Mi svegliai di umore leggero, colma della sensazione di una stagione nuova ricca di germogli e cieli sereni. Accade, talvolta, di aprire gli occhi con l'impressione che sia primavera e questo non ha niente a che vedere con il calendario. Era come nel mese di aprile con le prime fioriture, quando il sonno è dolce e la speranza sembra ignorare che prima o poi tornerà l'inverno.
Da quanto tempo non dormivo così bene?
Elias mi aveva regalato quasi due ore di sonno, poi lo avevo allattato silenziosamente al buio e mi ero riaddormentata. Quando reclamò la colazione, più o meno tre ore dopo, il sole cominciava a filtrare dalle tapparelle e un delizioso profumo di pancetta rosolata mi solleticava le narici.
-Buongiorno, piccola.
-Buongiorno? Fai paura. Mi sono spaventata!
Ridevo, ridevo come non facevo da mesi. Jacob indossava ancora i pantaloni della mia tuta e, sopra, il solito grembiule rosa. Brandiva un cucchiaio di legno e una padella dove sfrigolavano delle fette sottili di bacon, già belle e rosolate. Mi stese col sorriso più abbagliante dell' universo.
-Non sono di tuo gusto?
-Chi, tu o le uova con il bacon?
Ci provai.
Mi avvicinai, mi sollevai in punta di piedi.
Non scappò, non si ritrasse, non mi respinse. Anzi, avvicinò il viso al mio senza posare la padella né il cucchiaio di legno.
Non posso dire che si lasciò baciare, perché mi baciò anche lui. Un bacio dolce, a fior di labbra, di una tenerezza che, da lui, non ricordavo di avere mai ricevuto. Non ne avevamo avuto il tempo.
Sorrideva con la bocca, gli occhi socchiusi, le ciglia folte a intenerire lo sguardo. Sorrideva col corpo, rilassato e flessuoso e forte come un giovane albero.
Io non riuscii a rispondere al suo sorriso; come non avessi saputo che il pudore era inutile -come se Jake non mi conoscesse quanto le sue tasche- serrai le labbra a trattenere l'euforia che si trasformava in voglia di piangere.
Da quanto tempo non dormivo così bene?
Elias mi aveva regalato quasi due ore di sonno, poi lo avevo allattato silenziosamente al buio e mi ero riaddormentata. Quando reclamò la colazione, più o meno tre ore dopo, il sole cominciava a filtrare dalle tapparelle e un delizioso profumo di pancetta rosolata mi solleticava le narici.
-Buongiorno, piccola.
-Buongiorno? Fai paura. Mi sono spaventata!
Ridevo, ridevo come non facevo da mesi. Jacob indossava ancora i pantaloni della mia tuta e, sopra, il solito grembiule rosa. Brandiva un cucchiaio di legno e una padella dove sfrigolavano delle fette sottili di bacon, già belle e rosolate. Mi stese col sorriso più abbagliante dell' universo.
-Non sono di tuo gusto?
-Chi, tu o le uova con il bacon?
Ci provai.
Mi avvicinai, mi sollevai in punta di piedi.
Non scappò, non si ritrasse, non mi respinse. Anzi, avvicinò il viso al mio senza posare la padella né il cucchiaio di legno.
Non posso dire che si lasciò baciare, perché mi baciò anche lui. Un bacio dolce, a fior di labbra, di una tenerezza che, da lui, non ricordavo di avere mai ricevuto. Non ne avevamo avuto il tempo.
Sorrideva con la bocca, gli occhi socchiusi, le ciglia folte a intenerire lo sguardo. Sorrideva col corpo, rilassato e flessuoso e forte come un giovane albero.
Io non riuscii a rispondere al suo sorriso; come non avessi saputo che il pudore era inutile -come se Jake non mi conoscesse quanto le sue tasche- serrai le labbra a trattenere l'euforia che si trasformava in voglia di piangere.
Un paio d'ore dopo, Emily ed io passeggiavamo a First Beach con i nostri figli addosso.
Emily aveva già saputo da Sam che Jacob era tornato; mi raccontò che Jake si trovava a La Push già da un paio di giorni. Doveva avere trascorso almeno una notte intera nascosto tra gli alberi di fronte a casa mia senza che io mi accorgessi di nulla; probabilmente se non gli fossi corsa incontro, la notte prima, avrebbe aspettato ancora prima di mostrarsi. Seppi che Sam lo aveva intercettato a nord, quasi al confine col Canada, mentre correva verso casa. Si erano incontrati ed avevano parlato a lungo ma nemmeno Emily sapeva cosa si erano detti. Ne era curiosa ed ignara quanto me.
Non sapevo niente dell'assenza di Jacob; rientrava in quella parte delle nostre vite che, se le cose fra noi avessero cominciato a funzionare, prima o poi avremmo dovuto condividere. Ma mi costava un'enorme fatica pormi domande in un momento così sereno e pieno di speranza; la mia mente, come una falena attirata dalla luce, non riusciva a staccarsi dal ricordo della sua apparizione e di quei baci sotto la pioggia, dal risveglio del mattino quando l'avevo trovato ancora lì, dal bacio col quale mi aveva promesso che sarebbe tornato presto. Certo, sarebbe stato necessario parlare ed ascoltare e chiarire ogni cosa rimasta oscura tra di noi. Prima o poi me ne sarei occupata, quando mi fossi sentita pronta.
Prima o poi.
-Dimmi la verità, Bella. Avete...?
-Abbiamo cosa? Ehi, ma che domande mi fai?
Impossibile arrabbiarsi con Emily. Scoppiai a ridere nonostante il rossore e scossi vigorosamente la testa.
-No, non abbiamo. C'è mancato poco, ma non abbiamo.
-E allora che cos'è quella faccia sognante? Cosa sono quelle guance rosse e quegli occhi luminosi?
-Allergia ai pollini? Smettila, Em...
-Dico sul serio, Bella. Hai la faccia... felice. Devo mettermi in ginocchio e pregarti per farmi dire che cosa è successo?
Le amiche!
-Beh, si è fermato a dormire. E stamattina mi ha baciata. E non abbiamo litigato, e quando è andato via canticchiava, e dice che stasera passa da Billy e poi torna, e...
L'espressione di Emily e la sua risata mi diedero un'idea di quanto dovevo apparire ridicola in quel momento. Ridicola come solo gli innamorati possono essere: completamente fusa e felice.
-Quindi glielo hai detto?
-Che cosa?
-Ecco, lo sapevo, non glielo hai detto.
-Oh. Oh. Non ce n'è stata l'occasione... Lo farò, giuro che lo farò ma così, a comando, non ce la faccio proprio. Insomma, non contano di più i fatti? Credo l'abbia capito che ero, come dire, contenta di vederlo!
-E?
-E cosa?
-Lo so che c'è dell'altro, quindi spara.
Non avrei mai potuto giocare a poker, io, con la mia pelle che cambiava colore peggio di un semaforo secondo l'argomento che veniva trattato.
-Te l'ho detto che non abbiamo, giusto? Più che altro è lui che non ha voluto. Devo avere qualcosa che non va, Em: nessuno vuole fare sesso con me. Edward si faceva pregare, Jacob si fa pregare... Ma qual è il mio problema?
Emily non poteva rispondermi perché le risate le impedivano di articolare frasi di senso compiuto, tanto che dovette recuperare un fazzoletto di carta e asciugarsi le lacrime. Io invece mi chiedevo cosa c'era di tanto divertente.
-Fammi capire. Tu... tu hai attentato alla virtù di Jacob, e lui si è negato?
Messa così, non potevo non immaginarmi Jake con un giglio bianco in mano. Fu troppo perfino per me. Riuscimmo a smettere di ridere solo quando Kay, infastidita da tutti quei sussulti, cominciò a protestare. Allora Emily prese a coccolarla e divenne improvvisamente pensosa.
-Sta aspettando qualcosa. Non si lascia andare perché sta aspettando qualcosa. Sta aspettando te, Bella.
