce dalla loro danza concorde e complice.
E la musica che si sprigiona, che un tempo era la ninna nanna della sua sposa bambina, ora è un urlo che fa vibrare il suo cuore pietrificato; così forte è la vibrazione, che al vampiro pare di sentire un battito, e per un breve attimo è certo dell'esistenza della propria anima.
Edward Cullen accarezza i tasti con la stessa tenerezza con la quale, per un tempo troppo breve, ha accarezzato la pelle della sua Bella.
Sono freddi sotto le sue dita, ma il ricordo del calore di lei prevale.
Di nuovo, il dolore è così bruciante da indurlo a ricordare l'incendio della trasformazione, e le terminazioni nervose del suo corpo congelato vivono la reminiscenza della sofferenza umana di un corpo vivo. 
Allora le mani sui tasti perdono il controllo, il ritmo diventa nuovo e convulso, le armonie spezzate e distorte si riempiono delle passioni del vampiro: passione, parola prima di Lei senza significato, ora così densa e pesante. Parola di cui, finalmente, anche il non-morto conosce il senso, anche se può declinarla solo al passato. Edward ricorda la sete ardente per il sangue di sua moglie, che un tempo lo ha fatto fuggire per il timore di ucciderla; ancora gli pare che lo bruci l'odio per il rivale, che in fondo non odia davvero, perché sa che l'Altro, per Lei, è sempre stato meglio di lui e del suo destino di creatura senza pace. Di un fuoco simile e contrario lo arde la passione per il corpo bianco e adolescente di Isabella, e il ricordo è intriso degli odori della notte di un'isola tropicale. Tutte le immagini entrano nella musica per mezzo delle sue dita prodigiose, e compongono una melodia nuova; sarà possibile ascoltarla solo questa notte, perché il dolore di Edward Cullen suona note sempre diverse, ed egli sa che sarà così fino a quando porrà fine alla sua vita.
Edward Anthony Masen Cullen, centenario imprigionato nel corpo di un ragazzino, condannato all'eternità, continua a suonare ed ascolta.
Cerca nella notte i pensieri di qualcuno che sia solo quanto lui.

Jacob Black spinge la porta del suo rifugio di un tempo, la vecchia rimessa piena di segreti dove suo padre non riesce ad arrivare, e il rumore dei cardini, l'odore della polvere, gli raccontano che nessuno ha aperto più quella porta da mesi. Non ha bisogno di accendere la luce, per i suoi occhi di lupo è sufficiente quella che filtra della strada, dai vetri opachi delle finestre. Tutto è davvero come l'ha lasciato, mesi fa; non così la sua vita, che su quello sfondo immutato ora gli pare anche più sconvolta.
La sua moto, la moto nera, e anche quella rossa, dormono in mezzo alla polvere perché nessuno le ha coperte e riparate. L'ordine è il solito disordine perfetto in cui lui trovava tutto quello che gli serviva. I suoi attrezzi sono ammucchiati sul piccolo banco da lavoro che si è costruito da solo. Ma la sua attenzione è colpita da qualcos'altro, adesso.
Per terra c'è un oggetto piccolo e rosato, una macchia chiara seminascosta da foglie secche e pezzi di carta, vicino alla porta.
Anche così lontano ne avverte il profumo mischiato alla polvere. E' una piccola stupida cosa, solo una gomma da matita, rosa, al profumo di fragola finto che si usa per le caramelle dei bambini e per i loro giochi.

Solo una gomma per cancellare che sa di fragola, e non dovrebbe stare nell'astuccio di una ragazza così grande, che frequenta l'ultimo anno del liceo.
Il licantropo riesce a vederla benissimo, la ragazza-bambina cui apparteneva la gomma alla fragola, e non le sembra così strana quella macchia rosa fra le sue dita.
La vede, seduta a terra di fianco a lui, e vede se stesso che, abbandonato il libro di matematica, ricomincia a trafficare su un carburatore; e lei che sorride e lo sgrida, "Non hai finito, Jake!" e poi piega la testa sui compiti. Stringe la lingua fra le labbra, attenta; con la matita arrotola una ciocca di capelli; con quella piccola gomma cancella una risposta che non le piace e la riscrive, l'espressione seria e concentrata.