-Io ci sono già. Devo solo trovare il modo di farglielo sapere... Una lettera? Se gli scrivessi una lettera?
La smorfia di Emily fu molto eloquente.
-OK, niente lettera per Jacob. M'inventerò qualcos'altro.
Questo l'antefatto dopo il quale, quel venerdì sera, sedevo finalmente con Jacob al tavolo più tranquillo di un piccolo pub del quale ignoravo l'esistenza, in riva al mare, a pochissime miglia da First Beach. Avevo deciso che lo avrei rapito per una sera per coccolarlo, lontano da piatti da lavare, pannolini sporchi e faccende domestiche arretrate. Solo io e lui, due calici di buon vino e tutte le nostre questioni irrisolte.
Decisamente non era stato semplice arrivare fin lì. Avevo messo in moto una complessa macchina logistica nella quale avevo coinvolto Charlie, Billy, Emily, le ragazze del branco e qualche altro personaggio secondario, tipo l'estetista più veloce del West e una parrucchiera a domicilio. Era stata dura, quasi un'impresa disperata, ma alla fine avevo un aspetto decente; fortunatamente esisteva tra i miei vestiti qualcosa di gradevole in cui riuscivo ancora ad entrare, e un paio di scarpe che ci si potevano abbinare, dotate di un tacco sopportabile.
Avevo affidato Elias ad Emily, quella sera. Anche Charlie si era offerto volontario per fare il baby-sitter, ma rispetto alla mia amica gli mancava l'arma segreta: quella che, brandita al momento giusto, avrebbe placato la belva garantendo a me e alla mia preda, che putacaso era anche il padre di mio figlio, un bonus di un paio d'ore aggiuntive di libertà.
Non sapevo niente dell'assenza di Jacob; rientrava in quella parte delle nostre vite che, se le cose fra noi avessero cominciato a funzionare, prima o poi avremmo dovuto condividere. Ma mi costava un'enorme fatica pormi domande in un momento così sereno e pieno di speranza; la mia mente, come una falena attirata dalla luce, non riusciva a staccarsi dal ricordo della sua apparizione e di quei baci sotto la pioggia, dal risveglio del mattino quando l'avevo trovato ancora lì, dal bacio col quale mi aveva promesso che sarebbe tornato presto. Certo, sarebbe stato necessario parlare ed ascoltare e chiarire ogni cosa rimasta oscura tra di noi. Prima o poi me ne sarei occupata, quando mi fossi sentita pronta.
Prima o poi.
-Dimmi la verità, Bella. Avete...?
-Abbiamo cosa? Ehi, ma che domande mi fai?
Impossibile arrabbiarsi con Emily. Scoppiai a ridere nonostante il rossore e scossi vigorosamente la testa.
-No, non abbiamo. C'è mancato poco, ma non abbiamo.
-E allora che cos'è quella faccia sognante? Cosa sono quelle guance rosse e quegli occhi luminosi?
-Allergia ai pollini? Smettila, Em...
-Dico sul serio, Bella. Hai la faccia... felice. Devo mettermi in ginocchio e pregarti per farmi dire che cosa è successo?
Le amiche!
-Beh, si è fermato a dormire. E stamattina mi ha baciata. E non abbiamo litigato, e quando è andato via canticchiava, e dice che stasera passa da Billy e poi torna, e...
L'espressione di Emily e la sua risata mi diedero un'idea di quanto dovevo apparire ridicola in quel momento. Ridicola come solo gli innamorati possono essere: completamente fusa e felice.
-Quindi glielo hai detto?
-Che cosa?
-Ecco, lo sapevo, non glielo hai detto.
-Oh. Oh. Non ce n'è stata l'occasione... Lo farò, giuro che lo farò ma così, a comando, non ce la faccio proprio. Insomma, non contano di più i fatti? Credo l'abbia capito che ero, come dire, contenta di vederlo!
-E?
-E cosa?
-Lo so che c'è dell'altro, quindi spara.
Non avrei mai potuto giocare a poker, io, con la mia pelle che cambiava colore peggio di un semaforo secondo l'argomento che veniva trattato.
-Te l'ho detto che non abbiamo, giusto? Più che altro è lui che non ha voluto. Devo avere qualcosa che non va, Em: nessuno vuole fare sesso con me. Edward si faceva pregare, Jacob si fa pregare... Ma qual è il mio problema?
Emily non poteva rispondermi perché le risate le impedivano di articolare frasi di senso compiuto, tanto che dovette recuperare un fazzoletto di carta e asciugarsi le lacrime. Io invece mi chiedevo cosa c'era di tanto divertente.
-Fammi capire. Tu... tu hai attentato alla virtù di Jacob, e lui si è negato?
Messa così, non potevo non immaginarmi Jake con un giglio bianco in mano. Fu troppo perfino per me. Riuscimmo a smettere di ridere solo quando Kay, infastidita da tutti quei sussulti, cominciò a protestare. Allora Emily prese a coccolarla e divenne improvvisamente pensosa.
-Sta aspettando qualcosa. Non si lascia andare perché sta aspettando qualcosa. Sta aspettando te, Bella.
-Io ci sono già. Devo solo trovare il modo di farglielo sapere... Una lettera? Se gli scrivessi una lettera?
La smorfia di Emily fu molto eloquente.
-OK, niente lettera per Jacob. M'inventerò qualcos'altro.
Questo l'antefatto dopo il quale, quel venerdì sera, sedevo finalmente con Jacob al tavolo più tranquillo di un piccolo pub del quale ignoravo l'esistenza, in riva al mare, a pochissime miglia da First Beach. Avevo deciso che lo avrei rapito per una sera per coccolarlo, lontano da piatti da lavare, pannolini sporchi e faccende domestiche arretrate. Solo io e lui, due calici di buon vino e tutte le nostre questioni irrisolte.
Decisamente non era stato semplice arrivare fin lì. Avevo messo in moto una complessa macchina logistica nella quale avevo coinvolto Charlie, Billy, Emily, le ragazze del branco e qualche altro personaggio secondario, tipo l'estetista più veloce del West e una parrucchiera a domicilio. Era stata dura, quasi un'impresa disperata, ma alla fine avevo un aspetto decente; fortunatamente esisteva tra i miei vestiti qualcosa di gradevole in cui riuscivo ancora ad entrare, e un paio di scarpe che ci si potevano abbinare, dotate di un tacco sopportabile.
Avevo affidato Elias ad Emily, quella sera. Anche Charlie si era offerto volontario per fare il baby-sitter, ma rispetto alla mia amica gli mancava l'arma segreta: quella che, brandita al momento giusto, avrebbe placato la belva garantendo a me e alla mia preda, che putacaso era anche il padre di mio figlio, un bonus di un paio d'ore aggiuntive di libertà.
Quando l'avevo invitato a cena, Jake aveva trovato da ridire praticamente su tutto: sarebbe toccato a lui invitarmi fuori ("Non sapevo fossi diventata femminista. Poh!"), non possedevo un mezzo di trasporto ("Vieni a prendermi con il passeggino di Elias?"), non potevo permettermi di pagargli una cena ("Guarda che io mangio parecchio, Bells. E non ho intenzione di fermarmi a lavare i piatti"), non stava abbastanza con suo figlio ("Di questo passo dovrò lasciargli una foto per aiutarlo a ricordarsi la mia faccia").
Aveva brontolato e riso, riso e brontolato, poi si era arreso. Non prima di avermi costretta ad accettare la sua auto in prestito ("Scusa, non sono il tuo migliore amico? Se hai bisogno di una macchina per uscire con un ragazzo devo prestartela, no?") e a permettergli di prenotare lui il locale. Già che c'era, sarebbe anche venuto a prendermi, ovvio.
Alla fine continuava a non sembrarmi vero ma... avevo un appuntamento! Con chi esattamente non mi era dato saperlo, dato l'allegro pasticcio per cui Jake era il mio (ex) migliore amico, il padre di mio figlio, il mio (ex) amante, il mio sogno proibito... "Hai un appuntamento!" ripetevo alla sconosciuta che mi guardava dallo specchio. Non era male, tutto sommato: l'abitino a fiori esaltava un decolleté assolutamente imprevisto, morbido e generoso; i capelli scuri scendevano morbidi oltre le spalle e gli occhi -il pezzo forte, avrei osato dire- brillavano di felicità e di aspettativa.
Brillarono ancora di più quando un ragazzo favoloso, in jeans -lunghi, per una volta- e camicia bianca di lino, oltrepassò la soglia di casa mia con un mazzo di fiori in mano.
-Conosci quella ragazza? La mora, vicino alla finestra
-No, mai vista prima.
-Certo che devi conoscerla, Jake. Continua a fissarti... sarà una tua compagna di scuola?
-Ti dico che non l'ho mai vista prima- rispose, sfoderando un sorrisetto da schiaffi. Gli schiaffi li avrei forniti volentieri io stessa.
Si sporse leggermente verso di me, malizioso.
-Mi guarda perché sono bello, no?
-Tu sei orrendamente vanitoso, Jacob Black.
-Macché. Non ti ricordi che me lo hai detto anche tu, che sono bello?
-E tu non ti ricordi che avevo appena battuto la testa?
Il sorrisetto da schiaffi si trasformò nel sorriso luminoso che conoscevo bene e che avevo imparato ad amare ai tempi in cui eravamo solo Bella e Jake.
-Hai ragione, sono vanitoso. Sei molto più bella tu, anche se fai finta di non saperlo.
Allungò una mano ad accarezzarmi il viso, e i suoi occhi si allargarono in due pozzi di tenerezza mentre anche la sua voce calda mi accarezzava, né più né meno delle sue mani.
-Sei bellissima. E caso mai non te ne fossi accorta, sappi che i due tizi là dietro stanno rischiando di prenderle da circa un quarto d'ora, da quando hanno iniziato a commentare la tua bocca e la tua scollatura. Peccato che ho già mangiato, stasera.
Io risi e lui continuò, serio e pacato questa volta.
-Stai davvero bene? Non mi perdonerò mai per quello che ti ho fatto, piccola mia.
-Non voglio che tu ci pensi ancora, Jake. Io... adesso tu mi prenderai per pazza, ma devi sapere una cosa. Devi sapere che sono contenta di essere andata nella foresta quel giorno e che ci sia stato quell'incidente. Scusa, non voglio fartelo pesare ma... mi hai fatto molto più male tu del lupo. Ecco, Jake, te l'ho detto.
Io amo il lupo, Jake. Lui non mi ha mai trattata come te. Se non fosse stato per il lupo tu non mi avresti baciata mai più. E io sarei ancora senza speranza e tu mi guarderesti ostile o indifferente. Com'era prima che il lupo decidesse per te.
Come al solito Jacob sembrò leggermi nel pensiero.
-Se tu sei pazza, io sono molto più pazzo io di te- disse, guardandomi intensamente- Anch'io sono contento che sia successo, Bells. Probabilmente, idiota come sono, avevo bisogno di un pugno nello stomaco per riprendermi e farti male è stato sufficientemente doloroso. Avevo bisogno che qualcosa mi ricordasse che stupido bestione sono e mi facesse rotolare giù dal trono della Divinità Offesa. Non c'è pericolo che mi dimentichi la lezione, penso, perché.... perché quando ho visto le mani sporche di sangue...
Il tuo sangue sulle mie mani.
-Mi tornerà in mente ogni volta che sarò vicino a perdere il controllo. Anche se Sam dice che sono stato... bravo. Ma poi, diciamo la verità: non è nemmeno per questo che sono contento che sia successo.
Allungò una mano e mi sfiorò la bocca con le dita.
-Io... non credevo più. Credevo che...
-Non importa, Jake. Non parlare, ho capito tutto.
Mentre le sue dita mi sfioravano le labbra, le baciai.
E poi furono risate e piccole cose e una mano stesa tra il vassoio delle patatine e la bottiglia del ketchup a cercare e trovare la sua; e chiacchiere tenere e senza senso, una canzone che ora potevo ascoltare senza dover correre a spegnere la radio, un lento con la guancia sul suo petto e la sua mano a farmi riccioli nei capelli.
Pace. Pace, Jake. Va tutto bene, adesso, vero? Va bene così.
Quando uscimmo dal locale per mano, nell'oscurità, nessuno di noi due parlava più. Non vi era nulla di nuovo per me e Jacob nello stare insieme in silenzio -le parole per noi non erano mai state indispensabili- ma c'era qualcosa di più nel silenzio di quella sera e mi faceva correre scintille sulla pelle. Tacevo anche perché sapevo che i sogni si dissolvono al suono delle parole; di più, che è il silenzio a rendere magiche certe parole. Temevo, come si dice nelle leggende, che una volta pronunciate avrebbero perso per sempre il loro potere.
Sapevo che in quell'oscurità silenziosa e complice, dove gli occhi del mio uomo riuscivano a brillare di luce propria, il desiderio stava crescendo; lo sentivo su ogni centimetro della pelle, lo intuivo dalla muta ed ardente presenza del mio compagno, dall'intensità del suo sguardo e da qualcosa che dal suo corpo mi avvolgeva, pur senza toccarmi, come un globo d'energia impenetrabile a qualunque cosa che non fossimo noi due.
Fu davanti a casa mia che cominciammo a baciarci, in macchina, senza sapere bene dove andare e che altro fare; come se Charlie o Billy fossero ancora in casa ad aspettarci, un occhio all'orologio e l'altro alla porta. Come se il tempo non fosse mai passato e un cerchio finalmente si fosse chiuso e tutto fosse tornato come un anno prima, quando ogni scelta era ancora possibile e noi eravamo ancora assolutamente innocenti del male che ci saremmo fatti dopo.
Non mi bastava più e, ne ero certa, non bastava nemmeno a lui. Tuttavia si fermò sulla soglia e attese che lo prendessi per mano nel buio, prima di entrare.
Si portò la mia mano al petto, accarezzandola con le sue dita bollenti.
-Perché divento un coglione quando si tratta di te, Bells?
Il mormorio caldo della sua voce si fuse con la notte senza rompere l'incantesimo che ci aveva avvolti per tutta la sera; roca e profonda, mi accarezzò ancora e stavolta non seppi resistere.
Per la prima volta potevo lasciare che il desiderio mi guidasse; per la prima volta in tutta la mia vita sapevo che non mi sarei fermata. Non avevo paura e desideravo con tutta me stessa quello che stava per accadere.
Slacciai con mani lente e tremanti la sua camicia e la lasciai scivolare via, accarezzando le spalle ampie e forti. Mentre mi prendeva il viso fra le mani e accostava le labbra alle mie, feci lo stesso con i jeans e con i suoi fianchi. Mi feci coraggio ma non me ne servì poi molto, perché cominciai a muovermi come in un sogno: le mie mani scesero ancora percorrendo il suo corpo. Un solitario raggio di luce che filtrava dai vetri mi offrì, un attimo dopo, il disegno perfetto di un dio d'ombra e di foresta stagliato nell'oscurità. Continuavamo a baciarci in silenzio.
Le sue mani si mossero silenziose e decise e il mio vestito raggiunse i suoi sul pavimento. Non si fermò fino quando non mi restò niente addosso se non il desiderio; lo presi di nuovo per mano e scivolammo giù, insieme, nel buio.
Le mie mani. E' da queste mani che passa il mio desiderio di imparare il suo corpo ed amarne ogni cellula, man mano che lo accarezzo. Le mie mani non si fermano, ora.
"Ti prego. Non muoverti."
Sono egoista, lo sto facendo per me. Lui è mio ed io non lo conosco; esploro con una meraviglia mista a venerazione la sua bellezza piena di forza ed il mio uomo, un ragazzo meraviglioso alto quasi due metri, con il corpo d'acciaio e l'anima di un lupo, arrossisce come un bambino al primo amore.