Jacob sorride a quella ragazzina e a se stesso, e lei ricambia il suo sorriso dall'ombra, prima di svanire.
Il ragazzo sente inumidirsi gli occhi e qualcosa annodarsi nella gola, mentre un'altra immagine prende forma nell'ombra: la ragazzina è sotto di lui quell'unica notte disperata, e chiama il suo nome. La stessa ragazzina vestita da sposa promette fedeltà ad un altro con voce tremante, perché sa di avere in sè il seme del lupo.
Ed ancora lei, sempre più arrotondata e dolce. 
Perché non ha esperienza di donne incinte, Jacob Black, ma riesce a vedere lei dalla vita così sottile, resa pesante e grossa dal ventre che porta suo figlio. Non sa nulla di gravidanze, sa solo che si vomita e che le donne diventano grosse, e vede benissimo la ragazzina avere paura e farsi mille domande.
Lui non era lì per risponderle, e per portarle un bicchiere d'acqua se aveva sete, e asciugarle la fronte e le labbra dal sudore freddo della nausea.
Le immagini si susseguono e cambiano di nuovo: la ragazzina è di nuovo seduta per terra vicino a lui, che non ha proprio voglia di studiare. Alza la testa dal foglio dei compiti e gli sorride. "Jake, hai promesso di finire almeno i primi tre esercizi!" 
Un pugno nello stomaco, il dolore. Di nuovo. Non lo capisce, lo sente nello stomaco ma non lo capisce bene, questo dolore.
Saperla perduta, essere perso, perdersi e ritrovarsi. Essere ferito, ferire, essere abbandonato ed abbandonare.
Un'altra onda di nausea lo assale e lo vince, e voltarsi dall'altra parte non serve perché la visione che è apparsa ora lo segue e si ricrea in continuazione davanti ai sui occhi distolti con la forza. Il dolore di Jacob Black, respinto e ferito, si mescola alle lacrime di una donna con una treccia bionda che lui stringe fra le braccia, amandola senza poterla consolare. Il loro strazio si fonde, e mentre si stringe lo stomaco per non vomitare a Jacob pare di scorgere, nell'oscurità della rimessa, una bambina dagli occhi color cioccolato che li guarda senza davvero comprendere.
E non la odia più, la bambina a sua volta divisa in due, costretta a scegliere troppo presto tra cose più grandi di lei, troppo grandi per quelle mani che stringono una gomma rosa al sapore di fragola.
Il cuore grande del ragazzo-lupo si contorce e si piega, si sottomette ancora, ribelle, alle strade che non ha chiesto di percorrere. Pulsa per il dolore che ha sofferto e che ha provocato, sa di non avere avuto scelta, e si chiede chi davvero l'abbia avuta, e se ciascuno di loro non abbia fatto semplicemente ciò che poteva. Niente di più.
Forse sono stati tutti solo vittime di stelle che non volevano saperne di loro, e per una brevissima parentesi di dolcezza la rabbia svanisce, lasciando il ragazzo nudo e solo a guardare in faccia se stesso, in cerca di perdono per sè e per gli altri.

Tutto questo è troppo per il cuore semplice di Jacob Black, che china la testa e si sforza di non piangere, come se qualcuno potesse vederlo e prenderlo in giro.