Mi sposto tra le sue gambe e accarezzo le cosce tornite e possenti. Ho già visto qualcosa di simile: era una scultura in legno massiccio, liscia, resa lucida dalla fatica dell'artista. Forza ed energia arrivano alle mie mani; sento i muscoli tesi sotto la pelle calda, dello stesso colore vivo del legno rosso e solido che ricordo.
Lo accarezzo a palmi aperti, con entrambe le mani; lascio le sue gambe meravigliose e risalgo verso l'inguine. Non ci sono rugosità od ostacoli sotto le mie dita; la peluria è rada e trasparente, solo al centro è più folta, nera e ricciuta. Nella piega tra le cosce, l'anca ed il centro del suo corpo, la pelle è morbida. Si scurisce sempre più man mano che risalgo, è bruna e pigmentata e ancora più calda. E' il suo punto più caldo.
Avvicino il viso, voglio sentire il suo odore che qui è più forte.
Ed è una sorpresa, una sorpresa assoluta. Sudore, qualcosa che sa leggermente di sale, ma anche resina e bosco. Umidità, come quella che si sente alla mattina presto davanti a casa; qualcosa come l'erba tagliata e poi una nota dolciastra che non riesco a identificare ma che trovo... eccitante. Lo sento sospirare; resta immobile, come gli ho chiesto di fare.
Mi è sconosciuto eppure lo riconosco: è mio, è il mio uomo, sa di buono e mi appartiene.
Passo il naso nelle pieghe della pelle, continuando ad accarezzarlo, estasiata e dimentica di tutto; sono circondata dalla bellezza. Le sue cosce, il ventre, il petto, le sue spalle meravigliose.
Pene, testicoli. Parole ridicole che mi ricordano le lezioni di biologia del professor Manner e non hanno niente a che vedere con ciò che sto guardando adesso. Ciò che sto contemplando adesso. Lo bacio, piano, sfiorandolo con le labbra. E' un movimento lento; prima sfioro e poi premo sulla sua pelle. Sono concentrata ed attenta e persa.
Il suo odore. La sua pelle sulle mie labbra.
Ho le narici piene del suo odore perciò è solo naturale, adesso, il desiderio di assaggiare. Questo odore non può che venire da un sapore buono, così assaggio, assaporo. Non è come mangiare, è più come... accogliere dentro, assimilare, come diventasse parte di me.
E sento e vedo la sua reazione. Lenta, inarrestabile e decisa.
Ha un fremito, mi accarezza i capelli e mi parla a fatica; la sua voce roca è ancora più calda e sembra salire dal profondo.
-Bella... non devi. Se non vuoi, non devi...
Non devo?
Io voglio.
Ho la stessa sensazione di prima, quando pensavo a quelle due parole. Anche ciò che sto facendo adesso ha un nome, credo; ne ha tanti, uno scientifico ed altri volgari, sentiti a scuola nei corridoi tra le risate dei compagni o bisbigliati all'orecchio dalle amiche, quando arrossivo ma ascoltavo anch'io...
Come prima, sento che quello che sta accadendo è troppo grande per le parole, non ha niente a che fare con quegli stupidi suoni ridicoli.
L'unico suono che può rimanere nella stessa stanza con noi due, in questo momento, è il battito di un cuore.
Immagino un solo cuore, enorme, fatto del mio e del suo; un cuore che pulsa lento e possente come un grande tamburo magico. Ecco, è una cerimonia quella che si sta svolgendo ora nella semioscurità, e il palpito di quel cuore è il tamburo sciamanico che accompagna la rivelazione. Il mistero svelato è il corpo del mio uomo.
Rinuncio alle parole, spengo la lucidità e mi lascio veramente andare; come se mi avesse vista cadere, come se avesse percepito che ho attraversato una soglia o superato un limite, Jacob si solleva ed abbracciandomi dolcemente mi costringe a scendere ed è sopra di me.
Tocca a lui, ora.
La lentezza ci ha lasciati, sconfitta dal desiderio; il mio amore ha il fiato corto, è impaziente e le sue mani non sono più molto gentili. Disegna il mio viso con la punta delle dita, mi schiude le labbra e per un attimo mi permette di succhiare. Lo vorrei più vicino, ancora più vicino; sono stata interrotta mentre avevo ancora una fame disperata del suo odore e del suo sapore; sento che mi manca qualcosa e con la bocca lo cerco. Succhio le sue dita, afferro e bacio il palmo della sua mano, mentre l'altra scorre disegnando le linee del mio corpo e non è un acquerello; sono tratti spessi, densi di colore. Rosso, rosso fuoco. Sono io che ardo e lui con me.
Per un attimo ho paura, il corpo che gli sto offrendo ora non è quello conosceva. Non sono più una bambina, sono cambiata così tanto negli ultimi mesi. Mi chiedo se può amare questi seni grandi e pesanti dalle areole scure, questi fianchi più larghi, il ventre non più tonico marchiato dalla lunga cicatrice del parto. La sua risposta è un ringhio soffocato mentre assaggia, succhia, lecca e stringe, e io mi chiedo come sia possibile che i seni che nutrono il mio bambino si incendino così, facendomi perdere la testa.
Con un ginocchio mi apre le gambe e posa le mani sul letto, a lato delle mie spalle, sostenendosi. I suoi occhi mi cercano ed io brucio sotto il suo sguardo. Chiudo gli occhi e cerco di abbracciarlo, ma tutto ciò che riesco a fare è restare sospesa per un attimo al suo collo prima che mi costringa a sdraiarmi di nuovo.
-Dimmelo.Lo sai.
-Dimmelo, Bella.Ti amo, Jake. Ti amo da morire.
Si spinge contro di me, duro e caldo e pulsante. Si avvolge le mie gambe attorno al bacino. Poi mi bacia facendomi quasi male ed io lo ricambio con un sentimento feroce ed uguale che non riesco ad identificare, che assomiglia alla rabbia.
Ed imparo, ancora, qualcosa di nuovo: qual è il legame tra la rabbia ed i baci e di conseguenza tra la rabbia e l'amore. La rabbia non è per l'amato, la rabbia è per l'amore che ti costringe a vivere, in momenti come questo, un bisogno talmente forte da farti sentire impotente e disperato; perché per quanto tu cerchi di divorarlo e di entrargli dentro, l'altro resta sempre l'altro e tra gli amanti restano comunque sempre l'aria, il vuoto e qualche volta l'angoscia. E' così che mi sta baciando il mio amore e la sua rabbia supera la mia.
Perché io non riesco a parlare. Le parole mi si strozzano in gola, vorrei che leggesse dentro di me ma mai come ora sento che, anche facendo l'amore, siamo immersi in un'eterna solitudine.
Stando sopra di me mi accarezza il viso, mi infila le dita tra i capelli e li avvolge alla sua mano afferrandoli strettamente ; la sua voce si spezza.
-Per favore. Dimmelo.Ti amo, Jacob. Ti amo come la prima donna ha amato il primo uomo.
Aveva brontolato e riso, riso e brontolato, poi si era arreso. Non prima di avermi costretta ad accettare la sua auto in prestito ("Scusa, non sono il tuo migliore amico? Se hai bisogno di una macchina per uscire con un ragazzo devo prestartela, no?") e a permettergli di prenotare lui il locale. Già che c'era, sarebbe anche venuto a prendermi, ovvio.
Alla fine continuava a non sembrarmi vero ma... avevo un appuntamento! Con chi esattamente non mi era dato saperlo, dato l'allegro pasticcio per cui Jake era il mio (ex) migliore amico, il padre di mio figlio, il mio (ex) amante, il mio sogno proibito... "Hai un appuntamento!" ripetevo alla sconosciuta che mi guardava dallo specchio. Non era male, tutto sommato: l'abitino a fiori esaltava un decolleté assolutamente imprevisto, morbido e generoso; i capelli scuri scendevano morbidi oltre le spalle e gli occhi -il pezzo forte, avrei osato dire- brillavano di felicità e di aspettativa.
Brillarono ancora di più quando un ragazzo favoloso, in jeans -lunghi, per una volta- e camicia bianca di lino, oltrepassò la soglia di casa mia con un mazzo di fiori in mano.
-Conosci quella ragazza? La mora, vicino alla finestra
-No, mai vista prima.
-Certo che devi conoscerla, Jake. Continua a fissarti... sarà una tua compagna di scuola?
-Ti dico che non l'ho mai vista prima- rispose, sfoderando un sorrisetto da schiaffi. Gli schiaffi li avrei forniti volentieri io stessa.
Si sporse leggermente verso di me, malizioso.
-Mi guarda perché sono bello, no?
-Tu sei orrendamente vanitoso, Jacob Black.
-Macché. Non ti ricordi che me lo hai detto anche tu, che sono bello?
-E tu non ti ricordi che avevo appena battuto la testa?
Il sorrisetto da schiaffi si trasformò nel sorriso luminoso che conoscevo bene e che avevo imparato ad amare ai tempi in cui eravamo solo Bella e Jake.
-Hai ragione, sono vanitoso. Sei molto più bella tu, anche se fai finta di non saperlo.
Allungò una mano ad accarezzarmi il viso, e i suoi occhi si allargarono in due pozzi di tenerezza mentre anche la sua voce calda mi accarezzava, né più né meno delle sue mani.
-Sei bellissima. E caso mai non te ne fossi accorta, sappi che i due tizi là dietro stanno rischiando di prenderle da circa un quarto d'ora, da quando hanno iniziato a commentare la tua bocca e la tua scollatura. Peccato che ho già mangiato, stasera.
Io risi e lui continuò, serio e pacato questa volta.
-Stai davvero bene? Non mi perdonerò mai per quello che ti ho fatto, piccola mia.
-Non voglio che tu ci pensi ancora, Jake. Io... adesso tu mi prenderai per pazza, ma devi sapere una cosa. Devi sapere che sono contenta di essere andata nella foresta quel giorno e che ci sia stato quell'incidente. Scusa, non voglio fartelo pesare ma... mi hai fatto molto più male tu del lupo. Ecco, Jake, te l'ho detto.
Io amo il lupo, Jake. Lui non mi ha mai trattata come te. Se non fosse stato per il lupo tu non mi avresti baciata mai più. E io sarei ancora senza speranza e tu mi guarderesti ostile o indifferente. Com'era prima che il lupo decidesse per te.
Come al solito Jacob sembrò leggermi nel pensiero.
-Se tu sei pazza, io sono molto più pazzo io di te- disse, guardandomi intensamente- Anch'io sono contento che sia successo, Bells. Probabilmente, idiota come sono, avevo bisogno di un pugno nello stomaco per riprendermi e farti male è stato sufficientemente doloroso. Avevo bisogno che qualcosa mi ricordasse che stupido bestione sono e mi facesse rotolare giù dal trono della Divinità Offesa. Non c'è pericolo che mi dimentichi la lezione, penso, perché.... perché quando ho visto le mani sporche di sangue...
Il tuo sangue sulle mie mani.
-Mi tornerà in mente ogni volta che sarò vicino a perdere il controllo. Anche se Sam dice che sono stato... bravo. Ma poi, diciamo la verità: non è nemmeno per questo che sono contento che sia successo.
Allungò una mano e mi sfiorò la bocca con le dita.
-Io... non credevo più. Credevo che...
-Non importa, Jake. Non parlare, ho capito tutto.
Mentre le sue dita mi sfioravano le labbra, le baciai.
E poi furono risate e piccole cose e una mano stesa tra il vassoio delle patatine e la bottiglia del ketchup a cercare e trovare la sua; e chiacchiere tenere e senza senso, una canzone che ora potevo ascoltare senza dover correre a spegnere la radio, un lento con la guancia sul suo petto e la sua mano a farmi riccioli nei capelli.
Pace. Pace, Jake. Va tutto bene, adesso, vero? Va bene così.
Quando uscimmo dal locale per mano, nell'oscurità, nessuno di noi due parlava più. Non vi era nulla di nuovo per me e Jacob nello stare insieme in silenzio -le parole per noi non erano mai state indispensabili- ma c'era qualcosa di più nel silenzio di quella sera e mi faceva correre scintille sulla pelle. Tacevo anche perché sapevo che i sogni si dissolvono al suono delle parole; di più, che è il silenzio a rendere magiche certe parole. Temevo, come si dice nelle leggende, che una volta pronunciate avrebbero perso per sempre il loro potere.
Sapevo che in quell'oscurità silenziosa e complice, dove gli occhi del mio uomo riuscivano a brillare di luce propria, il desiderio stava crescendo; lo sentivo su ogni centimetro della pelle, lo intuivo dalla muta ed ardente presenza del mio compagno, dall'intensità del suo sguardo e da qualcosa che dal suo corpo mi avvolgeva, pur senza toccarmi, come un globo d'energia impenetrabile a qualunque cosa che non fossimo noi due.
Fu davanti a casa mia che cominciammo a baciarci, in macchina, senza sapere bene dove andare e che altro fare; come se Charlie o Billy fossero ancora in casa ad aspettarci, un occhio all'orologio e l'altro alla porta. Come se il tempo non fosse mai passato e un cerchio finalmente si fosse chiuso e tutto fosse tornato come un anno prima, quando ogni scelta era ancora possibile e noi eravamo ancora assolutamente innocenti del male che ci saremmo fatti dopo.
Non mi bastava più e, ne ero certa, non bastava nemmeno a lui. Tuttavia si fermò sulla soglia e attese che lo prendessi per mano nel buio, prima di entrare.
Si portò la mia mano al petto, accarezzandola con le sue dita bollenti.
-Perché divento un coglione quando si tratta di te, Bells?
Il mormorio caldo della sua voce si fuse con la notte senza rompere l'incantesimo che ci aveva avvolti per tutta la sera; roca e profonda, mi accarezzò ancora e stavolta non seppi resistere.
Per la prima volta potevo lasciare che il desiderio mi guidasse; per la prima volta in tutta la mia vita sapevo che non mi sarei fermata. Non avevo paura e desideravo con tutta me stessa quello che stava per accadere.
Slacciai con mani lente e tremanti la sua camicia e la lasciai scivolare via, accarezzando le spalle ampie e forti. Mentre mi prendeva il viso fra le mani e accostava le labbra alle mie, feci lo stesso con i jeans e con i suoi fianchi. Mi feci coraggio ma non me ne servì poi molto, perché cominciai a muovermi come in un sogno: le mie mani scesero ancora percorrendo il suo corpo. Un solitario raggio di luce che filtrava dai vetri mi offrì, un attimo dopo, il disegno perfetto di un dio d'ombra e di foresta stagliato nell'oscurità. Continuavamo a baciarci in silenzio.
Le sue mani si mossero silenziose e decise e il mio vestito raggiunse i suoi sul pavimento. Non si fermò fino quando non mi restò niente addosso se non il desiderio; lo presi di nuovo per mano e scivolammo giù, insieme, nel buio.
Le mie mani. E' da queste mani che passa il mio desiderio di imparare il suo corpo ed amarne ogni cellula, man mano che lo accarezzo. Le mie mani non si fermano, ora.
"Ti prego. Non muoverti."
Sono egoista, lo sto facendo per me. Lui è mio ed io non lo conosco; esploro con una meraviglia mista a venerazione la sua bellezza piena di forza ed il mio uomo, un ragazzo meraviglioso alto quasi due metri, con il corpo d'acciaio e l'anima di un lupo, arrossisce come un bambino al primo amore.
Mi sposto tra le sue gambe e accarezzo le cosce tornite e possenti. Ho già visto qualcosa di simile: era una scultura in legno massiccio, liscia, resa lucida dalla fatica dell'artista. Forza ed energia arrivano alle mie mani; sento i muscoli tesi sotto la pelle calda, dello stesso colore vivo del legno rosso e solido che ricordo.