Isabella Swan non riesce a dormire. Ci ha provato così tanto, inutilmente; il suo corpo indolenzito, la sua mente non più lucida, la tradiscono tenendola sveglia proprio ora che potrebbe riposare. Non si arrabbia più, Bella, non ha la forza. Le basta che suo figlio stia bene. Pensa che forse, se si alzerà, troverà pace in qualche angolo della piccola casa che ama tanto.
Elias dorme, respira tranquillo.
Sua madre ha posato una mano sul corpo avvolto nella copertina, e non l'ha tolta fino a quando non è stata certa di avere sentito il piccolo torace alzarsi ed abbassarsi. 
Si reca in cucina lasciando la porta aperta, accende una lampada e la vela con un tovagliolo azzurro, per non disturbare suo figlio e creare quella luce soffusa e celeste che, lo sa, piace ai bambini così piccoli.
Sul tavolo c'è un quaderno dalla copertina azzurra su cui è incollata una cicogna di legno. Un fumetto recita "Benvenuto", in caratteri infantili mescolati ad orsetti. Gliel'ha regalato uno dei ragazzi, forse Jared con Kim... Non lo ricorda, ora, e non si stupisce. Anche la memoria le gioca brutti scherzi.
Beve un sorso d'acqua, raccoglie la camicia da notte attorno al corpo, si siede ed apre il quaderno, cercando la prima pagina vuota.