Lo accarezzo a palmi aperti, con entrambe le mani; lascio le sue gambe meravigliose e risalgo verso l'inguine. Non ci sono rugosità od ostacoli sotto le mie dita; la peluria è rada e trasparente, solo al centro è più folta, nera e ricciuta. Nella piega tra le cosce, l'anca ed il centro del suo corpo, la pelle è morbida. Si scurisce sempre più man mano che risalgo, è bruna e pigmentata e ancora più calda. E' il suo punto più caldo.
Avvicino il viso, voglio sentire il suo odore che qui è più forte.
Ed è una sorpresa, una sorpresa assoluta. Sudore, qualcosa che sa leggermente di sale, ma anche resina e bosco. Umidità, come quella che si sente alla mattina presto davanti a casa; qualcosa come l'erba tagliata e poi una nota dolciastra che non riesco a identificare ma che trovo... eccitante. Lo sento sospirare; resta immobile, come gli ho chiesto di fare.
Mi è sconosciuto eppure lo riconosco: è mio, è il mio uomo, sa di buono e mi appartiene.
Passo il naso nelle pieghe della pelle, continuando ad accarezzarlo, estasiata e dimentica di tutto; sono circondata dalla bellezza. Le sue cosce, il ventre, il petto, le sue spalle meravigliose.
Pene, testicoli. Parole ridicole che mi ricordano le lezioni di biologia del professor Manner e non hanno niente a che vedere con ciò che sto guardando adesso. Ciò che sto contemplando adesso. Lo bacio, piano, sfiorandolo con le labbra. E' un movimento lento; prima sfioro e poi premo sulla sua pelle. Sono concentrata ed attenta e persa.
Il suo odore. La sua pelle sulle mie labbra.
Ho le narici piene del suo odore perciò è solo naturale, adesso, il desiderio di assaggiare. Questo odore non può che venire da un sapore buono, così assaggio, assaporo. Non è come mangiare, è più come... accogliere dentro, assimilare, come diventasse parte di me.
E sento e vedo la sua reazione. Lenta, inarrestabile e decisa.
Ha un fremito, mi accarezza i capelli e mi parla a fatica; la sua voce roca è ancora più calda e sembra salire dal profondo.
-Bella... non devi. Se non vuoi, non devi...
Non devo?
Io voglio.
Ho la stessa sensazione di prima, quando pensavo a quelle due parole. Anche ciò che sto facendo adesso ha un nome, credo; ne ha tanti, uno scientifico ed altri volgari, sentiti a scuola nei corridoi tra le risate dei compagni o bisbigliati all'orecchio dalle amiche, quando arrossivo ma ascoltavo anch'io...
Come prima, sento che quello che sta accadendo è troppo grande per le parole, non ha niente a che fare con quegli stupidi suoni ridicoli.
L'unico suono che può rimanere nella stessa stanza con noi due, in questo momento, è il battito di un cuore.
Immagino un solo cuore, enorme, fatto del mio e del suo; un cuore che pulsa lento e possente come un grande tamburo magico. Ecco, è una cerimonia quella che si sta svolgendo ora nella semioscurità, e il palpito di quel cuore è il tamburo sciamanico che accompagna la rivelazione. Il mistero svelato è il corpo del mio uomo.
Rinuncio alle parole, spengo la lucidità e mi lascio veramente andare; come se mi avesse vista cadere, come se avesse percepito che ho attraversato una soglia o superato un limite, Jacob si solleva ed abbracciandomi dolcemente mi costringe a scendere ed è sopra di me.
Tocca a lui, ora.
La lentezza ci ha lasciati, sconfitta dal desiderio; il mio amore ha il fiato corto, è impaziente e le sue mani non sono più molto gentili. Disegna il mio viso con la punta delle dita, mi schiude le labbra e per un attimo mi permette di succhiare. Lo vorrei più vicino, ancora più vicino; sono stata interrotta mentre avevo ancora una fame disperata del suo odore e del suo sapore; sento che mi manca qualcosa e con la bocca lo cerco. Succhio le sue dita, afferro e bacio il palmo della sua mano, mentre l'altra scorre disegnando le linee del mio corpo e non è un acquerello; sono tratti spessi, densi di colore. Rosso, rosso fuoco. Sono io che ardo e lui con me.
Per un attimo ho paura, il corpo che gli sto offrendo ora non è quello conosceva. Non sono più una bambina, sono cambiata così tanto negli ultimi mesi. Mi chiedo se può amare questi seni grandi e pesanti dalle areole scure, questi fianchi più larghi, il ventre non più tonico marchiato dalla lunga cicatrice del parto. La sua risposta è un ringhio soffocato mentre assaggia, succhia, lecca e stringe, e io mi chiedo come sia possibile che i seni che nutrono il mio bambino si incendino così, facendomi perdere la testa.
Con un ginocchio mi apre le gambe e posa le mani sul letto, a lato delle mie spalle, sostenendosi. I suoi occhi mi cercano ed io brucio sotto il suo sguardo. Chiudo gli occhi e cerco di abbracciarlo, ma tutto ciò che riesco a fare è restare sospesa per un attimo al suo collo prima che mi costringa a sdraiarmi di nuovo.
-Dimmelo.Lo sai.
-Dimmelo, Bella.Ti amo, Jake. Ti amo da morire.
Si spinge contro di me, duro e caldo e pulsante. Si avvolge le mie gambe attorno al bacino. Poi mi bacia facendomi quasi male ed io lo ricambio con un sentimento feroce ed uguale che non riesco ad identificare, che assomiglia alla rabbia.
Ed imparo, ancora, qualcosa di nuovo: qual è il legame tra la rabbia ed i baci e di conseguenza tra la rabbia e l'amore. La rabbia non è per l'amato, la rabbia è per l'amore che ti costringe a vivere, in momenti come questo, un bisogno talmente forte da farti sentire impotente e disperato; perché per quanto tu cerchi di divorarlo e di entrargli dentro, l'altro resta sempre l'altro e tra gli amanti restano comunque sempre l'aria, il vuoto e qualche volta l'angoscia. E' così che mi sta baciando il mio amore e la sua rabbia supera la mia.
Perché io non riesco a parlare. Le parole mi si strozzano in gola, vorrei che leggesse dentro di me ma mai come ora sento che, anche facendo l'amore, siamo immersi in un'eterna solitudine.
Stando sopra di me mi accarezza il viso, mi infila le dita tra i capelli e li avvolge alla sua mano afferrandoli strettamente ; la sua voce si spezza.
-Per favore. Dimmelo.Ti amo, Jacob. Ti amo come la prima donna ha amato il primo uomo.
Il silenzio è atroce come una ferita da coltello. Si stacca da me bruscamente, di nuovo quel suono che mi riporta al lupo, un ringhio soffocato che nasce da dentro il suo petto.
-Certo, ovvio. Sei sempre stata una pessima bugiarda. E io che credevo... che coglione.
Scende dal letto, mi afferra poco gentile e mi porta in cucina.
Mi stende sul tavolo e io sono così sorpresa che non riesco nemmeno a parlare.
-Che cosa vuoi da me, Bella?
Mi apre le gambe
-E' questo che vuoi?
Afferra un seno, morde l'altro e un mugolio gli sfugge quando raccoglie con la lingua una goccia di latte.
-Per me va bene, come vuoi tu.
Affonda il viso in mezzo alle mie gambe, mi apre e comincia a leccare e succhiare.
Ecco, questo è qualcosa che non conoscevo. E' così intenso che, nonostante il piacere, sento il bisogno di ritirarmi e scappare. Non me lo permette, non gli costa nemmeno un centesimo della sua forza impedirmi di chiudere le gambe. Continua deciso e crudele fino a quando sento il bisogno urgente che entri in me. Qualcosa mi manca creandomi un bisogno spasmodico; qualcosa deve venire a riempirmi, subito.
Cerco di tacere, mi mordo le labbra, non voglio pregarlo. Non lo pregherò mai, mi dico, e invece è passata solo una manciata di secondi quando mi ritrovo ad inarcare la schiena contro di lui, ad afferrargli i capelli e a supplicarlo.
-Per favore, adesso. Adesso.
Mi sollevo, tento di nuovo di abbracciarlo ma mi si sottrae.
-Non così. Abbracciami, per favore. Jacob, abbracciami.
-Perché? Dimmi perché, Bella. Adesso.Perché ti amo. Stammi vicino. Non mi vedi? Non mi senti? Io non...
-Certo.
E' spietato. Scaccia le mie braccia, mi costringe a sdraiarmi e ricomincia con la lingua in modo più deciso; insiste e solo adesso, lentamente, dopo aver passato le mie gambe sulle sue spalle infila un dito in me, tenendolo fermo. Perché mi sembra così freddo, questo gesto? Vorrei avesse pietà e facesse qualcosa, ma è solo la sua lingua che si muove, sempre più veloce. La tensione si fa intollerabile fino a quando una contrazione mi dà un attimo di pace e lui la sente.
E' finita, penso, ma solo allora, mentre queste onde superficiali mi percorrono, affonda in me, fino alla mia profondità più lontana.
Maledetto, non adesso. Perché?
Lo scopro subito, il perché.
Perché, mentre credo di essere arrivata, averlo finalmente dentro di me -e sentire che mi riempie completamente, come deve essere e spinge forte, come deve essere, sempre più veloce, come deve essere, i glutei tra le sue mani, e poi le sue mani sui fianchi- le onde invece di esaurirsi riprendono il largo e dilagano e mi investono come una marea bollente. Stavolta, quando urlo, perdo quasi i sensi. Non ero preparata nemmeno a questo. Grido e mi inarco e ricado indietro e ad un tratto sono madida di sudore; è come un bagno caldo, un elettroshock, l'acqua bevuta a piena gola da un assetato; l'acqua azzurra e cristallina di una laguna quando il sole brucia la pelle. E' il fuoco di un camino in inverno, poi un attimo di oscurità, come se mi fossi addormentata.
Mi rendo conto solo dopo qualche attimo che non ho più fiato e che anche lui respira affannosamente quanto me; che la sua pelle è bagnata e lucida, come la mia, e qualcosa di caldo di cui avverto l'odore cola tra le mie gambe.
Abbracciami, ti prego. Ti supplico.
Mi posa un bacio troppo rapido sulla bocca e mi allunga un asciugamano, che non prendo perché non riesco ancora a muovermi.
Cos'è tutta questa fretta?
Non ci credo.
Si sta vestendo.
-Dove vai?
-Si è fatto tardi, devo andare.
-Non puoi andartene. Non così.
-E' quello che sto facendo.
-Jake, cosa c'è?
-Proprio niente. Che hai, non ti è piaciuto?
-Cosa diavolo...
-Mi sembrava ti fosse piaciuto. Cosa c'è che non va, adesso?
Lo schiaffo questa volta arriva a segno e lui non tenta neanche di spostarsi o di fermarmi come ha fatto altre volte.
-Certo, ovvio. Sei sempre stata una pessima bugiarda. E io che credevo... che coglione.
Scende dal letto, mi afferra poco gentile e mi porta in cucina.
Mi stende sul tavolo e io sono così sorpresa che non riesco nemmeno a parlare.
-Che cosa vuoi da me, Bella?
Mi apre le gambe
-E' questo che vuoi?
Afferra un seno, morde l'altro e un mugolio gli sfugge quando raccoglie con la lingua una goccia di latte.
-Per me va bene, come vuoi tu.
Affonda il viso in mezzo alle mie gambe, mi apre e comincia a leccare e succhiare.
Ecco, questo è qualcosa che non conoscevo. E' così intenso che, nonostante il piacere, sento il bisogno di ritirarmi e scappare. Non me lo permette, non gli costa nemmeno un centesimo della sua forza impedirmi di chiudere le gambe. Continua deciso e crudele fino a quando sento il bisogno urgente che entri in me. Qualcosa mi manca creandomi un bisogno spasmodico; qualcosa deve venire a riempirmi, subito.
Cerco di tacere, mi mordo le labbra, non voglio pregarlo. Non lo pregherò mai, mi dico, e invece è passata solo una manciata di secondi quando mi ritrovo ad inarcare la schiena contro di lui, ad afferrargli i capelli e a supplicarlo.
-Per favore, adesso. Adesso.
Mi sollevo, tento di nuovo di abbracciarlo ma mi si sottrae.
-Non così. Abbracciami, per favore. Jacob, abbracciami.
-Perché? Dimmi perché, Bella. Adesso.Perché ti amo. Stammi vicino. Non mi vedi? Non mi senti? Io non...
-Certo.
E' spietato. Scaccia le mie braccia, mi costringe a sdraiarmi e ricomincia con la lingua in modo più deciso; insiste e solo adesso, lentamente, dopo aver passato le mie gambe sulle sue spalle infila un dito in me, tenendolo fermo. Perché mi sembra così freddo, questo gesto? Vorrei avesse pietà e facesse qualcosa, ma è solo la sua lingua che si muove, sempre più veloce. La tensione si fa intollerabile fino a quando una contrazione mi dà un attimo di pace e lui la sente.
E' finita, penso, ma solo allora, mentre queste onde superficiali mi percorrono, affonda in me, fino alla mia profondità più lontana.
Maledetto, non adesso. Perché?
Lo scopro subito, il perché.
Perché, mentre credo di essere arrivata, averlo finalmente dentro di me -e sentire che mi riempie completamente, come deve essere e spinge forte, come deve essere, sempre più veloce, come deve essere, i glutei tra le sue mani, e poi le sue mani sui fianchi- le onde invece di esaurirsi riprendono il largo e dilagano e mi investono come una marea bollente. Stavolta, quando urlo, perdo quasi i sensi. Non ero preparata nemmeno a questo. Grido e mi inarco e ricado indietro e ad un tratto sono madida di sudore; è come un bagno caldo, un elettroshock, l'acqua bevuta a piena gola da un assetato; l'acqua azzurra e cristallina di una laguna quando il sole brucia la pelle. E' il fuoco di un camino in inverno, poi un attimo di oscurità, come se mi fossi addormentata.
Mi rendo conto solo dopo qualche attimo che non ho più fiato e che anche lui respira affannosamente quanto me; che la sua pelle è bagnata e lucida, come la mia, e qualcosa di caldo di cui avverto l'odore cola tra le mie gambe.
Abbracciami, ti prego. Ti supplico.
Mi posa un bacio troppo rapido sulla bocca e mi allunga un asciugamano, che non prendo perché non riesco ancora a muovermi.
Cos'è tutta questa fretta?
Non ci credo.
Si sta vestendo.
-Dove vai?
-Si è fatto tardi, devo andare.
-Non puoi andartene. Non così.
-E' quello che sto facendo.
-Jake, cosa c'è?
-Proprio niente. Che hai, non ti è piaciuto?
-Cosa diavolo...
-Mi sembrava ti fosse piaciuto. Cosa c'è che non va, adesso?
Lo schiaffo questa volta arriva a segno e lui non tenta neanche di spostarsi o di fermarmi come ha fatto altre volte.
Se ne era andato. Se ne era andato veramente.
L'oscurità prima così piena di lui, resa sacra da noi due insieme, ora dava solo fastidio. Inciampai e sbattei contro qualcosa mentre cercavo la maniglia della porta del bagno e la luce dello specchio mi ferì gli occhi.
Dovevo ripulirmi, vestirmi, andare a recuperare Elias. Soprattutto, sarebbe stato utile che riuscissi a smettere di singhiozzare.