25 maggio
peso 6, 970 g
lunghezza 71 cm

Ecco, ho iniziato questo quaderno per parlare di te, Elias. Ho cominciato con le poppate, il peso, tutte le piccole cose che si devono ricordare quando si alleva un bimbo, e poi è diventato il diario di tutte le cose meravigliose che ci accadono da quando sei nella mia vita. Ho anche pensato che un giorno ti darò questo quaderno da leggere. Volevo raccontare che oggi mi hai sorriso, non ci crede nessuno ma ti giuro che è così! E invece il pensiero corre al tuo papà, e ho voglia di scrivere di lui e non dovrei, non è corretto, sono cose che forse non dovresti sapere mai. Ma se non scrivo, impazzisco. Se non svuoto la testa da questi pensieri, esplodo.
Sono così tanti, i pensieri, rumorosi e tristi come vespe arrabbiate, e non mi lasciano dormire in questa strana notte, anche se ne avrei così bisogno.
Se adesso andassi da Emily e le chiedessi consiglio, non saprei da che parte cominciare a spiegarmi. E Alice, oh, Alice mi manca immensamente... Credo che nemmeno lei saprebbe aiutarmi. E' dentro di me che devo fare chiarezza, prima di tutto, sapere cosa chiedere, da dove cominciare.
La testa mi scoppia e non posso parlare con nessuno.
E allora parlo a te, piccolo mio. Sono certa che mi capisci, perché sei ancora così vicino al luogo delle cose essenziali da cui tutti veniamo e in cui, forse, tutti andiamo quando la nostra vita finisce. Sono certa che sai tutto, la tua sapienza è profonda e completa, la leggo nei tuoi occhi che mi scavano l'anima.
Gli occhi di tuo padre.
E' tornato. Non riesco ancora a credere che sia qui. Sono spaesata e confusa, perché da quando lui è tornato tutto è come prima e niente è più come prima.
Cerco disperatamente quello che eravamo, e non lo trovo; cerco strade semplici per capirci, come era una volta in cui non servivano nemmeno le parole, e mi smarrisco. Non so se soffro di più per questa perdita, che credo irreparabile, o per la certezza che sia stata tutta colpa mia.
Mi faccio schifo per essere così vile. Per non avere il coraggio di dire quello che penso davvero. Per non sapere, a volte, nemmeno quello che voglio davvero, e tirare a indovinare, facendo patetici pasticci tra quello che mi sembra giusto e quello che desidero sul serio. 
Ho sempre paura. Sempre.
Non dovevo sposarmi, ma non sarei mai riuscita a non farlo. A dirlo a Edward, a Charlie, a tutta quella gente, umani e vampiri, venuta per noi. Se solo Jacob non fosse fuggito, se fosse rimasto, se svegliandomi l'avessi trovato al mio fianco? Forse avrei trovato il coraggio di non presentarmi in chiesa, di fermare tutto un attimo prima, ancora in tempo? 
Quante domande. Vorrei essere come Rosalie, che dice le cose come stanno e pare sapere sempre cosa vuole.
Forse, anche se Jake fosse rimasto, lo avrei semplicemente ferito una volta di più, e lui lo sapeva. E con i se e i ma, in ogni caso, ormai non posso andare più da nessuna parte.
Tormento questo foglio di carta coi miei pensieri, ed è meglio che graffiarmi, tagliami, mordere le labbra fino a farle sanguinare, come avrei voglia di fare.
Non c'è giorno in cui io non lo veda, e non c'è giorno in cui io non sia torturata dalla nostra distanza.
Viene ogni volta che può; si divide tra tuo nonno, noi e un lavoretto nell'unico market di La Push, dove cerca di guadagnare qualcosa per provvedere a te. Se potessi spiegarti quanto questo mi commuove.
Viene e fa tutto quello che non riesco a fare io, e anche di più: la spesa, pulisce, stira. Cucina, ti cambia, ti culla, ti tiene in braccio quando hai male al pancino e il suo calore ti calma quasi istantaneamente.
Poi ad un certo punto se ne va, io ormai lo so, è sempre così: bacia te e poi me, sui capelli, e se ne va. Senza toccarmi, senza più guardarmi, lasciandomi a desiderare anche solo la sua mano calda sulla guancia, che non arriva mai, mai, mai. Il calore della sua mano su un fianco, sulla maglietta, il calore che passa il tessuto e riscalda la pelle. Non arriva mai.
Lui è come me, è lui e non è più lui. Io, sono la stessa e non sono più io.
Nel corpo, Jacob è quasi uguale. La sua forza e la sua grazia sono immutate, sono quelle regalate dal lupo, e le riconosco: mi stupivano ed affascinavano già ai tempi della prima trasformazione.
Riconosco anche il suo volto, anche se più adulto, scolpito, come a corrispondere ad un'anima dove quacosa è stato inciso col fuoco; ma quello che mi sconvolge davvero sono i suoi occhi. 
Ci sono momenti in cui sorride e gli occhi si chiudono, e le sue ciglia lunghe e scure quasi accarezzano la guancia, e allora riconosco il sorriso caldo che mi ha tenuta in vita quando Edward se ne è andato.
Ma ci sono anche momenti in cui sorride solo a metà, e i suoi occhi rivelano cose che forse non vorrei nemmeno sapere.
Sento che mi legge come se avesse imparato un alfabeto nuovo, come se usasse un nuovo codice per decifrarmi e mi stesse studiando. Sento che i pensieri si compongono nella sua mente secondo ritmi e regole per me sconosciuti.
Era già cambiato con la trasformazione, non era più il "mio" Jacob. Ora, è un mistero ancora più grande. E la cosa che mi fa impazzire, è che questo mistero mi attrae come una falena sulla fiamma; accende il mio desiderio di conoscerlo e renderlo di nuovo, in qualche modo, mio, in un modo disperato e insensato che non avrei mai immaginato possibile. Questa parte di lui che lo allontana e lo rende sconosciuto mi fa ardere fino a ridurmi in cenere; il non poterlo toccare mi fa tremare di rabbia e frustrazione.
E' un desiderio oltre quello fisico, straordinariamente più forte, che nasce dalla mente, dal cuore, dalla consapevolezza del "no" che mi grida ad ogni momento. Lui viene qui e la casa e io stessa ci riempiamo della sua presenza e del suo mistero, in una tensione che non si scioglie mai e che non riesco ad ignorare, anche se sono presa dalle mille cose che ci sono sempre da fare.
E' qualcosa di così doloroso che faccio di tutto per non sfiorarlo mai, nemmeno per caso, nemmeno per un istante, quando necessariamente ci avviciniamo per avere cura di te, piccolo mio. E se le nostre mani o le nostre braccia si sfiorano per sbaglio, quei tocchi sono come ustioni o domande dolorose e mi lasciano in un tormento continuo.
Mi sento così brutta, così poco desiderabile, che se anche mai mi venisse in mente di provare a conquistarlo mi sentirei, oltre che ridicola come al solito, anche patetica. Mentre lui è bellissimo, ma per quanto sia stupendo sono arrivata alla conclusione che Jacob è Jacob, e solo questo conta. Che il suo corpo sia splendido, che il suo viso sia così intenso e bello, mi attrae, certo che sì, ma non è il punto della questione. Addirittura penso che mi farebbe meno paura, se fosse ancora il ragazzino con cui ho passeggiato sulla spiaggia facendo la smorfiosa, il giorno che ho scoperto che Edward era un vampiro. Vorrei quella pace, vorrei noi due prima di tutto; sembra pazzesco, adesso, ma vorrei tornare ai giorni in cui Edward mi aveva lasciata, e dire le parole e compiere le azioni che ci avrebbero uniti, forse per sempre. Non lo posso fare più e mi sento morire.
Ma anche questo non conta. Non conta più quello che voglio io. Per molti mesi ho avuto in mano la possibilità di una scelta, e stavo per rinunciare a me stessa. Ora che Elias esiste, le parole di Rosalie hanno un significato del tutto nuovo. E non ho neanche l'orgoglio di avere scelto consapevolmente: è giusto che io, ora, non abbia più scelta e possa solo aspettare che Jacob torni, contando i minuti, lacerandomi tra un'assenza e l'altra.
La notte avanza, piccolo mio, e tutti i miei rumorosi pensieri si riducono a uno solo. Sto male, non riesco a dormire. Dormirei se lui fosse qui, non so cosa darei per vederlo entrare da quella finestra. O dalla porta magari, tanto per cambiare. Ma lui non c'è, e tutti i miei tentativi di analizzare, capire, leggere, sono sciocchi perché le spiegazioni più semplici sono quasi sempre quelle più vere.
Jacob non mi ama più.
Jacob non mi ama più.
Jacob non m
 