Avevo rovinato tutto un'altra volta, solo perché non ero riuscita a dire... Ero magnifica: non ero goffa solo nei movimenti, lo ero nella testa, nel modo di fare e di comportarmi, in qualunque cosa facessi nella mia vita. Un talento naturale per mandare a puttane ogni cosa bella che per pura fortuna, non certo per merito mio, capitava sulla mia strada.
Come d'accordo feci uno squillo a Emily. Avevo sognato che a riprendere Elias ci saremmo andati insieme, io e suo padre e magari poi ci saremmo addormentati tutti e tre vicini, nel letto grande.
Se solo non fossi stata così idiota.
Forse avrei dovuto lasciare perdere. Forse non ero capace di stare con qualcuno né di far felice un compagno. Forse avrei fatto bene a lasciar perdere concentrandomi sull'unica cosa che pareva riuscirmi abbastanza bene, ovvero fare la mamma. Certo, ero ancora in tempo a rovinare tutto anche con mio figlio. Magari, anzi sicuramente Elias crescendo avrebbe avuto ben altre esigenze che il pancino pieno e i pannolini puliti e sarei riuscita senza sforzi eccessivi a deludere anche lui.
Mi sarebbe tornato utile che i singhiozzi finissero di bruciarmi la gola, ma non c'era verso.
Non feci nemmeno il tentativo di smettere di piangere, quando bussai alla porta di Sam ed Emily. Lei era sveglia, allattava Kay. Il mio aspetto non lasciava spazio ai dubbi; ebbe pietà e non mi fece domande.
Tornata a casa sistemai il mio piccino per la notte. La mia unica gioia, la sola ragione per cui valeva ancora la pena di andare avanti e cercare di essere migliore del disastro che ero. Con questi pensieri e il fazzoletto in mano mi addormentai, distrutta dalla delusione e dalla tristezza.
Non so esattamente perché aprii gli occhi. Mi svegliai lentamente e lui era lì.
Sdraiato sul letto al mio fianco, con la testa sul mio cuscino e gli occhi così assurdamente splendenti da sembrare accesi nel buio.
Parlò sottovoce e fu la solita carezza calda e ruvida e dolce allo stesso tempo. Io tenevo ancora stretto il mio fazzoletto bagnato di lacrime.
- Sono il solito stronzo animale senza cervello.
Scossi la testa.
-Sono così stanco, Bella. Tanto vale che mi arrenda. Tu non cambierai mai, e io...
Ricominciai a piangere.
-No, ti prego, non arrenderti... non mi lasciare, Jake. Per favore. E poi non è vero che non sono cambiata. E posso cambiare ancora, sai? Io...
-Non hai capito. Non potrei lasciarti neanche se volessi, Bells.
Sospirò.
-Mi vieni dietro ovunque vada, in qualche modo. Non c'è niente da fare, tanto vale che...
Mi asciugò gli occhi con la mano.
-...tanto vale che tu lo sappia. Non ci posso fare niente, assolutamente niente, perciò smetti di piangere, va bene?
Feci segno di sì con la testa, senza sapere esattamente dove volesse andare a parare. Ma non me ne importava niente, visto che era tornato ed era lì e il calore della sua pelle mi raggiungeva e testimoniava che c'era davvero. Posò la mano sulla mia guancia; conteneva quasi tutta la metà del mio viso.
-E' assodato. Più mi dibatto e cerco di liberarmi e più mi faccio del male e ne faccio anche a te.
Non si muoveva. Mi fissava sdraiato accanto a me e i suoi occhi bruciavano. Ero senza parole.
Mi mossi io e mi raggomitolai contro di lui, scomparendo tra le sue braccia.
-Ti amo, Isabella Swan. Sono tuo. Dove diavolo vuoi che vada senza di te?
L'oscurità prima così piena di lui, resa sacra da noi due insieme, ora dava solo fastidio. Inciampai e sbattei contro qualcosa mentre cercavo la maniglia della porta del bagno e la luce dello specchio mi ferì gli occhi.
Dovevo ripulirmi, vestirmi, andare a recuperare Elias. Soprattutto, sarebbe stato utile che riuscissi a smettere di singhiozzare.
Avevo rovinato tutto un'altra volta, solo perché non ero riuscita a dire... Ero magnifica: non ero goffa solo nei movimenti, lo ero nella testa, nel modo di fare e di comportarmi, in qualunque cosa facessi nella mia vita. Un talento naturale per mandare a puttane ogni cosa bella che per pura fortuna, non certo per merito mio, capitava sulla mia strada.
Come d'accordo feci uno squillo a Emily. Avevo sognato che a riprendere Elias ci saremmo andati insieme, io e suo padre e magari poi ci saremmo addormentati tutti e tre vicini, nel letto grande.
Se solo non fossi stata così idiota.
Forse avrei dovuto lasciare perdere. Forse non ero capace di stare con qualcuno né di far felice un compagno. Forse avrei fatto bene a lasciar perdere concentrandomi sull'unica cosa che pareva riuscirmi abbastanza bene, ovvero fare la mamma. Certo, ero ancora in tempo a rovinare tutto anche con mio figlio. Magari, anzi sicuramente Elias crescendo avrebbe avuto ben altre esigenze che il pancino pieno e i pannolini puliti e sarei riuscita senza sforzi eccessivi a deludere anche lui.
Mi sarebbe tornato utile che i singhiozzi finissero di bruciarmi la gola, ma non c'era verso.
Non feci nemmeno il tentativo di smettere di piangere, quando bussai alla porta di Sam ed Emily. Lei era sveglia, allattava Kay. Il mio aspetto non lasciava spazio ai dubbi; ebbe pietà e non mi fece domande.
Tornata a casa sistemai il mio piccino per la notte. La mia unica gioia, la sola ragione per cui valeva ancora la pena di andare avanti e cercare di essere migliore del disastro che ero. Con questi pensieri e il fazzoletto in mano mi addormentai, distrutta dalla delusione e dalla tristezza.
Non so esattamente perché aprii gli occhi. Mi svegliai lentamente e lui era lì.
Sdraiato sul letto al mio fianco, con la testa sul mio cuscino e gli occhi così assurdamente splendenti da sembrare accesi nel buio.
Parlò sottovoce e fu la solita carezza calda e ruvida e dolce allo stesso tempo. Io tenevo ancora stretto il mio fazzoletto bagnato di lacrime.
- Sono il solito stronzo animale senza cervello.
Scossi la testa.
-Sono così stanco, Bella. Tanto vale che mi arrenda. Tu non cambierai mai, e io...
Ricominciai a piangere.
-No, ti prego, non arrenderti... non mi lasciare, Jake. Per favore. E poi non è vero che non sono cambiata. E posso cambiare ancora, sai? Io...
-Non hai capito. Non potrei lasciarti neanche se volessi, Bells.
Sospirò.
-Mi vieni dietro ovunque vada, in qualche modo. Non c'è niente da fare, tanto vale che...
Mi asciugò gli occhi con la mano.
-...tanto vale che tu lo sappia. Non ci posso fare niente, assolutamente niente, perciò smetti di piangere, va bene?
Feci segno di sì con la testa, senza sapere esattamente dove volesse andare a parare. Ma non me ne importava niente, visto che era tornato ed era lì e il calore della sua pelle mi raggiungeva e testimoniava che c'era davvero. Posò la mano sulla mia guancia; conteneva quasi tutta la metà del mio viso.
-E' assodato. Più mi dibatto e cerco di liberarmi e più mi faccio del male e ne faccio anche a te.
Non si muoveva. Mi fissava sdraiato accanto a me e i suoi occhi bruciavano. Ero senza parole.
Mi mossi io e mi raggomitolai contro di lui, scomparendo tra le sue braccia.
-Ti amo, Isabella Swan. Sono tuo. Dove diavolo vuoi che vada senza di te?
Il titolo del Capitolo è un verso di una poesia di W.B. Yeats, la cui traduzione suona pressappoco così: "O corpo abbandonato alla musica, o sguardo scintillante/Come possiamo distinguere il danzatore dalla danza?"
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