Il vento cambia direzione, soffia più forte, e la musica che sale al cielo dalla casa del vampiro vi entra e si disperde, in direzione della valle e giù verso il mare. Bella non può sentirlo, e anche se i suoi sensi fossero sufficienti a percepire quella musica lontana, ora non la udrebbe comunque; suo figlio si è messo a piangere e lei non sente altro, ed esausta si appresta al suo compito dimenticando completamente se stessa.
Il licantropo invece alza la testa ed ascolta, e quando il dolore del rivale di un tempo arriva a colpirgli l'anima lo sente semplicemente mescolarsi al suo.

Jacob Black attende che dentro di lui cambi la marea. Le spalle contro la parete di tavole di legno, attende che il male si ritiri e lo lasci di nuovo respirare. Proprio in quel momento, il suo sguardo si posa su una morsa da falegname dove ancora sta, imprigionato fra le ganasce, un pezzo di legno morbido non ancora intagliato.
Si alza, raggiunge il banco da falegname, con le grandi mani scure accarezza il legno dalle venature concentriche. Con delicatezza aggiusta la posizione della pialla, la muove, e i trucioli cominciano a cadere silenziosi ai suoi piedi.
Non sa ancora cosa stia nascendo sotto le sue mani. Un cavallino di legno, un carretto con quattro ruote, un'iniziale che già porta incisa nel cuore, una collana di legno per una ragazza dal collo bianco. L'andirvieni lento della pialla sul legno prende un ritmo regolare, ed anche il respiro del ragazzo si calma. Gli occhi scuri sono concentrati ed attenti, ora, per non perdere la direzione della venatura, per non rompere la materia che sta adorando e che onora per quello che diventerà.
Jacob Black incide con amore il legno, senza sapere ancora cosa sta creando, e ricomincia dal suo cuore e dalle sue mani.







Questo è il dolore della vita: / che si può essere felici solo in due; / 
e i nostri cuori rispondono a stelle / che non vogliono saperne di noi.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, "Herbert Marshall"

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